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Il crollo del mercato cinese, le tensioni geopolitiche, i timori di dazi aggressivi da parte degli Stati Uniti. Nella sua analisi, Carlo Capasa mette in fila i problemi che gravano sul settore della moda, ma non perde di vista gli obiettivi e soprattutto sprona ad ampliare l’orizzonte. Il 2024 chiuderà con un calo del fatturato del 3%, «la ripresa però è attesa già per la fine dell’anno prossimo e si rafforzerà dal 2026: abbiamo un’industria in ottima salute, non perdiamoci dei pezzi in un momento di difficoltà», esorta.

LA CONGIUNTURA

La fiducia di Capasa è certificata dal suo ruolo di osservatore privilegiato del comparto. Numero uno della Camera nazionale della moda dal 2015, vicepresidente di Altagamma e fino al 2016 amministratore delegato di Costume National, maison fondata con il fratello Ennio nel 1986. Con un fatturato attorno ai 100 miliardi di euro, il fashion è la seconda industria nazionale dopo quella alimentare e «purtroppo lo ricordiamo sempre troppo poco: abbiamo una filiera unica con 60.000 imprese, di cui 40.000 artigiane, e 600.000 addetti. Realizziamo il 70% dei beni di lusso mondiali, siamo primi in Europa con il 46% della produzione a fronte del 12% della Germania e dell’8% della Francia». Primati raggiunti perché «siamo capaci di raccontare una storia, siamo i migliori ambasciatori dei valori italiani per creatività ed efficienza». 
Ma adesso bisogna fare i conti con un 2024 complicato. Se cosmetici, gioielli, profumi e occhialeria crescono a doppia cifra, del 12% circa, abbigliamento e accessori accusano una flessione dell’8%, con l’effetto combinato di un arretramento complessivo del 3%. Un affanno condiviso dal settore del lusso, che sta affrontando il periodo più difficile degli ultimi quindici anni (escludendo la battuta d’arresto della pandemia): il Luxury goods worldwide market study Altagamma-Bain registra un calo complessivo del comparto del 2% a 1.478 miliardi di euro, i beni personali di lusso si attesteranno a 363 miliardi di euro contro i 369 del 2023, 50 milioni i consumatori persi e una produzione in volume che oscilla tra il 20 e il 25% in meno rispetto a due anni fa. «Dietro a questo decremento ci sono diversi fattori, a cominciare dalla contrazione dei consumi della Cina – spiega Capasa – Si sono ridimensionati non solo nella madrepatria, ma anche nelle nostre boutique delle grandi città in Europa. A incidere è una contrazione del potere d’acquisto, oltre a una crescente spinta culturale verso prodotti interni». 

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STABILIZZAZIONE

La sfida quindi è «rimodulare le strategie guardando ad altri mercati», si punta sul far east dove «il Giappone va bene, su Malesia, Corea, Taiwan e Singapore. Anche gli Usa rappresentano un ottimo traino, dazi permettendo». In ogni caso, sottolinea il presidente, «non dobbiamo dimenticare che siamo un’industria cresciuta in misura importante nell’ultimo decennio, con ottime capacità di reazione se consideriamo che il fatturato 2022 ha superato quello del 2019 e recuperato la frenata durante il complesso periodo del Covid». Nell’ultimo trimestre di quest’anno una stabilizzazione del fatturato permetterà di chiudere il 2024 con un giro d’affari di 95,9 miliardi, tuttavia «siamo manifatturieri – ricorda Capasa – abbiamo bisogno di pace per esportare». Le previsioni indicano che i consumi di fascia alta cresceranno del 20% nei prossimi cinque anni, intanto però va gestita la fase di crisi. Temi come la tracciabilità della filiera – per prevenire gli episodi di caporalato svelati da due inchieste della Procura di Milano – l’introduzione di nuove normative e la necessità di diversificare i mercati sono le sfide al centro del dibattito: implementare la sostenibilità, ambientale e sociale, non penalizzando piccole imprese che sono 40 mila e devono essere messe nelle condizioni di affrontare la digitalizzazione. «Al governo chiediamo di darci una mano. Soprattutto di sostenere le realtà più piccole, perché hanno bisogno di essere tenute in vita, di difendere la propria forza lavoro e mantenere la Cig ordinaria. Il nostro appello è di non lasciare indietro una sola azienda e un solo lavoratore – sottolinea Capasa – Ogni chiusura costa molti più soldi allo Stato e uno Stato moderno deve essere sensibile e prevedere ciò che può succedere. Se i dipendenti vanno a casa, il costo per lo Stato è più alto della cassa integrazione».

LE RICHIESTE

Per la Cig, indica il presidente, il costo stimato è attorno a 80 milioni, cifra alla quale andrebbero aggiunti circa 100 milioni di aiuti statali per favorire l’ingresso delle aziende più grandi nelle società di minori dimensioni in difficoltà, concedendo una defiscalizzazione per tre anni. «Ci siamo sentiti dire che 180-190 milioni sono troppi. Ma costerebbe di più perdere le aziende. In altri settori sono stati dati soldi a valanga e a noi dicono volete troppo, perché di base siamo un’industria sana. Ma alla fine ciò che chiediamo è una goccia in mezzo al mare, considerando che fatturiamo 95 miliardi e ne versiamo circa 25 miliardi come tasse». L’esortazione di Capasa: «Uniamoci e facciamo il meglio per la nostra industria e in particolare per le piccole e medie aziende». 
Va in questa direzione l’approvazione, nell’ambito del disegno di legge 160/24, della proroga fino al 31 gennaio 2025 della cassa integrazione per le aziende del comparto moda con meno di 15 dipendenti. «Siamo soddisfatti per questo primo passo che dimostra attenzione verso il settore moda, ma è necessario che il Parlamento estenda l’uso degli ammortizzatori sociali per la piccola impresa a tutto l’anno prossimo», rilancia il presidente. Che chiama a raccolta tutti i protagonisti del settore. «Lo stimolo degli acquisti deriva anche dalla creatività. Non dobbiamo derogare al nostro ruolo: il marketing non risolve tutti i problemi. Dobbiamo continuare a inventare sogni per fare ripartire i consumi. Mai come nei momenti di crisi bisogna investire sulla creatività, che è il nostro marchio di fabbrica. E dobbiamo imparare a raccontarla. Le mostre più belle sulla moda italiana vanno in scena a Londra e a Parigi, con Memorabile al MAXXI di Roma vogliamo riprenderci la scena e raccontarne lo spirito».

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