A Natale c’è un tetto per tre giovani in fuga dall’Africa per ragioni umanitarie

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Ogni tanto a Natale ci si ricorda che anche a un certo Gesù venne negata l’accoglienza. Che per la sua famiglia, giunta a Betlemme, non c’era posto in una casa e trovò rifugio soltanto dentro una mangiatoia, tra gli animali. Una storia che si ripete ogni giorno in tutte le patrie del mondo, quando c’è un profugo che fugge da qualcosa, dalla povertà o dalle persecuzioni.

L’ultima di queste storie, una delle tante, ce l’ha raccontata il sindaco di Calendasco, Filippo Zangrandi. Con un post su Instagram ha spiegato che proprio il giorno di Natale non c’era più posto nel sistema di accoglienza per tre giovani africani, di età compresa tra 19 e 22 anni, perchè tutti i letti erano già occupati. “Avrebbero dovuto lasciare il Centro di accoglienza di Calendasco, dove erano arrivati da alcuni mesi, e sarebbero rimasti senza un tetto – ha spiegato Zangrandi – ma grazie alla collaborazione tra Comune e Parrocchia, al momento hanno trovato una sistemazione temporanea, al caldo, in un locale messo a disposizione dalla chiesa locale”.

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“Si tratta di tre ragazzi provenienti – ha precisato il sindaco – dall’Africa Subsahariana ospitati insieme ad altre persone all’interno del centro di prima accoglienza di Calendasco dove vivono circa trenta persone. Per lo più cingalesi, bengalesi e africani. I tre giovani proprio in questi giorni hanno ottenuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari, quindi avrebbero dovuto abbandonare la prima fase dell’accoglienza, quella nei cosiddetti ‘Cas’ (centri di accoglienza straordinaria) per entrare nella fase due, nei ‘Sai’, ovvero nel sistema di accoglienza e integrazione che prevede l’ospitalità in un appartamento per essere avviati dentro a un progetto di vita indipendente nel nostro paese. Perchè col permesso di soggiorno hanno acquisito il diritto di diventare autonomi: sul nostro territorio di Calendasco un’esperienza simile di integrazione ha coinvolto negli anni scorsi i ragazzi giunti qui dall’Afghanistan. Tuttavia questa volta non c’erano appartamenti liberi nel sistema nazionale di accoglienza, non solo a Piacenza ma a livello nazionale. Spesso queste persone vengono infatti spedite al Sud dove solitamente c’è una maggiore disponibilità di immobili dei privati”.

“Questi tre ragazzi non hanno trovato alcuna collocazione – prosegue – e così si sono ritrovati sulla strada, vista la situazione loro si sono rivolti al Comune. Considerate che i nostri profughi frequentano i corsi di italiano che abbiamo organizzato che li consentirà di ottenere la certificazione sulla conoscenza della lingua. Ad esempio abbiamo avuto un ragazzo di 19 anni originario del Mali, arrivato analfabeta sui barconi da noi, e che ora ha imparato a leggere e a scrivere grazie ai nostri corsi organizzati nella sala consigliare. Alcuni di loro inoltre sono stati avviati a percorsi di formazione per far acquisire loro competenze, alcuni di loro hanno concluso il corso per saldatori e inizieranno a lavorare a gennaio, altri hanno concluso il corso per diventare giardinieri”.

“Questi tre ragazzi che hanno ottenuto il soggiorno erano terrorizzati all’idea di ritrovarsi sulla strada – fa notare Zangrandi – e quindi con i servizi sociali abbiamo cercato di capire dove ci fossero posti. Abbiamo interessato la Caritas, ma il dormitorio a Piacenza era già pieno, così l’unica soluzione l’abbiamo inventata attraverso un accordo con la Parrocchia di Calendasco, abbiamo interpellato Don Fabio Galli che ha detto subito di sì. Alcuni amministratori hanno curato l’allestimento delle stanze, sono stati portati i letti e quindi al momento siamo riusciti a garantire loro un tetto con questa modalità. E’ una storia emblematica di quanto sta succedendo nel resto d’Italia, perchè il tema della carenza di posti letto per chi ha diritto all’accoglienza è attuale più che mai. E’ un problema strutturale che rischia di gettare sulla strada persone fragili e quindi si accrescono le probabilità di devianza e di contatto con la criminalità. Noi abbiamo proposto un modello alternativo con la nostra comunità che si è fatta carico dell’accoglienza, i ragazzi sono stati molto riconoscenti con tutti noi”. “Alla fine la civiltà di un luogo – conclude Zangrandi – anche piccolo come il nostro comune passa anche dai gesti elementari come questi che hanno conseguenze concrete sulla vita delle persone”.





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