Nevio Scala, il mister dei miracoli

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Nevio Scala è nato a Lozzo Atestino (Padova) il 22 Novembre del 1947. Da calciatore ha indossato le maglie di Inter, Milan, Roma, Fiorentina e Vicenza, vincendo uno scudetto, una Coppa dei Campioni e una Coppa delle Coppe. Al suo attivo anche una presenza con la nazionale Under 21e la vittoria ai Giochi del Mediterraneo.

Ha allenato Reggina, Parma, Perugia, Borussia Dortmund, Besiktas, Shakhtar Donestk e Spartak Mosca, conquistando un campionato ucraino, una Coppa Italia, una Coppa d’Ucraina, una Coppa di Russia, una Coppa Uefa, una Coppa delle Coppe,una Supercoppa Europea e una Coppa Intercontinentale. E’ stato eletto «Allenatore dei sogni» dai calciatori del Torneo di Arco.

Tatticamente parlando, Scala ha innestato nella zona il 3-5-2, un sistema con dei principi di gioco ancora validi e applicati da molti allenatori, tra i quali anche Simone Inzaghi. Il suo calcio, negli anni novanta è stato giudicato tra i più spettacolari e produttivi, non solo in Italia, perché coniuga solidità e agilità, forza e tecnica, equilibrio e corsa

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Dal calcio alla cantina, a raccontare i passaggi più importanti della sua vita. Quella calcistica, spesa principalmente in una piazza, fino a quel momento, per nulla abituata a lottare per vittorie importanti. Sono mancati i trionfi in campionato e in Champions League. Per il resto, nella bacheca del Parma e nella sua personale, Nevio Scala ha collocato tutti i trofei che il calcio italiano ed europeo, metteva a disposizione nel periodo d’oro vissuto in Emilia. Coppe Italia e Uefa conquistate contro la Juventus di Trapattoni e Lippi, ovvero la squadra più amata ma anche più odiata d’Italia.

La Supercoppa Europea, vinta battendo il Milan di Capello, al culmine di un’impresa epica in quel di San Siro, maturata in una fredda serata di inizio febbraio. Nevio che riusci anche a diventare campione del mondo, a livello di club, tre anni dopo con il trionfo nella Coppa Intercontinentale, sulla panchina del Borussia Dortmund.

Chiusa la carriera vincente da tecnico, ha deciso di investire la sua vita da pensionato nel produrre vini, nella sua Lozzo Atestino, insieme al figlio Claudio.

Scala, la sua carriera di allenatore comincia in Serie C1, sulla panchina della Reggina, che gli permise subito di mettersi in mostra.

«Direi che l’esperienza di Reggio Calabria rappresentò un grande trampolino. Con la società amaranto conquistai la promozione in Serie B e sfiorando la A subito dopo».

Da Reggio Calabria a Parma, passaggio che segnò l’inizio di un ciclo straordinario di vittorie in una piazza che in passato non aveva mai conquistato niente d’importante.

« Con la famiglia Tanzi furono sette anni bellissimi, in cui abbiamo trasformato tantissimi sogni in realtà. La promozione in Serie A, conquistata al primo colpo, ci permise di compiere il primo vero passo di quella che possiamo benissimo definire una vera e propria favola».

Primo campionato della storia del Parma disputato nella massima serie e fu subito qualificazione in Coppa Uefa, con il sesto posto in classifica.

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«Fu un risultato che maturò grazie ad una programmazione mirata. Staff, calciatori e società si divisero i meriti per aver centrato un traguardo che ad inizio stagione rappresentava una vera e propria utopia».

Che soddisfazione fu riuscire a battere la Juventus, per la conquista di due trofei totalmente diversi per prestigio ed importanza?

«Per una piccola piazza, come quella di Parma, rappresentò un vero e proprio appuntamento con la storia. La vittoria della Coppa Italia fu il primo trofeo della società. La conquista della Coppa Uefa rappresentò una specie di riscatto per aver perso, durante quella stagione, tutti i confronti diretti con i bianconeri».

Vittoria della Coppa delle Coppe nella finale vinta contro l’Anversa : come preparò quella sfida non solo a livello tattico ma anche motivazionale?

«Ricordo che non fu assolutamente semplice, perché dovetti fronteggiare delle situazioni extra durante la preparazione di quella partita. La coppa alzata da Minotti a Wembley, rappresentò l’immagine simbolo di quella serata».

E qualche mese dopo arrivò anche il trionfo della Supercoppa Europea contro il Milan di Capello.

«Preparai quella doppia finale infondendo la giusta fiducia alla squadra. La voglia di crederci e di non mollare mai ci permisero di mettere in bacheca un altro trofeo europeo importante».

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È riuscito a vincere a Wembley, a ripetersi due volte a San Siro : che sensazione è stata imporsi al centro dell’attenzione del calcio europeo?

«Per me fu sicuramente un momento importante della mia carriera d’allenatore, tanto da ricevere anche l’interessamento del Real Madrid. Per il legame che si era creato con i miei ragazzi e la città di Parma, decisi di rifiutare. Potevo probabilmente vincere di più, è vero, però rimango comunque soddisfatto di quel che ho ottenuto».

Dino Baggio, veneto e padovano come lei : com’è stato il suo processo d’inserimento a Parma?

«Arrivò dalla Juventus subito dopo la fine dei Mondiali del 1994 e non ebbe grandi difficoltà d’ambientamento. Lo definisco un professionista serio e con un’innata leadership in mezzo al campo. Lo ringrazierò per sempre per avermi fatto vincere la Coppa Uefa grazie ai suoi gol, sia all’andata che al ritorno contro la Juve».

Passiamo a Gigi Buffon. Farlo esordire in una partita difficile, contro il Milan, non fu una scommessa ?

«Le confesso che a distanza di quasi trent’anni mi vengono ancora i brividi nel raccontare come fu quella settimana. Avevamo Luca Bucci infortunato e in quei giorni io ed Enzo Di Palma sottoponemmo Gigi ad una serie di tiri frequenti e consecutivi. Lui si dimostrò imbattibile, a tal punto che al mio secondo chiesi: “stai vendendo quel che vedo io ?” Lui mi rispose : “questo è un fenomeno”. Giusto che sia stato definito una leggenda cel calcio mondiale».

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Cosa portarono Brolin e Asprilla all’interno della squadra ?

«Parliamo di due ragazzi forti, ma caratterialmente molto diversi. Tomas era un persona molto seria, con grandi qualità tecniche e che alzò il livello della squadra. Tino nel corso del tempo si lasciò andare, perdendo quell’equilibrio mentale che gli causò una flessione nelle sue prestazioni in campo. Insieme a Sandro Melli formarono uno dei tridenti più forti del campionato italiano nel corso degli anni 90, che ci permise di raggiungere uno storico terzo posto in campionato e di trionfare in uno degli stadi più importanti del mondo».

Cosa mancò a Melli per compiere il definitivo salto di qualità?

«Sandro è stato un ragazzo con fortissimi alti e bassi. Disputò un campionato di Serie B e due di A in cui dimostrò di possedere delle grandi potenzialità. Conquistò anche l’Europeo con la Nazionale Under 21 e venne più volte chiamato da Arrigo Sacchi, in quella maggiore, perdendo la convocazione al Mondiale negli Stati Uniti solamente negli ultimi mesi. Alcune scelte sbagliate non li permisero d’esprimersi al massimo ad un certo punto della sua carriera».

Essere diventato campione del mondo, con il Borussia Dortmund, ha rappresentato la vera consacrazione del Nevio Scala allenatore ?

«Penso che riuscire a vincere la Coppa Intercontinentale sia stata la vera chiusura del cerchio. Della finale contro il Cruzeiro ricordo non tanto il risultato, ma come siamo riusciti a superare le difficoltà iniziali. I miei calciatori hanno saputo reagire, nel secondo tempo, riuscendo a vincere la partita e rendendomi strafelice. Ero insieme a mio figlio Claudio che decise di venire a vedermi dal vivo. Fu una giornata importante per la mia carriera d’allenatore» .

Resterà per sempre un rammarico non aver vinto lo scudetto a Parma e la Champions League?

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«No, perché eravamo perfettamente coscienti di non essere sufficientemente competitivi per la vittoria del campionato. La finale di Champions la sfiorai nel 1998, con il Borussia Dortmund, visto che fummo eliminati in semifinale dal Real Madrid. Mi sarebbe piaciuto riaffrontare la Juve, in una finale europea, dopo averla battuta tre anni prima in Coppa Uefa».

Non solo in Italia, ma anche le altre esperienze all’estero sono state contrassegnate da una serie di trofei.

«Proprio così, perché dopo Dortmund, mi feci un bel giro per l’Europa divertendomi molto e togliendomi parecchie soddisfazioni. Quel campionato che sognavo di vincere a Parma, alla fine sono riuscito a conquistarlo in Ucraina, con lo Shakhtar Donetsk.

Dal calcio alla cantina. Come è nata l’idea?

«Tutto è partito nel 2014, da un’intuizione di mio figlio Claudio. All’inizio ero scettico e faticai a dire di sì, perché ero reduce da tantissime esperienze nel mondo del calcio ed era arrivato il momento di godermi la pensione. La speranza, invece, è quella di proseguire il più a lungo possibile anche con i vini».



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