Brindisi: misconosciuta perla di Puglia

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In una delle prime puntate della serie RAI di successo Le indagini di Lolita Lobosco, andata in onda qualche anno fa, fui sorpreso di riscontrare un vero e proprio caso di appropriazione indebita, buttato lì con leggerezza. Si parlava della epocale migrazione degli albanesi del 1991, attribuendo alla città di Bari e ai baresi il merito di aver accolto a braccia aperte gli esuli in arrivo, migliaia in una unica soluzione. Le cose non andarono affatto così. Nell’agosto del 1991 ci fu un grosso sbarco di albanesi nel porto di Bari, che furono “accolti” chiudendoli in uno stadio per giorni, evocando tristi immagini sudamericane.

Dopo qualche giorno, la maggior parte dei circa 20 mila sbarcati fu rimpatriata, anche con la menzogna di uno smistamento in altre città Italiane. La vera accoglienza “diffusa” era avvenuta mesi prima, a marzo, nella città di Brindisi, che in un paio di giorni vide arrivare con ogni mezzo, quasi trentamila albanesi (circa un terzo della popolazione della città), che furono poi accolti dalla popolazione direttamente nelle proprie case con sincero spirito di accoglienza, nelle more della reazione dello Stato. Persino i vituperati contrabbandieri si distinsero nell’aiuto incondizionato. Quello avallato dalla RAI, col suo prodotto, è un furto della memoria storica, una pratica purtroppo non nuova per la città di Brindisi.

Anche in un altro programma RAI, il documentario Scugnizzi per sempre, Brindisi subisce un ulteriore torto. Il documentario racconta dell’epopea della squadra di basket di Caserta, avendo per protagonisti i due casertani veraci di quella squadra, elogiata ripetutamente come primo caso di società del sud in grado di opporsi allo strapotere del Nord.

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Tutto molto bello, se non fosse per il fatto che ben prima di Caserta è stata la squadra di Brindisi a compiere un vero miracolo sportivo con una storica, duplice promozione, una cavalcata stupenda dalla B alla A1, con tanto palazzetto nuovo di zecca, tirato su in una sola estate ed ancora funzionante. Anche qui c’erano a far da protagonisti due brindisini purosangue e tanti adottati, il più famoso dei quali, “Lupetto” Malagoli, è stato per i brindisini quello che è stato per i napoletani Maradona: un idolo assoluto ed imperituro.

Perfino con l’ultimo, recente G7, Brindisi, che avrebbe potuto ospitare in toto l’evento, ha subito ancora un torto a vantaggio di un posto, Borgo Egnazia, molto bello come sito di alta ospitalità, ma assolutamente privo di storia e tradizione. Strano destino per una città carica di storia, al centro per secoli delle rotte principali del Mediterraneo e non solo, avendo avuto un ruolo vitale nei collegamenti fra Europa e India nei decenni a cavallo fra 1800 e 1900, con la linea de La valigia delle Indie. Persino Jules Verne nomina la città nel suo famoso romanzo Il Giro del mondo in 80 giorni, il cui protagonista, Phileas Fogg, s’imbarca proprio qui per l’India. Chissà il grande autore come avrebbe apprezzato di più la bellezza del porto con l’imponente Monumento al marinaio, a forma di enorme timone, che da decenni si staglia al centro del porto e saluta le navi in arrivo e in partenza.

Già per l’Impero Romano, Brindisi era un’importantissima base militare e commerciale, grazie alle caratteristiche naturali del porto, con i suoi due seni che garantivano acque riparate alle navi sulle rotte da e per la Grecia e gli altri paesi mediterranei ad est. Tanto importante da giustificare la costruzione della via Appia, la regina viarum considerata una vera e propria autostrada dell’epoca: Roma-Brindisi da casello a casello diremmo oggi. Di questa imponente opera restano ancora importanti vestigia: le colonne terminali che fanno bella mostra di sé dominando l’entrata del porto e che sono poste nello stemma della città.

Dopo la caduta dell’Impero, ci fu un lungo periodo di crisi che terminò con l’avvento delle crociate, per le quali Brindisi fu centro nevralgico per gli spostamenti di truppe e merci. In questo periodo la città fu sede di uno dei primi processi ai Templari, che si tenne fra il Castello Svevo e la chiesa di Santa Maria del Casale, costruzione che resiste ancora fieramente al tempo, pur essendo assediata dall’aeroporto, insistendo praticamente sulle piste di volo. Alla fine di questo periodo di floridità la città conobbe di nuovo una profonda crisi, che terminò, quando, nel periodo borbonico riprese vigore la centralità del porto per i collegamenti con l’est. In entrambe le guerre mondiali la città fu importante base militare, per la Regia Marina e per l’aeronautica, con l’aeroporto, scalo sempre più centrale per le operazioni sul lato adriatico del fronte.

Per quanto rimarchevole, proprio la massiccia presenza delle forze armate, specialmente la Marina Militare, sarà una delle cause del progressivo declino della città, a partire dal secondo dopoguerra. I militari hanno sottratto, con le loro installazioni, due beni di assoluto valore, che avrebbero fatto la fortuna di qualsiasi altra città. Brindisi, infatti, come poche realtà, può vantare la presenza di ben due castelli: il castello Svevo, o di terra, comunemente detto dai Brindisini la Difesa e il castello Alfonsino o di Mare, detto Forte a mare, che domina l’entrata del porto, in una location mozzafiato.

È facile immaginare quanto abbia pesato per la città il fatto di non avere nella propria disponibilità due beni di tale fattura. Entrambi avrebbero potuto fare da volano per un serio sviluppo turistico, ma anche culturale come contenitori privilegiati delle più svariate iniziative. Ad esempio, con un po’ di immaginazione, creatività e coraggio, il Castello di Mare avrebbe potuto essere destinato ad ospitare strutture uniche nel contesto pugliese: un casinò alla Montecarlo, con ovvie ricadute sull’economia, un museo all’avanguardia. Invece, dopo essere stato, finalmente, dismesso dalla Marina Militare, è caduto in abbandono nonostante i recenti tentativi di recupero. Il Castello di Terra resta desolatamente occupato dai militari, quando si potrebbe almeno usare per concerti estivi, ospitati nel fossato.

La sorte dei due castelli evidenzia come in questa città si sia avuta una totale assenza di prospettiva da parte della politica locale, che si è sempre distinta per scelte sbagliate.

Nel 1956 si decise di demolire la torre dell’orologio facendo così di Brindisi un caso raro: l’unica città a non avere una storica torre civica. Solo parecchi anni più tardi si innalzò una nuova torre inglobata del nuovo palazzo del comune, un manufatto in stile moderno assolutamente privo di appeal.

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Il vero colpo al cuore arrivò qualche anno dopo, nel 1960. Con una scellerata decisione, fu avallata la distruzione del teatro Verdi, inaugurato nel 1901, con la promessa di ricostruirlo. Nel giro di pochi anni la città fu condannata dalla politica a perdere due simboli civici e culturali nel nome di una mal interpretata modernità: anche il nuovo teatro Verdi, realizzato con enormi difficoltà e nell’arco di decenni, è sicuramente comodo e funzionale, ma non ha senza dubbio il fascino dei teatri storici, come ad esempio il barese Petruzzelli.

Negli stessi anni iniziò l’industrializzazione selvaggia, con la prima centrale elettrica dell’Enel e il Petrolchimico, un mostro che si erge su un’area grande tre volte quella dell’abitato. Per i politici miopi, questi insediamenti erano il paradigma del benessere per cui tutte le altre possibilità di crescita, come il turismo e la cultura, la stessa agricoltura, punta di diamante dell’economia, furono messe da parte. Inoltre, la città ha pagato un pesante dazio a quelle industrie in termini di ricadute ambientali.

Turismo e cultura possono essere volano di un nuovo sviluppo della città, le attrattive non mancano certo: chiese, a cominciare da San Giovanni al sepolcro, con reminiscenze delle crociate, passando per Santa Lucia, con la sua cripta, e per San Benedetto con il suo chiostro; monumenti, come la caratteristica fontana di piazza Cairoli, a forma di ancora, la Fontana dell’Impero, sul Seno di Ponente e la fontana Tancredi, con ulteriore rimando alle crociate; un ricco, anche se decisamente poco valorizzato museo archeologico, con pezzi di inestimabile valore ritrovati sia in mare che in terra.

Non è inusuale qualche nuovo ritrovamento ogni volta che bisogna procedere ad uno scavo. Purtroppo, anche in questi casi vince spesso la miopia: diversi anni fa bisognava fare un restyling del lungomare e venne alla luce una buona parte di una città di epoca romanica. Non sarebbe stata forse una scelta più lungimirante e più indirizzata alla tutela del patrimonio storico-culturale della città quella di portare alla luce il sito completo e inglobarlo all’interno del lungomare cittadino?

Magari ricoprendolo con del materiale trasparente, come il plexiglass, sarebbe stato possibile rendere il sito fruibile, proteggendolo al tempo stesso. Che biglietto da visita sarebbe stato per i turisti in arrivo sulle navi da crociera, che approdano proprio lì. Invece si è deciso di procedere con i lavori richiudendo e interrando tutto. Un ulteriore, doloroso, scippo alla città, perpetrato da brindisini stessi, in attesa che giunga il momento in cui qualcosa cambi e la città più bistrattata di Puglia abbia finalmente il giusto riconoscimento alla sua grandezza storica e alla sua bellezza mozzafiato.



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