Le sanzioni alla Russia: uno sguardo critico

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 


La vittoria di Trump, la crisi in Germania e in Francia, l’aumento dell’instabilità nel vicino oriente

In attesa dell’insediamento di Donald Trump, previsto per il 20 gennaio 2025, le istituzioni europee dovranno prendere una decisione riguardo alla politica delle sanzioni economiche contro la Russia, considerando che il quattordicesimo pacchetto di sanzioni scadrà all’inizio del prossimo anno. Sarà interessante vedere come e quanto il cambio di leadership negli Stati Uniti – con Trump convinto di riuscire a promuovere almeno un cessate il fuoco tra Russia e Ucraina, forte di un consenso interno che, in questo suo secondo mandato, sembra decisamente più deciso a defilarsi da una guerra troppo costosa – modificherà la postura dell’Eurozona nei confronti del Cremlino.

Il tema della guerra Russo-Ucraina, non solo sotto il profilo delle sanzioni economiche alla Russia, ma anche sotto quello degli aiuti, sia economici (finanziamenti diretti, sospensioni o ristrutturazioni del debito) che militari (armamenti, supporto logistico), è stato affrontato in modo diverso nei vari paesi europei ed è stato causa di dibattito, o persino di crisi, a livello interno. A inizio novembre ‘24 la fragile coalizione formata da socialdemocratici, verdi e liberali in Germania è definitivamente collassata: è stato il Freie Demokratische Partei a ritirare il proprio supporto al governo, a causa del netto disaccordo con il piano di Olaf Sholz di aumentare la spesa pubblica e la pressione fiscale, nonché di inviare ulteriori finanziamenti all’Ucraina. Nella crisi tedesca le sanzioni contro la Russia e gli aiuti forniti all’Ucraina sono fattori strettamente interconnessi, contribuendo entrambi alla frattura politica. I pacchetti sanzionatori alla Russia, unitamente alla distruzione del gasdotto Nord Stream, hanno infatti peggiorato la crisi energetica in Germania, aumentando i costi di produzione e riducendo la domanda globale per le esportazioni tedesche, esacerbando il crollo della produzione legato, peraltro, alle difficoltà di adeguamento dell’industria tedesca alle imposizioni in materia di transizione ecologica. Questa accelerazione della crisi ha accentuato il malcontento in ampi strati della popolazione, sempre meno convinti della necessità di un contributo tedesco così oneroso alla causa Ucraina. La crisi politica in Germania desta, dunque, un forte allarme per la stabilità dell’Eurozona, poiché coinvolge quello che è tradizionalmente considerato il motore economico e il punto di riferimento politico dell’Europa, peraltro seguita da un’altra crisi nella seconda economia UE, tutt’ora in corso, con le dimissioni di Michel Barnier, terzo premier francese ‘caduto’ nel giro di un anno. 

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Nel frattempo, alcune decisioni prese in extremis dall’amministrazione uscente di Joe Biden (sotto la pressione, probabilmente, di alcuni suoi consiglieri ‘falchi’) contribuiscono a inasprire ulteriormente le tensioni militari tra Occidente e Oriente, alimentando un clima di crescente instabilità geopolitica, prima fra tutte quella di autorizzare l’Ucraina ad usare i missili Atacms (Army Tactical Missile System) per colpire il territorio russo. Putin, dal canto suo, forse anche prendendo atto dell’altissimo costo umano del conflitto (ma le forze russe da mesi avanzano lentamente ma in modo costante), ha accettato di dispiegare 10.000 soldati inviati da Kim Jong Un, un chiaro segno della fatica del Cremlino nel sostenere lo sforzo bellico. Oltretutto la polveriera mediorientale è vicina ad esplodere, con la caduta del presidente siriano Bashar al-Assad che fugge da Damasco a Mosca, pressato dall’avanzata delle milizie ribelli. Sarà necessario seguire gli sviluppi fino a fine gennaio, quando avremo un’idea più chiara su come verranno risolte le varie crisi interne nei principali paesi europei, sia per i fronti militari che vedono contrapporsi il blocco ‘atlantista’ alla convergenza russo-cinese. Nel frattempo, è possibile esaminare il tema delle sanzioni economiche imposte alla Russia da una prospettiva economica, per capire se, a più di mille giorni dall’inizio del conflitto, abbiano avuto un ruolo determinante nell’andamento della guerra e come la Russia sia riuscita ad adattarsi a tali misure. Eventuali cambi di politica relativi alle sanzioni potrebbero infatti rivelarsi un fattore cruciale nella gestione della crescente tensione geopolitica tra Occidente e Oriente, anche considerando che una fine rapida del conflitto russo-ucraino appare improbabile, nonostante le promesse fatte in tal senso da Trump durante la campagna elettorale.

Il Quattordicesimo Pacchetto di Sanzioni e le Risposte del Mercato Energetico

L’ultima approvazione del 14esimo pacchetto di sanzioni nei confronti della Russia da parte dell’UE risale al 24 giugno scorso, che ha rivisto le strategie di compressione dei traffici energetici, prendendo atto che il price-cap a 60$ per barile definito ai primi di dicembre 2022 non stava raggiungendo gli effetti desiderati. La “flotta fantasma” russa è infatti stata in grado di eludere questo limite come emerge dall’esame dei prezzi di vendita rispetto al brent. Il limite, infatti, è stato rispettato solo nei primi mesi successivi al provvedimento sanzionatorio UE (Figura 1). 

Questa circostanza non stupisce, se si tiene conto dell’evoluzione del mercato degli acquirenti del petrolio russo, che nel tempo ha visto una completa sostituzione della domanda dei Paesi del blocco occidentale a favore della Cina, ma anche di India, Turchia e di altri Paesi, in larga parte membri della CSI (Comunità degli Stati Indipendenti di cui fanno parte Armenia, Kazakistan, Kirghizistan, Turkmenistan, Tagikistan e Uzbekistan) (figura 2)

Figura 1 

Figura 2

La bilancia dei pagamenti Russa e l’impatto delle sanzioni sulle esportazioni

La resilienza dell’export russo di petrolio e gas emerge plasticamente dai dati della bilancia dei pagamenti – che la Banca di Russia ha ripreso a pubblicare di recente – ed in particolare del saldo del conto corrente, il quale riporta una bilancia commerciale che si conferma in tendenziale crescita nel primo quadrimestre del 2024 (figura 3). I dati mostrano come sul fronte delle esportazioni la componente energia stia, a dispetto dei pacchetti sanzionatori, aumentando il suo peso specifico e che, paradossalmente, le restrizioni commerciali siano maggiormente influendo sull’export delle altre merci prodotte dalla Federazione Russa. Sul fronte delle importazioni si registra una leggera flessione ma il dato resta comunque incomprensibilmente elevato, tenuto conto delle sanzioni; il dato è in realtà sintomatico di una diversione dei traffici verso i Paesi del CSI e da qui in Russia. 

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

Figura 3

I dati delle voci del Conto Corrente della Bilancia dei Pagamenti opportunamente riclassificati consentono di inquadrare anche altri effetti conseguenti al conflitto russo-ucraino (figura 4).

Figura 4

Il meno rilevante e con contribuzione positiva al saldo del Conto Corrente riguarda i benefici reddituali derivanti dagli oltre 190 miliardi di dollari di investimenti che banche ed imprese russe hanno effettuato all’estero dall’inizio della crisi bellica. Si tratta di investimenti che sono in grado di garantire flussi in entrata in valuta pregiata e che evidentemente non hanno subìto alcun blocco dalle sanzioni sinora irrogate. Il secondo dato di interesse riguarda le fonti di reddittività che tornano alle “case madri” dalle succursali di multinazionali straniere operanti sul territorio russo. Si tratta di un contributo negativo al saldo di conto corrente che ha subìto una drastica riduzione di oltre il 70% per via delle chiusure ovvero del sequestro da parte del Governo di queste attività d’impresa.

Un milione di russi sfugge alla chiamata alle armi: le conseguenze finanziarie

Infine, un ultimo dato di interesse riguarda gli effetti della migrazione di oltre 1 milioni di russi, in buona parte diretti verso i vicini paesi, membri del CSI, per evitare la “chiamata alle armi”. Questo flusso migratorio sta infatti generando effetti negativi sul saldo di Conto Corrente per via di rimesse all’estero, retribuzioni lavorative e spese di trasporto. Non solo. Questi flussi migratori sono da ritenersi responsabili di un importante deflusso all’estero di capitali sia in termini di contante, verosimilmente portato al seguito dai migranti, sia di spostamento di conti corrente presso banche estere ed ovviamente in valuta estera. L’esame dei dati relativi alla detenzione di valuta estera anche tramite conti bancari mostra plasticamente questo fenomeno con una quasi perfetta corrispondenza tra le chiusure di conti bancari in Russia per quasi 60 miliardi di dollari a partire dallo scoppio del conflitto ed il conseguente spostamento di queste somme in disponibilità contanti ed apertura di conti all’estero (figura 5).

Figura 5

Microcredito

per le aziende

 

Sul fronte finanziario i vari pacchetti sanzionatori hanno minato soprattutto le disponibilità della “fortress Russia”, che può contare sulla grande disponibilità di riserve della Banca Centrale Russa (CBR) e dalla formidabile potenza di fuoco del fondo sovrano russo (National Wealth Fund, NWF).

Le riserve della BCR sono congelate per circa 300 miliardi di dollari e le disponibilità liquide del NWF sono state più che dimezzate dall’inizio della guerra (figura 6). 

Figura 6

Lo schema elusivo della Russia, in tandem con la Cina

L’efficacia delle sanzioni sul fronte finanziario è quindi da valutarsi soddisfacente, tenuto conto che può essere segnalato solo un iniziale tentativo di bypassare il congelamento delle riserve, riuscito perlomeno per 50 miliardi di dollari. Questo episodio elusivo può essere ricostruito attraverso l’esame dell’evoluzione dei dati dei depositi all’estero delle banche russe unitamente alle dinamiche delle riserve della CBR. All’inizio del conflitto, infatti, emerge un abnorme incremento dei depositi delle banche russe in Belgio, sede di Euroclear, pari a circa 50 miliardi di dollari. Questo incremento coincide con una riduzione di pari controvalore delle riserve della Banca Centrale Russa. Tali flussi combinati riflettono lo spostamento di fondi dalla Banca Centrale a servizio di succursali straniere di banche russe operanti nel settore energetico (quali la Gazprom Bank), i quali, successivamente, tramite il regolamento delle forniture energetiche a Paesi al di fuori del circuito sanzionatorio (come la Cina) hanno consentito la suddetta triangolazione finanziaria (che ha ripristinato le riserve della CBR nei mesi successivi, libere però dai vincoli sanzionatori). A conferma di questa ricostruzione non solo il peculiare andamento a “V” del dato delle riserve della CBR ma anche l’aumento della presenza di Yuan nelle risorse disponibili della Banca Centrale, pari oramai a oltre 100 miliardi di dollari, di cui un terzo depositato presso il fondo sovrano russo National Wealth Fund (NWF) (figura 7).

Figura 7

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 

Il ruolo dello Yuan come “valuta ombra” a sostegno dell’economia russa emerge plasticamente dalla perfetta sincronia di Yuan e Rublo rispetto al dollaro nonché dal disaccoppiamento con il dato delle variazioni (rispetto all’anno precedente) del PIL russo che viola la regola generale che dati di crescita inattesi del PIL dovrebbero riflettersi in aumenti del valore del rublo e viceversa (figura 8).

Figura 8

Ulteriori interventi sono necessari se si vuole indebolire concretamente la capacità della Russia di finanziare lo sforzo bellico. A fronte di una resilienza sorprendente, dimostrata dalla Russia nell’adattarsi alle sanzioni attraverso alleanze con paesi del CSI e con la Cina, la strategia di pressione economica dovrebbe essere ulteriormente rafforzata. Sul fronte del price-cap, oltre a intensificare le attività di enforcement nei confronti della “flotta fantasma” russa, sarebbe opportuno considerare l’introduzione di un price-cap più aggressivo, fissato magari intorno ai 30$ al barile, che potrebbe limitare ulteriormente le entrate petrolifere di Mosca. Questo approccio sarebbe particolarmente necessario considerando che, nonostante le sanzioni, la Russia è riuscita a mantenere una crescita esponenziale nelle esportazioni verso paesi come Cina e India, eludendo in parte i vincoli economici imposti. A ciò si aggiunge la necessità di un controllo più rigoroso sulle importazioni dai Paesi del CSI, per evitare che beni strategici e componenti cruciali per l’industria bellica russa vengano raggiungano la destinazione grazie a questi canali.

Tuttavia, il vero game changer potrebbe essere rappresentato da un cambiamento di policy della Cina, che attualmente riveste un ruolo fondamentale nel sostenere l’economia russa, tanto sul fronte commerciale quanto finanziario tramite l’adozione in Russia dell’Yuan come “valuta ombra” per il regolamento delle transazioni. Un ulteriore allentamento delle relazioni tra Mosca e Pechino, non idilliache nonostante le apparenze, potrebbe ridisegnare completamente gli equilibri economici e geopolitici legati alla guerra. 

In definitiva, mentre le sanzioni europee continuano a rappresentare uno strumento importante di pressione, è chiaro che un’azione più mirata e integrata, che comprenda anche misure più aggressive come il rafforzamento del price-cap e il controllo capillare dei traffici con i Paesi del CSI, è indispensabile per indebolire seriamente la capacità della Russia di sostenere il conflitto. 





Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link