MILANO – Sempre Mediolanum, ma tra Dallas e Shanghai: “Dagli Stati Uniti all’India, Cina e Corea, c’è una grande voglia di Milano”. La vetrina non s’è appannata: “Il Salone del Mobile 2025 è sold out”. Certo, ci sono segnali da non sottovalutare. Uno: “Il turismo ha cambiato le regole del gioco per gli abitanti”. E due: la geopolitica di guerra ha piegato i conti delle aziende. Maria Porro, 41 anni, tre figli, una laurea in Scenografia a Brera e un cognome di culto nell’epopea del design, è la direttrice marketing dell’azienda di famiglia che si appresta a celebrare un secolo di storia nella Brianza artigiana (dai bisnonni fondatori Giulio e Stefano al nuovo stabilimento di Montesolaro, passando per il logo di Munari). Eletta nel 2021, confermata fino al 2027 (“ma deciderò il mio futuro di anno in anno”), Porro è la prima donna presidente del Salone, ambasciatrice dell’identità culturale e industriale dell’ecosistema Milano.
Dieci anni fa, vigilia di Expo, si diceva: Milano è place to be. Ha perso il tocco magico?
“No, non l’ha perso. Tra la lista dei “perché vivere a Milano“ e la lista dei “perché no”, vince sicuramente la prima”.
Perché sì.
“Milano è ancora oggi la città più internazionale, creativa, stimolante e aperta in Italia”.
Perché no.
“Il costo della vita è cresciuto e c’è una certa insofferenza al pendolarismo, soprattutto fra i giovani. Lo smart working è anche una risposta a un commuting troppo pesante”.
Come ci vedono dall’estero?
“L’immagine di Milano capitale della moda e del design è sempre fortissima. Siamo reduci dalla fiera dell’arte contemporanea di Shanghai: la nostra installazione è stata la più celebrata. La sfida è portare proposte di qualità, mettendoci cura e curatela. La qualità va tutelata”.
I milanesi invece appaiono affaticati, e forse disincantati: gentrificazione, prezzi, affitti, disparità.
“Milano non era mai stata una vera città turistica, lo è diventata in tempi relativamente rapidi: è fisiologico che i milanesi ne soffrano. È un fenomeno diffuso nel mondo. Gestire queste masse di persone è sicuramente un lavoro in più per la città”.
C’è un turismo buono e un turismo cattivo?
“Bisogna trovare il modo per promuovere un turismo complementare, non soffocante né trasformativo in senso negativo. La ricetta non la conosco, però me la chiedo. E so che le risorse che arrivano da questa nuova industry possono e devono essere restituite. Questa è la sfida. Non dire ai turisti: “non venite“. Ma: “come venite“ perché non si snaturi la città”.
Pubblico e privato si dividono bene i ruoli? C’è una regia oppure ciascuno fa da sé?
“È sempre più faticoso fare sistema. C’è stata una proliferazione di attori, anche nel design e nella cultura. In un’orchestra più sono gli elementi e più è difficile trovare armonia. Prima c’era la capacità di regolarsi gli uni sulle tonalità degli altri senza sovrapporsi, come in una jazz band: oggi questa sintonia è più complicata. E forse servirebbe più responsabilità da parte di tutti nel capire che l’attrattività deriva dalla capacità di ciascuno di svolgere il proprio ruolo nel rispetto degli altri. Per un’amministrazione è diventato difficile trovare un equilibrio tra interesse pubblico e privato a vantaggio dei cittadini”.
Quale può essere la strada?
“Dobbiamo smetterla di considerare Milano un palcoscenico per installazioni, marketing e pubblicità. Le piazze storiche e i luoghi pubblici hanno bisogno di più rispetto da parte degli operatori privati che li sfruttano per le loro operazioni commerciali. Le aziende hanno una grande responsabilità: offrire valore aggiunto, non “depredare“ la città”.
Lei al vertice del più importante segmento produttivo di Milano, cinque donne sono a capo di università, e l’elenco potrebbe proseguire.
“Abbiamo avuto la prima sindaca nel 2006, Letizia Moratti. Milano ha dato la linea anche su questo. Le donne del design sono, da sempre, tante e formidabili. Questa città non ha chiusure o pregiudizi di genere”.
Cosa dobbiamo aspettarci dal Salone 2025?
“Grandi ritorni e una forte competizione tra le aziende. Perché nei momenti di crisi ognuno cerca di dare il meglio su formazione e cultura del progetto”.
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