Il conflitto necessario e la svolta autoritaria

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Sei ore di intenso lavoro, più di cinquanta interventi: organizzazioni, persone, corpi intermedi, filiere della conoscenza radicate nei luoghi, cittadinanza attiva, cooperative e associazioni, mondo della ricerca economica e sociale. L’assemblea del 18 dicembre del Forum Diseguaglianza e Diversità è stata questo e molto altro, con 69 partecipanti che hanno analizzato l’anno che volge al termine e immaginato le linee d’azione per il 2025.

Un lavoro di elaborazione che dovrebbe essere la ragion d’essere dei partiti politici e delle forme organizzate di intermediazione. Forme che il modello neo-liberale ha cancellato all’insegna dell’idea che tutto ciò che “intralcia” i meccanismi di accumulazione del capitale (in primis le pressioni democratiche) deve essere azzerato, depotenziato, distrutto. I luoghi fisici e organizzativi della politica richiedono cura, tempo, risorse e metodo; rendono possibile e concreta la capacità di anticipare le linee del cambiamento sociale, mettono in squadra le questioni di rilevanza collettiva, individuano le missioni collettive utili per migliorare il modello di società e di convivenza.

PROVA CONCRETA di tutto ciò è la prescienza con cui nel maggio 2020 il ForumDD coglie in un documento pubblico il rischio che il modello liberale di economia e quello autoritario di politica possano: “mescolarsi in una soluzione unificata, dove lo Stato è supino (alle decisioni di pochi) e di tasca larga sul terreno dell’economia e pro-attivo e punitivo sul terreno delle libertà e dei diritti”.

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È impressionante leggere ora, quattro anni dopo, quanto questa previsione si sia rivelata azzeccata. Infatti, già dal 2021 si manifesta una crescente resistenza del sistema politico-istituzionale alle proposte di riformismo radicale avanzate dal ForumDD, per esempio con la chiusura a ogni diagnosi circa gli evidenti errori di impostazione del PNRR, che poi diverranno manifesti e che oggi sono l’elefante nella stanza. Una sorta di “sindrome di Cassandra”, amplificata da un sistema mediatico occupato da opinionisti generalisti o schierati a favore degli interessi che “sanno farsi ascoltare”, mentre l’elaborazione progettuale anticipatoria rimane inascoltata e non “buca” la coltre della rappresentanza istituzionale.

Oggi siamo a cambio di fase. In gioco non c’è più solo o tanto la lotta alle diseguaglianze, la “missione” originaria del ForumDD. Oggi non è sufficiente accontentarsi della robustezza della diagnosi che, ancorché inascoltata, ha visto in anticipo la direzione del cambiamento politico con il mostruoso connubio tra autoritarismo, centralismo, disintermedazione economica e politiche reazionarie sul terreno dei diritti che è al governo del Paese. Oggi deve essere chiaro che al governo si combinano tratti di mera incapacità tecnica, che minacciano ogni possibilità di sviluppo economico, e tratti di autoritarismo corporativo, che premia la distribuzione a pioggia di risorse pubbliche, con l’indebolimento di quel che resta dell’azione pubblica universalistica su sanità, scuola, Università, trasporti. Il tutto supportato dall’ulteriore spaccatura dell’equilibrio fra potere legislativo, esecutivo e giudiziario.

QUI UN PUNTO CRUCIALE sottolineato dall’assemblea del ForumDD: l’attuale politica economica del Governo crea le condizioni per la maturazione nel Paese di nuove aree di potenziale “contro-potere” che sono danneggiate dalle scelte dell’esecutivo. Si pensi alle libere professioni, a quelle parti del terzo settore non “catturate” dalla distribuzione di fondi pubblici, ai livelli intermedi del governo e dei territori, alla parte più innovativa delle imprese private, a tutte quelle esperienze che ricercano nuove forme di relazione tra partecipazione, tecnologia e produzione di beni e servizi. Si tratta di aree molto eterogenee e che non costituiscono “naturalmente” un insieme di interessi facilmente aggregabili in una domanda politica univoca. Una possibilità, per farlo, è quella di lavorare alla costruzione di rapporti di forza che permettano di alzare il livello del conflitto politico.

SI TRATTA QUINDI di aprire vertenze nazionali per la promozione e l’adozione di specifiche proposte; di promuovere iniziative nazionali di tipo giudiziale per contestare la mancata applicazione di norme o promuoverne l’uso; di sostenere azioni di disobbedienza civile per attivare un impegno diffuso nel contrastare norme ingiuste.

Il tutto evitando la sindrome dei cento fronti, dispersiva di energie; il collateralismo, ossia partecipare ad alleanze dove il valore aggiunto dell’azione-in-comune si perde; la passività, ossia essere costretti sui terreni decisi dagli avversari; il “retismo” dove ogni soggetto fa rete con tutti gli altri, mettendo se stesso al centro e accrescendo la frammentazione. Di nuovo, rischi facilmente evitabili se l’organizzazione e l’intermediazione politica non fossero state depotenziate e distorte con la connivenza di tutta la classe politica post-89. Un buon proposito per il 2025 potrebbe quindi essere la ricostruzione delle forme della politica, in modi adeguati ai tempi nuovi.
@FilBarbera



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