L’ex braccio destro di Borsellino: pronto a riferire all’Antimafia

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«Non desecretate la mia audizione, piuttosto vengo a deporre in Antimafia». Al puzzle incompleto sulla morte di Paolo Borsellino mancano molti tasselli, lo sappiamo. Uno dei suoi più stretti collaboratori è l’allora tenente Carmelo Canale, fedelissimo del giudice saltato in aria in Via D’Amelio e mascariato ingiustamente da un nugolo di pentiti, in testa l’allora «ministro dei Lavori pubblici della mafia» Angelo Siino. Il presidente della commissione Antimafia Chiara Colosimo vorrebbe desecretare una sua vecchia audizione a Palazzo San Macuto, quella del 3 settembre 1997 sul famigerato dossier Mafia-Appalti dei Ros a cui il giudice stava lavorando e sugli ultimi incontri tra Canale Borsellino.

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L’allora presidente della commissione Ottaviano Del Turco gli aveva garantito che, non essendo indagato, la sua deposizione era necessaria senza l’ausilio del legale del tempo, ovvero Carlo Taormina, perché a Del Turco lo aveva assicurato Gian Carlo Caselli. Invece era già indagato da tempo dalla Procura della Repubbica di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa (procedimento penale n. 4888/1996 R.G.N.R. Mod. 21 D.D.A.) e quelle rivelazioni lo inguaiarono per 14 anni con accuse false, da cui venne assolto con sentenza irrevocabile «perché il fatto non sussiste». Dopo quell’audizione la verità venne annacquata ulteriormente, dentro il centrosinistra di allora – come rivelò Del Turco a Massimo Bordin su Radio Radicale il 17 novembre 2004 – in tanti si erano opposti temendo che le dichiarazioni di Canale potessero «destabilizzare gli equilibri istituzionali della giustizia in Sicilia», come ha ricordato recentemente Damiano Aliprandi sul «Dubbio».

«Il Giornale» ha intercettato la lettera che Canale ha scritto alla Colosimo per negare la sua liberatoria alla desecretazione. «Nonostante l’assoluta buona fede e la correttezza dell’allora presidente Ottaviano Del Turco (…) la stessa deposizione è stata purtroppo eseguita, in spregio delle minimali garanzie difensive previste dalla legge e dalla Costituzione». Dell’indagine a suo carico si scoprì dopo la sua audizione, Caltanissetta aprì un inchiesta sui magistrati che avevano rivelato l’esistenza delle indagini. Per il pm Alfonso Sabella la diffusione pilotata delle indiscrezioni alla vigilia di un’importante stagione processuale aveva l’obiettivo di screditare Siino, invece la storia ci dirà il contrario. Eppure «il presidente Del Turco era stato ripetutamente rassicurato da Caselli sulla circostanza che io non fossi iscritto nel registro degli indagati», ribadisce Canale nella sua missiva. Ma non era vero. Eppure, da uomo di Stato, nonostante la «grave violazione del mio diritto di difesa (…) che mi obbliga a non autorizzare la desecretazione rimango a disposizione della Commissione per una eventuale mia audizione».

L’ex braccio destro di Borsellino era stato accusato da sette pentiti tra cui Siino, Leonardo Canino, Antonino Patti, Vincenzo Sinacori e Pietro Bono di aver venduto alle cosche informazioni riservate «per sostenere le spese per la figlia ammalata», aveva detto Giovanni Brusca. Siino aveva chiamato in causa anche il maresciallo Antonino Lombardo, cognato di Canale, ritrovato senza vita nella sua auto nella caserma dei carabinieri di Palermo il 4 marzo 1995. Nessuno della sua famiglia crede al suicidio né alla lettera-testamento ritrovata sul posto, anzi Agnese Borsellino aveva ricevuto dal maresciallo la promessa che avrebbe indagato sulla strage di Via D’Amelio. Altro mistero: una settimana prima a Terrasini era morta una delle fonti del maresciallo. Durante la testimonianza, Del Turco rivelò nella stessa intervista a Bordin che dovette intervenire per impedire che Canale facesse i nomi di due magistrati palermitani riferiti dalla moglie di Lombardo, ufficialmente per evitare di trasferire tutta la documentazione alla Procura di Caltanissetta che era competente per eventuali reati commessi dai magistrati di Palermo», ha spiegato.

Ma chi sono questi due pm? C’entra l’inchiesta di Caltanissetta sul «nido di vipere» e sull’insabbiamento frettoloso del dossier Mafia-Appalti? Che cosa altro ha da dire Canale? E perché Lombardo si tolse la vita o fu ucciso? C’entra il viaggio negli Usa che doveva fare per portare don Tano Badalamenti in Italia a confutare le dichiarazioni di alcuni pentiti eccellenti? All’Antimafia e alla sua audizione l’ardua sentenza.



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