A 28 anni l’inglese è già un «ex»: dopo essere stato una delle più grandi promesse non mantenute dell’ultimo periodo calcistico cercherà di far ripartire la carriera allenandosi sul Lario. Le violenze e le dipendenze raccontate in diretta in un podcast
C’è stato un tempo in cui Dele Alli era il futuro. Troppo presto è diventato il passato, adesso prova a ritagliarsi se non altro un presente. Ha sfiorato il cielo con un dito, e poi toccato i propri demoni con tutta la mano. Gli abusi da bambino, poi il riscatto, la gloria, pallone e mondo ai suoi piedi, al Tottenham e con la nazionale inglese. E infine la caduta, l’oblio. Il buio dell’alcol, la prigione degli eccessi. E un estremo tentativo di risalita, l’ultimo, forse, ora, a Como, dove – dopo l’ufficializzazione della settimana scorsa dello svincolo dall’Everton – inizierà ad allenarsi dal 26 dicembre agli ordini di Cesc Fabregas, come ammesso proprio dal mister spagnolo, in vista di un eventuale tesseramento a parametro zero a partire da gennaio qualora gli esami medici e le risposte sul campo dovessero dare riscontro positivo.
C’è tutto nella parabola umana e sportiva del calciatore inglese. Graeme Souness ne ipotizzava un futuro nell’Olimpo del pallone: «Per lui l’unico limite è il cielo». Più articolato il giudizio di Sir Alex Ferguson, uno che pure aveva allenato David Beckham e Paul Scholes: «È il più forte centrocampista inglese dai tempi di Paul Gascoigne». E in effetti le prime due istantanee che vengono in mente a proposito di Alli – l’ex enfant prodige del calcio d’Oltremanica che da gennaio sbarcherà sulle sulle rive del Lario per ripartire in Serie A – sono due immagini che riportano alla mente proprio il mitico «Gazza», assurto a icona del concetto di genio e sregolatezza che accomuna certi talenti esplosi troppo presto, soverchiati dalle aspettative riposte nei loro confronti e dal carico di un vissuto troppo ingombrante per le loro spalle. La prima è del 2015, quando l’allora 19enne del Tottenham punì il Cristal Palace con uno dei gol più iconici dell’ultima decade di Premier League –-stop, volée e tiro dal limite dell’area, tutto al volo, così simile alla magia di Gascoigne a Euro ’96 contro la Scozia. La seconda, a febbraio 2024, quando l’ormai 27 anni Alli, che aveva fatto perdere le proprie tracce non presentandosi da giorni al centro di allenamento del Besiktas, si fa immortalare mentre si sballa inalando gas esilarante da un palloncino durante un party ad alta gradazione alcolica con alcuni amici. Festini di cui il vecchio Paul è sempre stato icona assoluta.
Non mette piede in campo da due anni, Alli, e, dopo essere stato una delle più grandi promesse non mantenute del calcio internazionale, cercherà in Italia di far ripartire una carriera praticamente terminata a nemmeno 30 anni. Lo farà a Como, si spera sul prato del Sinigaglia e non sulle sue tribune, a far compagnia a Keira Knightley e Michael Fassbender che hanno certificato lo status dei lariani come squadra più glamour del campionato, che vede la proprietà della ricchissima famiglia indonesiana Hartono e annovera tra i suoi principali investitori la leggenda francese Thierry Henry. D’altronde non è il primo nome fuori scala che sbarca sulle rive del lago: prima di lui proprio il campione del mondo Cesc Fabregas, poi approdato in panchina, e a cui spetterà tentare di rilanciare la carriera di Alli, e l’altro iridato Rafael Varane, che in maglia azzurra è durato solo i 23 minuti del primo turno di Coppa Italia contro la Sampdoria, prima di arrendersi all’ennesimo infortunio al ginocchio e appendere gli scarpini al chiodo a soli 31 anni.
L’ascesa
La pietra angolare di questa storia è il tempo. L’ascesa di Alli è fulminea, la discesa lo sarà altrettanto. Muove i primi passi in terza serie con l’MK Dons di Milton Keynes, ma nella sua città natale – dove ha sede il team Red Bull di Formula 1 – resta poco. Lo scopre il Tottenham di Mauricio Pochettino, a 18 anni, e a White Hart Lane incanta subito. Con Kane, Son ed Eriksen l’intesa è immediata, e, più ancora delle 46 reti in tre stagioni o dell’esordio in nazionale con i Tre Leoni a 19 anni con annesso gol all’incrocio contro la Francia, è l’estro a cucirgli addosso l’etichetta di baby prodigio. Pochettino lo paragona a Maradona, Ronaldinho e Neymar, lui lo ripaga con l’assist decisivo per Lucas Moura in semifinale di Champions all’ultimo secondo contro l’Ajax che regalerà agli Spurs un’insperata finale contro il Liverpool. I paragoni si sprecano: nuovo Lampard, nuovo Gerrard, nuovo Scholes. È un’icona pop, un manifesto generazionale, il simbolo del calcio millennial. Veste glamour, ammette candidamente di disprezzare i compagni di squadra poco attenti allo stile. Può permetterselo, può dire e fare qualsiasi cosa gli venga in mente. Ha solo 22 anni e il suo cartellino vale 100 milioni.
La caduta
Poi il suo mentore Pochettino viene esonerato, e l’ago della bilancia inizia a pendere dalla parte sbagliata. A Londra arriva José Mourinho, e a differenza del suo predecessore lo Special One non lo ama. Lo mette in discussione. Le critiche fanno brillare la sua indolenza e ne opacizzano il talento. Mou inizia a togliergli spazio, lo definisce pigro. Di colpo, a soli 24 anni, Alli smarrisce la confidenza con i compagni e – soprattutto – con la porta avversaria. «Sei tu o tuo fratello quello in campo?», gli chiede. «Adesso ho 56 anni, ma ieri erano 20. Il tempo vola e un giorno penso che ti pentirai di non essere arrivato dove meriti», rincara la dose il portoghese. Alli viene messo progressivamente da parte, gioca solo nelle partite di coppa, svogliato e indisponente. «Mourinho mi ha distrutto», dirà anni dopo.
Con l’arrivo di Antonio Conte le cose precipitano, per il tecnico salentino la sua insofferenza ai metodi di allenamento non è tollerabile. Nel 2022 Alli lascia Londra e approda a Liverpool, ma sulla sponda meno nobile della Merseyside, in maglia Everton, che pure aveva rappresentato il canto del cigno per un’icona come Wayne Rooney. Ma Rooney all’epoca aveva 35 anni, Alli solo 26. Da tre non viene più convocato con la nazionale inglese. L’esperienza all’Everton dura solo sei mesi, 11 partite di campionato, nessun gol. Ad agosto viene ceduto in prestito ai turchi del Besiktas.
L’abisso è verticale, non ha gradini intermedi. Il tecnico Senol Gunes, artefice del miracolo della Turchia ai mondiali 2002, lo mette fuori rosa. «Non si allena, non merita di giocare», è la sentenza. Lui, per tutta risposta, si dà alla macchia per più di una settimana non rispondendo alle chiamate della società. Verrà immortalato mentre inala protossido di azoto a una festa con alcuni amici. I turchi appena possono lo rispediscono all’Everton, dove non mette mai piede in campo. A febbraio 2023 scende in campo per l’ultima volta. Non indossa gli scarpini da quella volta. Di fatto, è praticamente un ex, a soli 28 anni.
La confessione
C’è un però, in questa storia. A spiegare l’abisso è lo stesso Alli, ospite del podcast della ex bandiera del Manchester United Gary Neville. Alli si apre, e scoperchia una storia personale da brividi. Piange in diretta, è un fiume in piena. Confessa problemi di salute mentale, ammette le sue dipendenze da alcol e sonniferi e denuncia gli abusi sessuali di cui è stato vittima da bambino. Il racconto, testuale, è terribile. Racconta di essere cresciuto con la madre alcolista. Il padre, fuggito negli Stati Uniti dopo la sua nascita, non lo ha mai visto. «Penso che ci siano stati alcuni incidenti che potrebbero aiutarti a capire – racconta a Neville –. A sei anni sono stato molestato da un’amica di mia madre, che era spesso a casa. Mia madre era un’alcolizzata. Sono stato mandato in Nigeria, poi sono stato rimandato indietro. A sette anni ho iniziato a fumare, a otto ho iniziato a spacciare droga. Una persona mi ha detto che non avrebbero fermato un bambino in bicicletta, quindi ho girato con il mio pallone da calcio con la droga nascosta appresso. A 11 sono stato fatto penzolare da un ponte da un tizio della casa accanto. Poi a 12 anni sono stato adottato».
Cicatrici che Alli tenta di fare sbiadire con alcol e tranquillanti. «Ero in un momento molto difficile mentalmente, avevo preso l’abitudine di tentare di intorpidire quello che provavo». Da lì la decisione di farsi aiutare: «Sono andato in una struttura di riabilitazione per la salute mentale, le dipendenze e i traumi. Sentivo che era arrivato il momento, ero intrappolato in un brutto circolo, facevo affidamento su cose che mi stavano facendo del male. Dentro di me stavo decisamente perdendo la battaglia». Parole pronunciate con la voce rotta e le lacrime agli occhi, che hanno fatto capire tante cose, a tutti. E anche per questo ora in molti fanno il tifo per Alli. E sperano che a Como possa finalmente togliere quelle due lettere, ex, dalla sua definizione di calciatore.
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