«Benedetta nebbia». Oksana Orlovska sale i pochi scalini che, dalla cantina dove passa le giornate, la riportano nel mondo. Anche se quello che la circonda è un mondo di distruzione, colpi di artiglieria che rimbalzano dalla collina dei combattimenti, militari che fanno avanti e indietro con le trincee. Sono le tre del pomeriggio e il buio si impossessa rapidamente delle vie, mentre la foschia rende tutto ancora più spettrale. «Ringraziamo il cielo che c’è la nebbia. Almeno impedisce che si alzino i droni russi usati per individuare i bersagli e attaccarci. Poi anche gli scontri sono più difficili. Consideriamolo un dono per il Natale…». Basta poco per accontentarsi quando si vive in un villaggio appena dietro la linea del fronte.
Oksana Orlovska e la sua vita sotto terra nei villaggi intorno a Kupiansk dove avanza l’esercito russo – Gambassi
È l’abitato di Hrushivka, a meno di dieci chilometri dai campi di battaglia: quelli che tutti associano alla località di Kupiansk, città-snodo dell’Ucraina orientale, nell’ultimo lembo della regione di Kharkiv, all’intersezione fra la Russia che dista cinquanta chilometri e le oblast ucraine di Donetsk e Lugansk. Un crocevia strategico che da mille giorni è nel mirino di Putin, ossia fin da quando è iniziata l’invasione. Occupato nei primi sei mesi di conflitto e poi liberato dall’esercito di Kiev, è oggi a un passo dall’assedio. «Nelle scorse 24 ore i nostri uomini hanno respinto undici assalti del nemico», comunica l’ultimo dispaccio di Kiev. I battaglioni del Cremlino hanno già strappato all’Ucraina molta della riva sinistra del fiume Oskil che divide in due la città e l’omonimo distretto. È la grande offensiva lanciata qui da oltre un mese, come effetto a catena dei successi che Mosca sta ottenendo nella regione di Donetsk dove le truppe russe avanzano a una media di cinque chilometri al giorno. Mosca e Kiev sono concordi nel considerare Kupiansk una testa di ponte: per tentare l’ennesima incursione nella regione di Kharkiv, secondo la visione del Cremlino; per salvare i territori intorno all’ex capitale che dà il nome all’oblast, nella prospettiva ucraina.
La distruzione nei villaggi intorno a Kupiansk dove avanza l’esercito russo – Gambassi
A Hrushivka la vita di Oksana è in gran parte sottoterra, nell’unico punto d’incontro dell’agglomerato. «Ma non dite dove si trova», chiede. L’hanno ricavato negli scantinati di uno dei pochi edifici ancora intatti. «Però nel giardino è piombato un razzo. E vicino c’è l’ospedale che è stato bombardato nell’autunno 2022. Una tragedia: due morti e decine di feriti fra cui alcuni ragazzi ricoverati. Non l’hanno più riaperto per ragioni di sicurezza». Un comignolo esce a livello della strada. È della stufa a legna istallata per cucinare e riscaldare le due stanzette che fanno anche da hub umanitario. L’elettricità va e viene. Così il fuoco diventa un salvagente nel terzo inverno di guerra. Quattrocento gli irriducibili che continuano a vivere a Hrushivka, sfidando la sorte, le bombe e l’incubo dell’avanzata russa. «Eravamo in 1.400», ricorda Oksana. Non restano né bambini, né malati, né disabili. «Tutti portati via da pochi giorni, dopo il recente ordine di evacuazione obbligatoria delle autorità regionali. Anche a noi suggeriscono di andarcene: ma non possiamo abbandonare né le nostre case, né gli anziani o le famiglie che non desiderano muoversi, né i soldati che ci difendono», dice la donna di 54 anni. Lei resiste con il marito Volodymyr. «Il lavoro? Non c’è per nessuno. Tanti erano impiegati nelle Ferrovie, ma i binari sono stati fatti saltare in aria. Anche muoversi in auto è complicato: le strade sono un obiettivo». Si sopravvive con gli aiuti.
Gli aiuti umanitaria della “carità del Papa” nei villaggi lungo il fronte della regione di Kharkiv – Gambassi
E nel seminterrato arrivano alla vigilia della Natività anche quelli di papa Francesco. «Medicine e cibo di uno degli ultimi carichi recapitati in Ucraina dall’elemosiniere pontificio, il cardinale Konrad Krajewski», spiega suor Oleksia Pohrsnychna. L’energica religiosa di San Giuseppe, che svolge il suo servizio nella Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv, li ha stipati sul suo pulmino per portarli nei paesini delle zone rosse. «Una spedizione di speranza», la chiama, frutto anche della generosità italiana di numerose realtà: da “Frontiere di pace” di Como agli “Amici in cordata nel mondo” di Ponte di Legno passando per il “Comitato Ukrain Aid” di San Giovanni Valdarno che nella diocesi di Fiesole riunisce varie sigle di impegno ecclesiale.
Suor Oleksia Pohrsnychna, la religiosa greco-cattolica che porta gli aiuti umanitari nei villaggi lungo il fronte della regione di Kharkiv – Gambassi
A Hrushivka resta nella memoria collettiva lo spettacolo di Pimpa, al secolo Marco Rodari, il “Claun” – scritto all’italiana sul giubbotto antiproiettile – nominato da Sergio Mattarella “Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica”. «Era venuto nel Natale di due anni fa: grazie a lui i nostri bambini avevano ritrovato il sorriso dopo i mesi sotto i russi», ripercorre Oksana. E cita il nipotino di quattro anni: «Sta a Kharkiv. Non lo vedo più. Mi chiama al telefono e ripete: “Nonna, voglio venire da te dove andavo in giro in bicicletta”». Entrambe le sue figlie si sono trasferite nel capoluogo: una è medico, l’altra militare. L’eco di un’esplosione entra nel rifugio interrato. In un tavolino ci sono i santini con le icone della Vergine. «In queste ore la invochiamo per Alexey: è il figlio soldato dei nostri vicini di casa. In uno scontro in prima linea a Zaporizhzhia è stato ferito e ha perso una gamba. È rimasto otto giorni fra i campi di battaglia. Lo credevano morto. Invece era vivo: quasi in miracolo. Ha resistito da solo, sotto il fuoco. Poi lo hanno recuperato. Adesso è in ospedale ma rischia che gli vengano amputate anche le mani». Una pausa. «Qui io rimango. Tanto non siamo al riparo dalla follia russa in nessun angolo dell’Ucraina».
La famiglia Zuzulia che ha le valigie pronte per fuggire in caso di sfondamento russo – Gambassi
Vita precaria quella intorno al fronte. Come nel villaggio di Merna, lungo la provinciale per Kupiansk. «L’abitato si chiamava Pervomaiske; ora è stato ribattezzato con la parola “pacifico”», racconta Anastasia Zuzulia. Ha 28 anni e due figlie: Sofia di sei anni che, aggiunge la mamma, «sogna di tornare a scuola per non fare più le lezioni online»; e Solomiia di sei mesi, «nata durante la guerra: un regalo della Provvidenza». Per la sua famiglia è un Natale «con le valigie pronte», sospira Anastasia. Il cuore le fa dire che «i nostri fermeranno l’avanzata russa»; la ragione la persuade ad essere in grado di partire subito in caso di sfondamento russo. «Però non abbiamo dove andare. Poi mio marito Roman ha un banco al mercato di Shevchenkove».
L’ultimo bombardamento fra le case a Shevchenkove, la cittadina che accoglie gli evacuati dal fronte nella regione di Kharkiv – Gambassi
Shevchenkove è la cittadina degli evacuati, a un paio di chilometri, il primo “porto sicuro” di chi fugge dall’esercito di Putin che conquista nuove terre. Sicuro, per dire: nei giorni che precedono le feste un missile ipersonico Iskander si è abbattuto su una via residenziale. «È stato ucciso un giovane di 33 anni che stava facendo delle riparazioni in una casa; e due donne, Tatiana e Valentina, di 65 e 67 anni, che tornavano dal mercato e sono state investite dall’esplosione», afferma Tatiana Oncirova, responsabile del presidio di aiuti ospitato nel Centro della cultura che sfama e veste i profughi di guerra. Anche qui giunge la “carità del Papa” grazie alla Caritas greco-cattolica di Kharkiv.
Tatiana Oncirova, la responsabile dell’hub umanitario a Shevchenkove, la cittadina che accoglie gli evacuati dal fronte nella regione di Kharkiv – Gambassi
«Ogni settimana vengono da noi trecento nuovi sfollati, per lo più da Kupiansk ma anche dal Donbass», avverte Tatiana mostrando le listi scritte a mano. «Su 10mila residenti, abbiamo 4mila rifugiati. Ma sono quelli registrati negli uffici pubblici: nessuno sa quali siano i numeri reali». Il piccolo stabile è il solo spazio in cui i bambini si radunano. «Pochi per volta – precisa l’ex insegnante -. Ma almeno abbiamo fatto il coro di Natale». Poi riprende fiato. «C’è tanta paura. E siamo stanchi. Se verremo occupati di nuovo, come era accaduto all’inizio della guerra, sappiamo che noi volontari saremo i primi a essere presi. Perché ci dedichiamo a proteggere la gente». Certo, a Shevchenkove si fa fatica a immaginare la pace. «La vogliamo con tutte le forze – conclude Tatiana -. Ma ci sarà bisogno che la Russia si ribelli a Putin. Che cosa aspettano le madri russe a scendere in piazza e gridare: “Basta con i nostri figli che vengono mandati a morire in Ucraina”».
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