Guai ai controllori. Siano addetti a verificare il rispetto di norme o della spesa pubblica, stiano “zitti e buoni”. Appena un’autorità incaricata di vigilare su appalti, progetti o uso del denaro muove delle critiche, la destra risponde piccata e, se può, ne limita i compiti. È successo, nel corso del 2023 e nel 2024, con l’Autorità nazionale anticorruzione, ma anche con la Corte dei conti.
Il faro dell’Anac su appalti e grandi opere
“Con gli affidamenti diretti sotto i 140mila euro, dall’acquisto delle sedie ai lavori di tinteggiatura delle scuole, potrebbero essere scelti fornitori vicini a dirigenti, sindaci o assessori”Giuseppe Busia – Anac
Dopo l’insediamento del governo Meloni, in vista della riforma del codice degli appalti, il presidente dell’Anac Giuseppe Busia – giurista con un trascorso all’Autorità di vigilanza sui contratti (poi confluita nell’Anac) e al Garante per la privacy – critica diversi aspetti della proposta come l’eliminazione dei poteri di vigilanza dell’Anac sui conflitti di interesse, l’affidamento diretto (senza gara) per beni e servizi fino a 140mila euro e l’assegnazione di lavori superiori a cinque milioni di euro senza un avviso pubblico. Nonostante le obiezioni, il governo approva e trasmette al parlamento il nuovo codice.
A marzo 2023, Busia ribadisce i rischi del sistema: “Con gli affidamenti diretti sotto i 140mila euro, dall’acquisto delle sedie ai lavori di tinteggiatura delle scuole, potrebbero essere scelti fornitori vicini a dirigenti, sindaci o assessori”. Il leghista Stefano Locatelli chiede la rimozione del giurista sostenendo che “non può più stare in quel ruolo”, mentre il deputato Enrico Costa (Azione, poi Forza Italia) twitta che “il ruolo di Anac va rivisto”. Pochi mesi dopo, il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, guidato da Matteo Salvini rettifica alcuni aspetti del codice. Per Busia è “una chiara marcia indietro del governo” che conferma “la fondatezza delle nostre obiezioni”.
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La tensione non si placa
Ogni volta che l’Anac denuncia rischi sulle grandi opere, la politica reagisce con fastidio. È il caso del ponte sullo stretto di Messina: il governo recupera il progetto del consorzio Eurolink (guidato da WeBuild di Pietro Salini), abbandonato nel 2012 dal governo Monti e al centro di una causa contro lo Stato, che fino a quel momento aveva vinto. Busia afferma che il decreto privilegia i privati a scapito dell’interesse pubblico. “Rilievi infondati”, replica Salvini.
Nel 2024, l’Anac segnala un aumento dei costi e potenziali conflitti di interesse legati alla diga foranea di Genova, progetto da 1,3 miliardi di euro finanziato con fondi del Pnrr e realizzato da un consorzio guidato da WeBuild. L’Anac esprime i suoi dubbi e fonti anonime del ministero, citate dall’Ansa, attaccano: “È come se pezzi dello Stato remassero contro l’interesse nazionale”. Nel frattempo, anche la procura europea apre un’indagine sulla diga.
Occhio alle casse dello Stato
Anche la Corte dei conti è mal sopportata dai politici. Certo, pure i governi precedenti hanno limitato la sua azione introducendo e prorogando lo scudo erariale voluto durante la pandemia per garantire, per un determinato periodo, l’impunità di funzionari e amministratori pubblici.
Il governo Meloni, però, introduce altri paletti nella primavera 2023, quando la magistratura contabile segnala ritardi nella spesa del Pnrr. Di lì a poco, il governo interrompe il “controllo concomitante”, cioè le verifiche da effettuare durante l’attuazione di un progetto per prevenire gli sprechi, e proroga lo scudo erariale nei confronti di chi danneggia le finanze pubbliche “con colpa grave”, in parole povere compiendo errori madornali. In tal caso, con lo scudo, non ci saranno risarcimenti. Per il presidente Guido Carlino è stato creato “uno spazio di impunibilità“.
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“Il responsabile del danno sarà punito con una sanzione da 150 euro fino al massimo di due annualità di stipendio, e non col risarcimento. In questo modo il danno resterà a carico dei cittadini”Paola Briguori – Presidente Associazione magistrati della Corte dei conti
A limitare l’azione dei giudici erariali arriva anche la proposta di legge del capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti, poi diventato ministro agli Affari europei con deleghe al Pnrr: “È ormai da tempo che la cosiddetta ‘paura della firma‘ affligge il funzionamento della pubblica amministrazione”, si legge nella relazione introduttiva che spiega come si debba “attribuire alla Corte dei conti un nuovo ruolo di supporto agli amministratori pubblici”, in modo che “non debbano più rischiare di incorrere in processi per danno erariale“. Allora sarà protetto chi, prima di adottare una decisione, chiede un parere alla corte: “Il pdl Foti introduce il parere della Corte dei conti sul fatti concreti, non astratti, e così il giudice sembra sostituirsi all’amministratore”, rimarca Paola Briguori, presidente dell’Associazione magistrati della Corte dei conti.
Inoltre si dimezzano i tempi dei controlli preventivi sugli appalti connessi al Pnrr e agli investimenti complementari: se la Corte non risponde in tempo o non effettua il controllo nei termini, si forma un silenzio assenso e non viene riconosciuta la responsabilità sul danno. “Sono norme che allentano le responsabilità di funzionari e amministratori scaricandole, in realtà, sulla Corte dei conti – sintetizza Briguori, che nota un altro aspetto –. Secondo la proposta, il responsabile del danno sarà punito con una sanzione da 150 euro fino al massimo di due annualità di stipendio, e non col risarcimento. In questo modo il danno resterà a carico dei cittadini e verrà meno l’effetto deterrente”.
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