L’Agcom (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) ha di recente pubblicato il valore del Sistema Integrato delle Comunicazioni per l’anno 2022. Il valore ammonta a 19,4 miliardi, +2,5% rispetto all’anno precedente.
Il Sic fu introdotto dalla legge n.112/2004 (nota come “Legge Gasparri”), legge poi confluita nel Testo Unico dei Media Audiovisivi (Tusma) nel 2005; è un metodo per misurare il livello di concentrazione nel sistema media. Quando un operatore supera con i propri ricavi il 20% del Sic, scattano i vincoli dell’antitrust. All’epoca vi furono polemiche in quanto si ritenne che questo metodo fosse stato introdotto per mascherare la realtà, che vedeva Mediaset il dominus assoluto sul sistema televisivo (con una raccolta del 60% della pubblicità televisiva). Nel Sic furono infatti introdotti settori di mercato che non avevano relazioni dirette con la televisione, come per esempio le agenzie di stampa, l’editoria elettronica, ed in tal modo risultava impossibile che un unico soggetto potesse superare la soglia del 20%.
La serie storica evidenzia che il sistema della comunicazione col passar del tempo si è impoverito. Il suo valore equivale a quello registrato nel 2012.
Uno dei problemi attuali del Paese è il calo della produzione industriale e l’impoverimento delle industrie manufatturiere. Nel mercato della comunicazione succede la stessa cosa. Noi siamo grandi consumatori di comunicazione, ma scarsi produttori di contenuti editoriali, come conferma il fatto che i nostri programmi non hanno mercato fuori dai confini. Consumiamo in prevalenza contenuti che vengono dall’estero. La televisione commerciale partì negli anni ottanta con le soap sudamericane, poi arrivò Beautiful, oggi vanno per la maggiore le fiction prodotte in Turchia. Finito il tempo del Commissario Montalbano, anche un’eccellenza come è stata per anni Raifiction si sta indebolendo. La Rai, che dovrebbe alimentare la nostra industria dell’audiovisivo, sembra preoccuparsi più di incombenze di natura politica.
Ed è così che la televisione, vista in prevalenza dagli anziani, vivacchia e declina. Stessi problemi riguardano gli altri settori della comunicazione, per esempio il cinema, che si contrassegna per i tanti e spesso inutili festival. In questo desolante scenario, le piattaforme web sono facilitate a conquistare maggiori spazi.
La comunicazione si finanzia con tre risorse: il canone di abbonamento, la pubblicità (il 58% del Sic) e il pagamento diretto degli utenti. Ebbene tutte e tre le risorse sono in crisi: il canone di abbonamento è il più basso in Europa ed è sottoposto agli strali della maggioranza; la pubblicità e gli abbonamenti risentono del calo dei consumi delle famiglie. C’è infine una quarta fonte di ricavo per le imprese media, la vendita dei programmi prodotti, segmento dal quale siamo assenti.
Un altro dato interessante segnalato dall’Agcom è la classifica dei principali operatori sul Sic. Fra i primi dieci operatori che operano nella comunicazione, ben cinque sono i giganti media: Google occupa il secondo posto dietro la Rai, ci sono poi Sky, Meta, Amazon, Netflix (subito dopo nella classifica ci sono Dazn e Discovery). Sette anni prima, nel 2015, c’erano solo due società americane, Google e Facebook.
È evidente che i contenuti editoriali offerti dai grandi network digitali sono graditi dal pubblico, ma è altrettanto evidente che trovano terreno fertile in Italia per via della debolezza delle nostre produzioni. C’è da aggiungere anche che le grandi piattaforme (le OTT) godono di particolari vantaggi. Nel segmento della pubblicità, per esempio, le OTT non hanno i vincoli degli altri mezzi, per esempio in termini di affollamento. Il digital è un mezzo potentissimo per la pubblicità, se non altro perché grazie agli algoritmi si arriva a conoscere tutto delle singole persone; se il mezzo è arrivato in pochi anni ad aver il 45% della torta pubblicitaria è grazie anche alle “libertà” di cui le OTT godono.
Finché la politica preferirà favorire i grandi operatori media, per i benefici che possono dare elettoralmente, saremo sempre più subordinati ad essi.
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