La terza sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 36925 del 3 ottobre 2024, ha ritenuto che l’amministratore di condominio abbia la legittimazione e l’interesse a presentare un’istanza di riesame del sequestro preventivo penale riguardante i beni comuni.
Secondo la Suprema Corte, questa autonomia deriva, da un lato, dalle funzioni specifiche legate alla gestione economica ordinaria del condominio e alla realizzazione di atti conservativi delle parti comuni dell’edificio, e dall’altro, dalla qualifica di detentore che spetta al mandatario, soprattutto se quest’ultimo è anche custode giudiziario del bene sottoposto a sequestro.
In tali situazioni, sono presenti entrambe le condizioni richieste dalla legge per riconoscere il diritto di presentare la richiesta di riesame: il potere di disporre dei beni sequestrati e un interesse concreto e attuale alla loro restituzione.
Pertanto, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’istante contro l’ordinanza del Tribunale della libertà di Napoli del 16 aprile 2024, che aveva dichiarato inammissibile l’istanza di riesame del sequestro preventivo disposto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli il 18 marzo 2024, su un complesso edilizio gestito dall’indagato, che deteneva anche il permesso di costruire.
Le motivazioni del Tribunale
Il Tribunale della libertà aveva negato all’amministratore/indagato la possibilità di presentare la richiesta di riesame del sequestro, sostenendo che, non essendo il proprietario dei beni colpiti dalla misura, non poteva vantare un interesse concreto e attuale all’impugnazione, che il Legislatore definisce come il diritto alla restituzione della cosa, conseguente al dissequestro.
Per essere legittimato a presentare impugnazione, infatti, l’indagato o l’imputato deve basare la sua richiesta sulla sussistenza di un legame specifico con il bene, poiché il ricorso deve mirare a ottenere un risultato immediato che produca effetti nella sfera giuridica dell’impugnante (Corte di Cassazione, numero 15998/2014).
La valutazione della Corte Suprema
Secondo il massimo collegio, l’argomento presentato nel caso specifico non è pertinente, poiché non considera adeguatamente il fatto che il ricorrente, oltre a ricoprire il ruolo di amministratore, era anche custode giudiziario del bene sequestrato.
In qualità di amministratore, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il ricorrente si trovava in una posizione di detenzione qualificata rispetto alle risorse economiche necessarie per garantire la corretta erogazione dei servizi comuni e la manutenzione della proprietà condominiale (Corte di Cassazione, numero 33813/2023).
In qualità di custode giudiziario, il suo interesse alla restituzione dei beni sequestrati era ulteriormente rafforzato, conferendogli un ulteriore titolo per essere considerato un detentore qualificato.
L’orientamento della giurisprudenza civile
La Corte osserva inoltre che tali conclusioni sono ampiamente condivise anche in ambito civilistico dalla giurisprudenza di legittimità. Infatti, è pacifico che, nel caso in cui i beni condominiali siano oggetto di sequestro preventivo penale, la loro indisponibilità per i singoli condòmini, per l’assemblea e per l’amministratore si verifica solo se è stato nominato un custode giudiziario diverso dal mandatario, a cui vengono temporaneamente trasferiti i relativi compiti gestionali per esigenze pubbliche superiori (Corte di Cassazione, ordinanza 23255/2021).
Se ciò non accade, come nel caso in esame, e l’amministratore funge anche da custode giudiziario, non c’è dubbio che egli mantenga la sua duplice posizione di detentore qualificato. Questo gli consente, in virtù delle specifiche attribuzioni previste dagli articoli 1130 e 1131 del codice civile, di agire autonomamente, nei limiti delle sue competenze, sia per la gestione della cosa comune che per presentare l’istanza di riesame del sequestro penale, potendo rivendicare, per tale sua qualità, il diritto alla restituzione.
Pertanto, l’ordinanza è annullata e si rimette al giudice del riesame una nuova valutazione dei fatti del caso.
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