Il potere nordamericano sta mutando la sua natura in forme sempre più cangianti e rapide. La radice sta in primo lungo nella trasformazione della sua struttura sociopolitica interna, ossia nelle sue subculture politiche. Quelle forme sociali che Paolo Farneti aveva definito più di trent’anni orsono in guisa inimitabile ed euristicamente formidabile. Tra la società civile e il sistema dei partiti stanno, infatti, le subculture politiche che sono, diremmo noi oggi, i landscape ideologici e normativi che avvolgono e determinano i comportamenti e i mores dei gruppi sociali che formano la società civile, aggrumandosi attorno alle forme delle proprietà che popolano i mercati.
Pensate alle cosiddette basi elettorali rispettivamente dei repubblicani e dei democratici. Sono radicalmente cambiate: oggi gli operai votano repubblicano, impensieriti dalla liberalizzazione cosmopolita innervata dalle politiche blair-clintoniane della sregolazione immigratoria e della finanziarizzazione globalizzante; i repubblicani, d’altro canto, non vengono più votati dalle classi intellettuali seguaci un tempo del Lincoln contrario allo schiavismo e al Ku Klux Clan.
In politica estera le conseguenze non sono state da meno e via via gli Usa si sono impegnati non più nella lotta frontale e in prima persona contro l’Urss prima e la Russia post-eltsiniana poi, che poterono finire di distruggere rapinandola. Non pareva vero agli Usa, divenuti unipolaristi e così ben descritti da David Calleo nelle sue insuperabili opere, di continuare a dominare il mondo, come avevano fatto dopo la vittoria di Stalin nella Seconda guerra mondiale in Europa (Stalin era arrivato primo a Berlino e impose il blocco della stessa città sfidando la deterrenza atomica: lo fece in Europa come a Cuba).
La differenza tra ieri e oggi sta nel fatto che, con l’emergere della Cina e il fallimento della grande illusione dell’integrazione del Pcc per via finanziaria, ora gli Usa hanno ben compreso che il domino della storia mondiale si gioca nell’Indo-pacifico e per questo in Europa lasciano le nazioni europee a fare i conti con sé stesse e il loro destino. Le armi della guerra all’orso russo devono ora essere nelle mani di quelle nazioni: devono scegliere tra welfare e armamenti (se non vogliono mutare il loro modello dominante d’economia e di proprietà nell’economia). Dinanzi a tutto ciò si erge, con le sue illusioni, l’Inghilterra, dominata sempre da un’ostilità alla Russia secolare; un’Inghilterra sì combattente, ma sfigurata sempre più dal decadimento e dalla subalternità nei confronti delle monarchie petrolifere e del nuovo asse jagellonico baltico-ottomano, con tutti i prezzi che si devono pagare – quanto a fragilità dell’accordo – con una Turchia e un’Europa ancora riluttante a essere dominata, ma, di fatto, sempre più dipendente dagli Usa e dai suoi alleati baltico-polacchi, come dimostra la guerra di aggressione putiniana alla provincia ucraina dell’impero russo, con tutte le conseguenze del caso sul piano dei confronti di potenza e dei nuovi mezzi che per il confronto si usano.
Si potrebbe dire che dalla deterrenza atomica si è passati alla deterrenza energetica, come dimostra il caso dell’Ue nei frangenti delle sanzioni Usa alla Russia… e all’Europa tutta che ne conseguono.
La Cancelliera Angela Merkel, non a caso cresciuta nella Germania dell’Est, in cui la sua famiglia luterana si era recata nel 1954, ha condotto l’Uem la Germania e l’alleato-nemico francese al fallimento sul piano economico, confidando sull’eternità della possibilità, per l’impero russo, di continuare quell’integrazione economica con il plesso germanico-baltico secolare che aveva segnato la gloria degli zar, dalla sconfitta della Svezia sul campo di Poltava nel 1709. Quella battaglia combattuta nei freddi mari del nord che segnò la fine – con la coalizione anti-svedese danese e brandeburghese appoggiata dagli Hannover e dalla Russia nel 1721- del dominio svedese nel Baltico.
Oggi le sanzioni energetiche e finanziarie hanno sconvolto il modello economico e politico che reggeva l’Ue. Francia e Germania si illudevano che, grazie ai rifornimenti energetici russi a prezzi cogestiti si potesse sostenere l’economia europea e nel mentre conquistare crescenti gradi di autonomia dagli Usa, come dimostrò l’illusione del 2003, quando Francia e Germania si differenziarono dall’anglosfera sul tema della guerra all’Iraq, che segnò l’inizio della disintegrazione in corso del Grande Medio Oriente.
Senonché tutto era fondato sulla sabbia: quei rifornimenti energetici a prezzi più bassi del mercato mondiale alimentarono l’illusione – che ancora prevale – della via elettrica all’industrializzazione, senza il motore termico, pur ben temperato ecologicamente. Ora sappiamo com’è finita, come finirà…
Gli Usa repubblicani in versione Trump annunciano ora, chiaro e tondo, che gli europei – o l’Ue, non si comprende… – devono acquistare più Gnl dagli Usa; gli Usa che si cullano ancora con l’illusione di essere una potenza energetica autosufficiente e impongono i loro combustibile ad alto prezzo a un’Europa franco-tedesca in disarmo e in rovina. Finché durerà l’illusione che lo shale gas e lo shale oil possano sostituire il petrolio e il gas del Grande Medio Oriente, estratto con i collaudati mezzi perforanti verticali. L’illusione dei dominanti e dei dominati…
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