no agli Stati religiosi, nessuno deve forzare la gente a credere

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Un Paese povero, dove dilaga la corruzione e si temono nuove divisioni. L’Iraq guarda con fiducia alla nuova situazione in Siria, ma teme di ritrovarsi nuovamente in una situazione difficile, più di quella attuale. Il Natale, spiega Louis Raphaël Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, diventa così l’occasione per rilanciare la speranza fondata in Dio, ma anche quella di un futuro migliore per la gente irachena. Questo vale soprattutto per i cristiani, che a Baghdad, come nelle altre nazioni del Medio Oriente, sono diminuiti a vista d’occhio.



Come è la situazione in Iraq adesso, anche alla luce dei recenti eventi in Siria e di ciò che sta succedendo in Medio Oriente?

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Ciò che è accaduto in Siria è stata una sorpresa per tutti: tutto è cambiato velocemente. Ma abbiamo la speranza che tutto andrà per il bene della gente e del Paese. I leader del nuovo corso hanno detto che il loro sarà un regime civile, che tutte le componenti saranno rappresentate nel governo, che ripristineranno la giustizia per servire la gente e il Paese dopo tutti questi anni di difficoltà, di embargo, di violenza.



La caduta di Assad è comunque una buona notizia per la pace?

Noi abbiamo questa speranza e preghiamo per la pace in Siria, in Libano, in Palestina, un po’ dappertutto, perché il Natale è la nascita della pace, la pace sulla terra. La speranza è di tutti gli uomini, cristiani o no. Certo, per adesso non c’è niente di sicuro: le parole sono una cosa, le azioni sono un’altra, ma speriamo bene. Anche in Iraq, a dire la verità, siamo preoccupati: non penso che sarà come in Siria o in Afghanistan, ma c’è qualche timore per il futuro, fra la gente ma anche fra le autorità.

Molti analisti dicono che l’Iraq potrebbe essere una nuova Siria, potrebbe correre lo stesso pericolo. Secondo lei è così?



Spero che gli iracheni siano in grado di analizzare tutto ciò che è successo in Siria, imparando la lezione per non cadere in un’altra guerra. Davanti a queste paure il Natale per noi è Natale della speranza nel futuro, della fratellanza, della pace, della solidarietà. Questi valori che Gesù ha predicato durante la sua vita devono essere applicati nella vita quotidiana, sono gli stessi sulle cui basi deve essere costruito l’ordine internazionale, quello stesso ordine che ora non c’è più.

A che punto adesso sono i rapporti con il governo e anche con la comunità musulmana?

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I rapporti con la comunità musulmana sono ottimi, non abbiamo problemi, ci incontriamo e dialoghiamo. Dunque, cristiani, musulmani, sciiti e sunniti vivono insieme senza problemi; non c’è nessuno che se la prenda con le altre religioni. Oggi non si sente dire niente contro i cristiani nelle moschee e siamo rispettati dal governo, con il quale ho un buon rapporto.

L’anno scorso, su pressione di una milizia sedicente cristiana, si parlava di un decreto governativo che toglieva alla Chiesa il controllo dei suoi beni. Tutto rientrato?

Con questa milizia noi non abbiamo nessun rapporto. Dice di essere una milizia cristiana, prima di tutto, ma i cristiani non devono avere nessuna milizia. Se è un gruppo politico, allora si occupino di politica, ma noi non abbiamo niente a che vedere con loro. Non devono mettere le mani su tutto ciò che è cristiano. La Chiesa ha una missione, devono rispettare la nostra missione e la nostra libertà: non sono i nostri capi. Devono cambiare atteggiamento. Se non cambiano, noi non possiamo fare niente. Il problema non è tanto con il governo, il problema sono le milizie che vogliono dettare legge. Soprattutto una milizia, quella di Babilonia. Con le altre non abbiamo rapporti. Il decreto, comunque, ora non è più in vigore.

C’è un modo particolare in cui vivrete il Natale? Viene condiviso in qualche modo anche con la comunità musulmana?

Anche qui le strade vengono decorate, così come gli alberi. E si accendono le luci. Alla Messa di mezzanotte, negli anni, sono venuti il presidente dell’Iraq e il primo ministro. Due anni fa hanno anche aiutato cento bambini cristiani con regali, un po’ simbolici, ma veri regali. Abbiamo preparato il Natale con una preoccupazione: aiutiamo le famiglie cristiane, che sono povere, impegnando in questa occasione più di 80mila dollari. Lo facciamo ogni anno per essere vicini alle persone e incoraggiarle: un modo per dare loro la speranza, perché il Natale è la festa della speranza in un futuro migliore. Gesù è nato da Dio, noi tutti siamo nati da Dio e per questo dobbiamo concorrere a una umanità migliore, avere buoni rapporti come fratelli e sorelle, come ripete il Santo Padre Francesco.

I cristiani dell’Iraq come stanno oggi? Che problemi devono affrontare?

Il problema è la fiducia nel futuro, non solo per l’Iraq, ma in tutto il Medio Oriente. In Siria i cristiani erano il 20%, adesso mi dicono che sono l’1%. Noi eravamo il 4 o 5%, oggi siamo l’1%. Diminuiscono anche in Libano, in Palestina: non c’è la sicurezza di vivere in libertà e dignità. Lo Stato non deve essere uno Stato religioso, nessuno può forzare la gente a credere. Le persone devono essere libere e per questo ci vuole tempo. Sono fiducioso quando in Siria sento parlare di un Paese che vuole rispettare tutti.

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Ma la gente in Iraq come sta? Prevalgono i poveri?

C’è povertà perché c’è corruzione. La povertà si vede nelle scuole e anche gli ospedali sono in cattivo stato. Il primo ministro sta cercando di realizzare qualche progetto, ma non basta.

(Paolo Rossetti)

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