Africa, le emergenze che si aggravano: jihad e malgoverno

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L’anno che sta per finire si chiude in Africa con un bilancio complessivo sostanzialmente negativo. Nei dodici mesi trascorsi diverse emergenze si sono aggravate, alcune tanto da essere forse le sfide più difficili alle quali gli africani, e il resto del mondo con loro, dovranno far fronte nei prossimi mesi e anni.

Il debito pubblico

Una è costituita dal peso crescente del debito pubblico, che è in gran parte debito estero. Alla fine del 2023 il rapporto debito/Pil del continente era del 68,6 per cento e si ritiene che, se le tendenze attuali persistessero, potrebbe aumentare di 10 punti percentuali nei prossimi cinque anni. In particolare il rapporto debito/Pil medio dell’Africa subsahariana è quasi raddoppiato negli ultimi dieci anni.

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Le Nazioni Unite stimano che 24 dei 35 Paesi africani a basso reddito siano a elevato rischio di default. Tre lo hanno già dichiarato: per primo lo Zambia, alla fine del 2020, seguito dal Ghana nel 2022 e dall’Etiopia alla fine del 2023. Altri Stati, tra cui il Kenya e la Nigeria, hanno evitato di dichiarare default solo ricorrendo a nuovi, onerosi prestiti e ottenendo di rinegoziare più e più volte i debiti contratti con i maggiori istituti di credito internazionali.

A giugno in Kenya la legge finanziaria che introduceva nuove tasse per stabilizzare l’economia ed evitare un ulteriore indebitamento e in Nigeria, con lo stesso scopo, la rimozione dei sussidi statali sul carburante e su altri prodotti di base hanno scatenato la rabbia popolare.

I giovani, la generazione Z, hanno organizzato proteste in entrambi i Paesi, incentrate sulla denuncia della corruzione come causa del debito insostenibile, dell’aumento, anch’esso insostenibile, del costo della vita e dei tagli alla spesa pubblica a scapito dei servizi di base. Entrambi i governi hanno reagito ordinando una brutale repressione delle proteste. In Kenya decine di giovani sono stati uccisi dalla polizia che ha sparato ad altezza d’uomo.

Il Jihad

Una seconda emergenza che cresce quasi incontrollata è il jihad, la guerra santa islamica. Il Global Terrorism Index 2024 dell’Institute for Economics and Peace sostiene che ormai l’epicentro del terrorismo islamico si è spostato dal Medio Oriente alla regione centrale del Sahel dove dal 2023 si è registrato un drammatico aumento della violenza, con una crescita esponenziale dei morti.

I Paesi oggi più colpiti, benché i militari che vi hanno preso il potere avessero assicurato di essere in grado di sconfiggere i gruppi jihadisti che li infestano, sono il Burkina Faso, dove le vittime sono aumentate di quasi il 70 per cento nel 2023 rispetto al 2022, e i vicini Mali e Niger.

Inoltre il jihad ormai è attivo in qualche misura in almeno 23 dei 54 stati africani. In alcuni paesi, come la Somalia ad esempio e gli Stati del bacino del Lago Ciad, gruppi jihadisti legati ad al Qaeda o all’Isis controllano enclave inespugnabili in cui impongono regole e tasse.

In altri paesi sono riusciti a radicarsi, hanno creato basi in cui addestrano i giovani che decidono di arruolarsi e da quelle basi organizzano attentati e imboscate anche oltre confine. Il loro potere è enorme. Colpiscono villaggi sperduti, insediamenti isolati, ma non solo. Attaccano anche caserme, scuole di polizia, chiese e moschee. Irrompono nel cuore delle grandi città, delle capitali e uccidono.

Nel 2021, in Mozambico, nella provincia settentrionale di Cabo Delgado, Ansar Al-Sunna Wa Jamma, un gruppo membro dell’ISCAPC (Provincia dello Stato Islamico dell’Africa Centrale) formatosi nel 2017, è persino riuscito a prendere il controllo per mesi di Mocimboa da Praia, un’importante città portuale di oltre 130.000 abitanti, che è stata liberata solo nel 2022.

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L’emergenza sanitaria

Un’altra emergenza, gravissima, riguarda praticamente tutto il continente ed è quella sanitaria. Non c’è Stato africano in grado di provvedere da solo, con un proprio sistema sanitario, ai bisogni della popolazione. Non ci riesce nella gestione ordinaria e tanto meno all’insorgere di crisi, che si tratti di epidemie, guerre o catastrofi naturali.

Mancano attrezzature, medicinali, posti letto, personale sanitario. Decine di migliaia di ambulatori, dispensari, ospedali costruiti, finanziati e gestiti da ong, missionari, parrocchie rimediano come possono. Ma non bastano. Malattie infettive e trasmissibili altrove scomparse o curate senza che destino preoccupazione continuano a colpire centinaia di milioni di africani e a ucciderne ogni anno milioni.

Contenerne la diffusione richiede da parte della cooperazione internazionale un impegno incessante e tuttavia sempre a rischio di essere vanificato. Nel 2023 i casi di malaria e i decessi, nonostante le risorse profuse per combatterla, sono aumentati rispetto al 2022 e quasi tutti riguardano bambini africani di età inferiore a cinque anni. Sono africani il 94 per cento dei casi (in totale 263 milioni) e il 95 per cento dei morti (in totale 597.000).

Tanto impegno concentrato nella lotta alle malattie infettive e trasmissibili va a scapito della prevenzione e cura delle altre patologie. L’Uganda, ad esempio, contro l’Aids può contare su centinaia di ong e sui fondi multimilionari forniti da enti internazionali. Invece ha un’unica macchina per la radioterapia, donata al paese nel 2018 dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Sostituisce quella che si era rotta nel 2016. Per due anni gli ammalati di cancro in grado di farlo sono andati a farsi curare all’estero, nel vicino Kenya e persino in India.

Il malgoverno

Ma una emergenza ancora maggiore, in quanto è la causa prima di ogni altra, è quella relativa alla governance. Il suo avanzamento in Africa si è fermato nel 2022, a seguito di quattro anni di quasi totale stagnazione. Circa metà della popolazione africana vive in Stati in cui il livello di governance è addirittura peggiorato nel corso degli ultimi dieci anni.

Pur nella diversità che caratterizza i singoli stati, nel complesso a compromettere la possibilità di miglioramenti sostanziali sia nello sviluppo umano sia nella crescita economica sono il costante deterioramento della sicurezza e della democrazia e l’aumento dei conflitti, tutti fattori che inoltre minano i traguardi già raggiunti e che hanno come effetto di produrre un netto calo della partecipazione, fenomeno particolarmente allarmante perché la partecipazione è un fattore essenziale per la stabilità politica.

A tracciare questo quadro preoccupante è l’autorevole Mo Ibrahim Foundation che a ottobre ha pubblicato il suo Ibrahim Index of African Governance, un rapporto frutto di approfondite ricerche edito ogni due anni. Quanto alla percezione che gli africani hanno dello stato dei paesi in cui vivono – decisiva per determinare il giudizio sulle leadership al potere, per la fiducia che in esse può essere riposta e per le aspettative individuali e collettive per il futuro – il rapporto sottolinea che, anche dove si sono registrati dei progressi, e in settori chiave, tuttavia si è riscontrata in generale una crescente insoddisfazione nella popolazione. A eccezione della percezione generale relativa alla leadership femminile, tutti gli altri indicatori sono negativi.

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Il premio alla leadership

La Mo Ibrahim Foundation è stata fondata nel 2006 dal miliardario sudanese Mo Ibrahim con l’obiettivo di definire, valutare e migliorare la leadership e la governance in Africa, in quanto ritenute fattori cruciali, indispensabili, per il progresso del continente.

La Fondazione è nota e molto apprezzata per il suo Ibrahim Prize for Achievement in African Leadership, il più grande premio al mondo, più di qualsiasi altro, in quanto assegna 5 milioni di dollari, suddivisi in rate annuali di 500.000 dollari erogate in dieci anni, a cui si aggiungono 200.000 dollari all’anno per il resto della vita.

Viene conferito a ex capi di Stato e di governo che siano stati eletti democraticamente, abbiano svolto il loro mandato nel rispetto della costituzione, abbiano prodotto sviluppo, abbiano rafforzato la democrazia e i diritti umani e costituiscano quindi un modello di leadership per il continente. È un premio annuale. Ma forse non sorprende che, dalla sua istituzione nel 2007, sia stato possibile assegnarlo solo sei volte: nel 2007, 2008, 2011, 2014, 2017 e 2020.



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