L’unità della Repubblica italiana: tra sviluppo, autonomia e riforme necessarie

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Nonostante le statistiche anche recentissime abbiano certificato ancora valori economico-sociali molto differenziati per il Centro-Nord e il Sud del Paese, l’unità del Paese nel segno della Repubblica si è andata rafforzando in questi decenni. Chi ha una certa età lo ‘sente’, per così dire, che la Repubblica unitaria fu scelta azzeccata! Ci si muove nel dedalo dei mille problemi riconoscendosi come ‘connazionali’, consapevoli che lo sviluppo deve in qualche modo coordinarsi.

Sviluppo e autonomia

Le aree che tirano di più devono essere messe in grado di favorire lo sviluppo complessivo; però, e l’autonomia potrebbe servire. Ma come verrà definita e attuata è ancora un mistero. Non meravigli: da quanti decenni se ne parla? Peraltro, lo sviluppo e i suoi problemi vanno ad aree più che a ‘regioni’. L’istituto della Regione in questi 50 anni e oltre ha deluso; ce lo possiamo dire senza timore di esagerazione. Quale bilancio? Ormai, anche gli opinionisti di sinistra lo riconoscono, e persino per la Toscana, com’è avvenuto in strisciarossa.it.

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Regionalismo e Statuti speciali

L’istituto che doveva essere più innovativo ha retto in modo diverso: nelle Regioni a ‘statuto speciale’, più vicine al modello di autonomie larghe ora proposto da taluni. Ma la vera ‘federazione’ fa variamente paura, e ogni modifica della Costituzione ha la strada in salita ardua dopo il fallimento della riforma del 2001.

La Costituzione come argine

Nel fervore della ricostruzione del dopoguerra, si formarono i presupposti della ‘dottrina della costituzione’. A sinistra, soprattutto, si prevedeva realisticamente che Yalta, come poi confermarono le elezioni decisive del 1948, avrebbe tenuto per tanto tempo lontano dal governo la sinistra. La Costituzione fu perciò costruita come un argine contro il Legislatore, quasi per bloccarlo ove si impegnasse in attentati alle ‘conquiste’ realizzate nel clima postbellico resistenziale. Doveva essere un Esecutore degli ordini impliciti, per quanto generici, della Costituzione stessa.

La Corte Costituzionale e il legislatore

La Corte costituzionale è diventata, beninteso anche grazie a importanti sentenze riformatrici, una specie di Oracolo vigilante: e che il legislatore non si permetta di essere disubbidiente. I Poteri non vi sono affatto egualitari. Si sa che al vertice c’è la Corte costituzionale, il Presidente della Repubblica che condiziona le chiamate elettorali, e poi i partiti, organizzazioni private in pratica incontrollate, che però controllano la formazione del Parlamento e dell’Esecutivo, dipendente a seconda dei contesti dai partiti o dal Parlamento.

La crisi dei partiti e l’ascesa del Civismo

La loro crisi ha alimentato il civismo dei 5 Stelle (delle origini) e delle liste civiche che fioriscono a livello locale. Ormai, però, esse operano come i partiti quando hanno successo e una certa stabilità, che devono darsi per avere prospettive. Non mi ci diffondo perché ho dedicato al problema un lungo articolo del 17 maggio dello scorso anno, anteriore all’esito delle elezioni comunali di Siena, che hanno poi visto Nicoletta Fabio inaugurare una nuova fase. Aggiungerei una domanda, però: cosa conta il civismo oltre i confini comunali se non sono espressione dei partiti stessi?

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Vocazione del nostro tempo

Per tenere assieme questo sistema politico, quasi impossibile da riformare, siamo alla ‘vocazione del nostro tempo’ per i saggi giudici supremi tutori delle istituzioni politico-giuridiche. Sono apparentemente a-politici e depositari di una specie di nuovo diritto naturale, che ha preso il posto di quello prima teologico e poi ‘razionale’ del passato. Il loro diritto è per definizione migliore del diritto positivo normale, sempre imperfetto perché dipendente dalle passioni del Legislatore.

L’inadeguatezza del legislatore

Nel sistema teorico che si è costruito, il legislatore è una specie di minus habens, con parlamentari di prestigio incerto, perché eletti da pochi cittadini in qualche modo fiduciosi del suffragio universale, in cui il voto del ‘plebeo’ pesa come quello dell’aristocratico, del dotto professore o del capace imprenditore. Questo sistema elettorale diede il risultato dei partiti poi responsabili del fascismo o dei compromessi del Dopoguerra e dei suoi sempre deboli governi. Non a caso si cerca di riequilibrarlo con il presidenzialismo, ancora da precisare nel suo profilo, cui un tempo anche la sinistra pensò.

La crisi del ceto politico

Intanto, l’antica méfiance per il Potere manifesta ora un nuovo diritto naturale grazie alla crisi del ceto politico, e si finge di ignorare che anche quello dei giudici è un Potere come ogni altro. Un potere di tipo politico, come è stato realisticamente sostenuto dalla sinistra ‘vera’, quella del Dopoguerra. Ricordo tanti articoli di “Rinascita” e de “l’Unità” che criticavano i giudici reazionari, ma ormai la sinistra sembra aver perduto la memoria (e la destra non la rimprovera come potrebbe).

La Corte Costituzionale come potere incisivo

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Quello della Corte costituzionale è semplicemente il più incisivo dei poteri. E nelle mani di giudici che possono avere aspettative politiche e che non essendo a vita, a differenza di quelli della Suprema Corte statunitense, possono anche operare posizionandosi oggi in vista del domani. Che potrò mai fare dopo l’alto incarico, si chiederà più di uno di loro.

Le dinamiche di potere

Intanto, però, nelle loro mani sono i ‘valori’ e la loro gestione garantisce la struttura in cui viene avviluppato il Legislatore che volesse essere disubbidiente, ‘deviante’. Ogni riformismo serio è tendenzialmente impedito ab origine e Togliatti e V. E. Orlando avevano ben intuito il pericolo. La ‘stravaganza’ d’una corte che la madre di ogni costituzionalismo, l’Inghilterra, infatti non conosce, mentre gli Usa del New Deal ben conobbero gli ostacoli ‘costituzionali’ dei giudici supremi.

Il ruolo della Giurisprudenza

Difendendo la giurisprudenza della Corte e le semplificazioni di una ‘certa’ Costituzione, si educa alla venerazione della ‘dottrina della Costituzione’, che esprime un delicato equilibrio politico-istituzionale in cui giuristi, cultura e media si sono incontrati. Il loro è un altro modo di fare politica, creato nel vuoto o nella debolezza di quella ufficiale, istituzionale, dei partiti.

Riforma della Costituzione e conformismo

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Pensare che nel costituzionalismo americano delle origini si riteneva che fosse giusto riformare periodicamente la Costituzione: per rinnovare il ‘patto’ politico-sociale! Ogni dieci anni si disse? Le discussioni ‘de iure condendo’ erano perciò altamente formative: miravano a un patto futuro e migliore. Ora invece il conformismo ha chiuso ogni dibattito. Ci ingessiamo sempre di più. L’unico problema è Giorgia: donna in gamba, rende nervosi gli oppositori che parlano invano di convergere. Chi di loro rinuncia alla prima fila? Ne vedo pochi disponibili.

*Docente universitario Sassari, Siena e Roma 3

 



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