a Obiang Nguema il “premio alla carriera per corruzione”

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Guinea Equatoriale: al presidente Obiang il “premio alla carriera per la corruzione”

Se il corrotto dell’anno è stato il presidente siriano Assad, boom di voti per il capo di stato kenyano Ruto

31 Dicembre 2024

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Articolo di Redazione

Tempo di lettura 5 minuti

Un “non-premio alla carriera” per la corruzione. Ad aggiudicarsi il paradossale riconoscimento è stato il presidente della Guinea Equatoriale, Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, al potere dal 1979.

Quarantaquattro anni alla guida del piccolo paese dell’Africa occidentale, ricco di gas naturale e petrolio eppure con la stragrande maggioranza della popolazione che vive in povertà. Quattro decenni che sono serviti a «rubare gran parte della ricchezza del paese insieme a un’élite» secondo la Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP), l’organizzazione che ha insignito Obiang del premio.

L’OCCRP

L’OCCRP è una realtà no-profit di giornalismo investigativo nata nel 2007, di base nei Paesi Bassi e presente col suo staff in sei continenti, Africa compresa. L’obiettivo dell’organizzazione è fare luce su criminalità organizzata, corruzione e connivenza dei governi per creare una coscienza critica su questi temi fra i cittadini.

OCCRP è ritenuta una delle organizzazioni di giornalismo investigativo più affidabili al mondo e ha vinto diversi premi.

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Il “non-riconoscimento alla carriera” assegnato a Obiang è una prima assoluta. Dal 2012 invece, OCCRP individua ogni anno la “persona dell’anno in fatto di corruzione e crimine organizzato”: migliaia di giornalisti e cittadini segnalano un leader o un ente che ha commesso crimini o promosso politiche favorevoli a queste due attività illecite.

A quel punto, una giuria di esperti seleziona il vincitore, in una ironica rivisitazione del riconoscimento assegnato ogni anno da media e testate internazionali a leader politici, sportivi e artisti.

Il premio ad al-Assad

Il 2024 è stato l’anno dell’ex presidente siriano Bashar al-Assad, deposto il mese scorso dopo 24 anni al potere. «Finanziato dalla produzione di Captagon (una droga sintetica, ndr) e da altre forme di criminalità organizzata, come il contrabbando di esseri umani e sigarette, il furto di antichità e il commercio di armi, il mandato di Assad ha diffuso violenza, droga e corruzione in tutta la regione», si legge nella motivazione pubblicata dall’OCCRP.

Il leader siriano è figlio dell’ex capo di stato Hafez al-Assad, alla guida della Siria per 29 anni dal 1971.

Per la prima volta però, i giudici hanno voluto assegnare un “non-premio” alla carriera: così almeno si può tradurre la formula usata dall’OCCRP, un gioco di parole che ha modificato la classica dicitura inglese in un “Lifetime non-achievement award”.

L’”onore” è andato appunto a Obiang. La sua Guinea Equatoriale è 172esima su 180 paesi nell’indice della corruzione percepita pubblicato ogni anno dal Transparency Index.

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Lo scenario guineano è caratterizzato da forti disuguaglianze. A produrle è stata soprattutto la diseguale distribuzione delle rendite degli idrocarburi: la Guinea Equatoriale fa registrare uno dei più alti Pil pro-capite dell’Africa mentre almeno tre quarti della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà di 1,90 dollari al giorno.

Emblema di questa assurdità statistica è il figlio del presidente, Teodoro Nguema Obiang Mangue detto Teodorin, vicepresidente del paese dal 2016 e famoso in tutto il mondo per il suo lussuoso stile di vita.

Un modello che piace ai golpisti?

A spiegare la motivazione del premio a Obiang padre è stato il giornalista investigativo e avvocato ghaneano conosciuto come Anas Aremeyaw Anas, uno dei sei esperti scelti dall’organizzazione per valutare i nomi suggeriti dal voto “popolare”. «Attraverso paura, repressione e corruzione, Teodoro Obiang ha creato una dinastia di ricchezza e impunità», ha affermato Anas, noto per indossare una maschera in pubblico per ragioni di sicurezza.

«Le sue tendenze dittatoriali – ha aggiunto il cronista parlando del presidente guineano – vengono rapidamente replicate dai governanti in tutto il continente africano, con i leader figli dei colpo di stato che oggi lo considerano un punto di riferimento e vogliono diventare “padrini della corruzione” come lui».

Il riferimento è molto probabilmente alle giunte militari che negli ultimi anni si sono insediate con dei golpe soprattutto nell’Africa occidentale e in Sahel. Il premio dell’OCCRP ha mostrato però che anche con i presidenti eletti democraticamente le cose non vanno molto meglio.

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Due dei cinque “finalisti” all’iniziativa sono africani: il capo di stato nigeriano Bola Tinubu e soprattutto il presidente del Kenya, William Ruto. Quest’ultimo è stato indicato come candidato a “corrotto dell’anno” da un numero «senza precedenti di persone», scrive OCCRP.

Il boom di nomine a Ruto 

Sono stati infatti più di 40mila a suggerire il nome di Ruto, accompagnando la loro nomina con messaggi di questo tenore: «Sta rubando tutto, compresi i fondi pubblici, le persone soffrono senza un sistema sanitario adeguato e la gente sta diventando sempre più povera giorno dopo giorno».

Il malcontento verso Ruto non stupisce. Il presidente è stato oggetto di una mobilitazione popolare senza precedenti quest’anno. Le manifestazioni sono scoppiate a giugno e hanno visto una grande partecipazione giovanile. La “GenZ” del Kenya è scesa in piazza andando oltre divisioni comunitarie e localismi.

Innescata da una controversa legge fiscale, l’ondata di proteste è diventata un più ampio moto di rifiuto delle politiche di Ruto e della sua èlite politica, ritenuta appunto corrotta e inefficiente. Sebbene duramente represse, le manifestazioni hanno portato a una cancellazione del provvedimento incriminato e alla nascita di un nuovo governo.

In Africa la corruzione resta un problema serio. Secondo un sondaggio condotto in 39 paesi del continente dall’organizzazione panafricana Afrobarometro e pubblicato sul finire dell’anno scorso, il 58% delle migliaia di persone ascoltate ritiene che la situazione relativa al tema sia peggiorata nei loro paesi rispetto all’anno precedente. Per due africani su tre inoltre (67%), i governi stanno facendo troppo poco per combattere questa piaga. 

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