Giubileo 2025: Porta Santa nel carcere di Rebibbia. Padre Boldrin (cappellano): “Riapriamo alla speranza anche per chi ha sbagliato nel mondo”

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Giovedì 26 dicembre Papa Francesco apre la Porta Santa nella Casa circondariale di Rebibbia. Un evento che vuole rappresentare un gesto simbolico proprio per rimarcare il tema dell’anno giubilare “Pellegrini di speranza”, parola centrale del percorso di rieducazione dei carcerati, perché possano credere nella possibilità di riscatto da un passato pesante e pieno di sofferenza. Il Sir ha incontrato padre Lucio Boldrin, cappellano nel carcere di Rebibbia e delegato regionale per le carceri del Lazio, per parlare della scelta di Bergoglio e del suo atteggiamento misericordioso nel riconoscere la possibilità che ogni individuo possa ricevere la grazia di Dio, che perdona ogni errore commesso

(Foto Calvarese/SIR)

Martedì 24 dicembre inizia ufficialmente il Giubileo con l’apertura da parte di Papa Francesco della Porta Santa della basilica di San Pietro, seguita appena dopo Natale, precisamente giovedì 26 dicembre alle ore 9, con l’apertura della Porta Santa nella Casa circondariale di Rebibbia. Un evento quest’ultimo che vuole rappresentare un gesto simbolico proprio per rimarcare il tema dell’anno giubilare “Pellegrini di speranza”, parola centrale del percorso di rieducazione dei carcerati, perché possano credere nella possibilità di riscatto da un passato pesante e pieno di sofferenza. Il Sir ha incontrato padre Lucio Boldrin, cappellano nel carcere di Rebibbia e delegato regionale per le carceri del Lazio, per parlare della scelta di Bergoglio e del suo atteggiamento misericordioso nel riconoscere la possibilità che ogni individuo possa ricevere la grazia di Dio, che perdona ogni errore commesso.

Cosa significa per voi l’apertura della Porta Santa nel vostro carcere di Rebibbia? 

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(Foto Calvarese/SIR)

Non era così certa l’apertura della Porta Santa, perché altre città l’avrebbero desiderato ma il Papa ha sottolineato che le Porte Sante vengono aperte a Roma, quindi quando abbiamo avuto la notizia, che speravamo, è stata veramente una grande gioia. La gioia per noi cappellani, la gioia per i detenuti e direi anche delle maestranze penitenziarie, nonostante debbano lavorare in un giorno di festa.

Come vi siete preparati?

La chiesa centrale di Rebibbia, del Padre Nostro, era chiusa da 4 anni, e quindi sono stati fatti di lavori di ristrutturazione molto importanti ed è stata riaperta il 17 dicembre, ed abbiamo cercato di sensibilizzare la popolazione carceraria sull’evento. Senza offrire però l’illusione di una partecipazione alla cerimonia, come molti auspicherebbero, perché purtroppo la presenza prevista è abbastanza limitata per motivi di sicurezza e per motivi di spazio.

Cosa vi aspettate che dica Papa Francesco?

La speranza è che il Papa dica qualche parola di apertura su quello che attendono i detenuti: la possibilità di un indulto o di un’amnistia. L’amnistiava la escludiamo completamente ma l’indulto potrebbe essere una via di speranza, almeno per i detenuti che sono sotto i tre anni, e già sarebbe la cosa importante. Quello che è certo è che lui conosce bene la storia di Rebibbia e delle carceri, perché ci siamo già incontrati ed ha voluto sapere tutto. Comprende la situazione drammatica che stiamo vivendo, con il record di suicidi quest’anno, arrivato a 85, mentre 2000 sono stati i detenuti salvati in tempo. Questo grazie all’impegno enorme della Polizia penitenziaria, sempre sotto organico e sempre più anziana.

Io mi auguro che chi sarà presente delle autorità a livello governativo, a livello amministrativo, a livello penitenziario, possa comprendere che un detenuto non è mai solo la matricola, non è mai solo il suo reato, ma è una persona e dobbiamo rispettarla.

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Foto Calvarese/SIR

Qual è il rapporto dei detenuti con la fede e con la figura del cappellano?

Il rapporto è molto rispettoso, tenendo conto che in carcere ci sono detenuti cattolici, ma anche musulmani, protestanti, testimoni di Geova e non credenti. In questi anni ho avuto sempre un’ottima accoglienza, una confidenza con le loro esigenze e questo è molto importante, perché si percepisce come la fede sia qualcosa di importante per tutti. Qualche domenica fa, mentre dicevo messa nel corridoio di collegamento delle celle di un reparto per detenuti tenuti in isolamento tra loro, un ragazzo musulmano ha interrotto l’omelia, come spesso fanno anche altri, per sottolineare come popoli che hanno lo stesso Dio, seppur chiamandolo in modi diversi, si facciano la guerra in Medio Oriente creando una spirale di violenza che genera altra violenza, dato che l’uccisione a cui devono assistere le nuove generazioni di oggi, farà crescere giovani e adulti domani ancora più violenti.

Che senso ha un Giubileo all’interno di un carcere? 

L’apertura di una Porta Santa all’interno del carcere, col tema che ha scelto Papa Francesco, “Pellegrini di speranza”, è un Giubileo per tutti i detenuti, significa aprire una speranza alle situazioni gravi nel mondo, come ad esempio la pena di morte. Proprio nella bolla di indizione il Papa parla della necessità di togliere la pena di morte, ed è un grido che deve alzarsi forte. Porre l’attenzione sulla dignità dei detenuti, che in certe carceri viene calpestata. La Costituzione italiana richiederebbe una rieducazione del detenuto, invece non viene pienamente accolta e viene soltanto messo dentro un uomo, una donna, perché ha sbagliato, ma senza avere sempre la possibilità di un recupero.

L’apertura della Porta Santa vuole essere questo grido: riapriamo alla speranza anche per chi ha sbagliato nel mondo.

Quali sono le sue difficoltà nel rapporto con i detenuti?

La difficoltà è quella fondamentale di ravvivare la speranza. Nelle carceri aumentano i giovani che entrano dentro con la mentalità della grande violenza che si vede fuori, ci sono i detenuti adulti ai quali è difficile dare speranza se sono condannati ad uno o più ergastoli, considerati come una pena di morte bianca, e ci sono anche circa 50 detenuti in regime di 41 bis, mafiosi tra i quali è difficile celebrare messa perché gli risuonano nella testa le grida di scomunica di Giovanni Paolo II e di Papa Francesco. Proprio Papa Francesco invece ci ha detto, in un incontro fatto tra di noi, che un conto è il mafioso che continua a delinquere fuori, ma chi sta pagando la propria pena non è mai lontano dallo sguardo di Dio, e quindi può partecipare ai sacramenti. Altre difficoltà nascono la sera, quando ritorno a casa, e nel momento del silenzio tutti i pensieri, tutti i ricordi, vengono alla mente, e ti senti piccolo, piccolo, nel non riuscire a dare ciò che vorresti. 

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Qual è invece la sua gioia più grande?

La gioia è quando vedo ragazzi che riescono a tornare in libertà e non sono soli. Come capita con il progetto “Seconda chance” guidato da Flavia Filippi, ex giocatrice di tennis, che attraverso il porta a porta, fa conoscere alle imprese la legge Smuraglia che offre agevolazioni a chi assume, anche part time o a tempo determinato, detenuti ammessi al lavoro esterno. Vedere come cambiano queste persone una volta assunte, è qualcosa di indescrivibile. Vedi i loro occhi più sereni, vedi che si riaccende la speranza di non rimanere ai margini.

La speranza del domani, questa è la cosa più bella.





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