Con l’ordinanza numero 25505 del 24 settembre 2024,, la seconda sezione civile della Corte di cassazione ritiene più che probabile che il proprietario, potendone disporre liberamente, avrebbe tratto una diversa – e ben più consistente- utilità economica dell’immobile di pregio occupato abusivamente, con ciò integrando un danno per il mancato godimento.
I fatti per cui è causa
Il proprietario di un lussuoso appartamento situato nel centro di Roma, nelle immediate vicinanze di piazza Navona, ha citato in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, la persona che, secondo quanto affermato, occupava una parte dell’immobile senza titolo. Il proprietario ha richiesto la condanna dell’occupante all’immediato rilascio dell’immobile e al risarcimento dei danni patrimoniali subiti a causa dell’occupazione illegittima.
Il convenuto si è costituito in giudizio, opponendosi non solo all’azione di rivendicazione, chiedendone il rigetto, ma ha anche presentato una domanda riconvenzionale, sostenendo di aver usucapito l’immobile in questione, derivante dal frazionamento di un unico subalterno catastale, grazie a un possesso ultraventennale, pubblico, pacifico e non interrotto.
Il Tribunale di Roma, accogliendo la domanda principale, ha respinto la domanda riconvenzionale e ha condannato il convenuto all’immediato rilascio dell’immobile, oltre a ordinargli di versare al proprietario la somma di 67.767,00 euro a titolo di risarcimento per l’occupazione illegittima dell’appartamento in questione.
Dopo che il soccombente ha proposto appello, con la resistenza dell’originario attore, la Corte d’appello di Roma, con la sentenza numero 1375/2020, ha confermato la decisione del primo giudice. L’appellante, già convenuto e attore in riconvenzionale, ha quindi presentato ricorso per la cassazione della sentenza.
La decisione della Suprema Corte
Con l’ordinanza n. 25505/2024, la Corte Suprema ha respinto completamente le argomentazioni del ricorrente, sottolineando che gli elementi necessari per invocare validamente l’usucapione dell’immobile occupato non sono stati adeguatamente dimostrati dalla parte interessata.
In primo luogo, non è stata fornita una prova sufficiente della volontà di possedere l’immobile come se fosse di proprietà, poiché dagli atti processuali emerge che l’unità immobiliare in questione derivava dal frazionamento di un appartamento originario, che il proprietario aveva affittato al ricorrente. Di conseguenza, quest’ultimo deteneva l’immobile in virtù di un contratto di locazione, il quale implica, per sua natura, il riconoscimento della proprietà altrui.
In questo contesto, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il Tribunale e successivamente la Corte d’Appello avessero correttamente argomentato, evidenziando che il ricorrente non aveva fornito gli elementi necessari per stabilire in modo incontrovertibile se l’appartamento occupato fosse compreso nell’unità immobiliare affittata nel 1970 e, di conseguenza, se avesse inteso utilizzarlo come detentore qualificato o come possessore. Pertanto, non è stato dimostrato in modo adeguato il necessario animus possidendi da parte dell’istante, affinché potesse configurarsi l’usucapione invocata.
Sulla presunzione del danno
La Suprema Corte ha ritenuto altrettanto criticabile l’ulteriore contestazione sollevata dal ricorrente riguardo all’errata qualificazione giuridica della fattispecie da parte dei giudici di merito.
Secondo l’istante, i giudici avevano erroneamente classificato l’occupazione indebita dell’appartamento in questione come un caso di danno in re ipsa, risarcibile senza necessità di prova specifica da parte del proprietario/danneggiato. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la motivazione della Corte distrettuale fosse priva di vizi logici e giuridici, risultando quindi non solo condivisibile, ma anche non soggetta a contestazione in sede di legittimità.
Infatti, i giudici di secondo grado, come osservato dagli Ermellini, si sono allineati al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione, numero 39/2021; Corte di Cassazione, numero 20708/2019; Corte di Cassazione, numero 14268/2021), non identificando nella fattispecie esaminata un caso di danno oggettivo.
Al contrario, hanno correttamente considerato la specificità del caso concreto, relativo all’occupazione abusiva di un immobile situato in una zona centrale e di pregio di Roma, sottolineando come fosse ragionevole presumere, in tale contesto, una diversa e più vantaggiosa utilizzazione economica da parte del proprietario, qualora fosse stato reintegrato nel possesso dell’appartamento o avesse comunque mantenuto la piena disponibilità dello stesso.
La corretta determinazione del risarcimento
Infine, in assenza di prove contrarie sufficienti a contestare la presunzione menzionata, il Supremo Collegio ritiene condivisibile anche la valutazione del danno effettuata dai giudici di merito.
Considerando le dimensioni dell’immobile (circa 40 metri quadrati) e la sua posizione (nel centro di Roma), l’importo di circa mille euro al mese, corrispondente al valore locativo dell’immobile, che il proprietario avrebbe potuto facilmente ottenere se l’appartamento fosse stato libero e nella sua disponibilità, appare adeguato e non suscettibile di contestazione in sede di legittimità, anche in virtù della mancata presentazione di stime alternative da parte dell’istante.
Pertanto, il ricorso è stato rigettato, con condanna della parte soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, equivalente a quello previsto per il ricorso.
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