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Donald Trump, in campagna elettorale, aveva dichiarato che con lui alla presidenza del paese la guerra in Ucraina sarebbe terminata in 48 ore. Quali scenari si prospettano dunque per l’Ucraina?
Le elezioni statunitensi, si sa, non riguardano solo gli americani. Al contrario, come si è visto dall’attenzione internazionale suscitata dalla vittoria di Donald Trump lo scorso 5 novembre, hanno un impatto globale. A 78 anni, Trump si insedierà nuovamente alla Casa Bianca, diventando il secondo presidente degli Stati Uniti a ricoprire due mandati non consecutivi, un fatto che non accadeva dai tempi di Grover Cleveland, che fu presidente dal 1885 al 1889 e dal 1893 al 1897. Il ritorno di Trump alla Casa Bianca solleva domande sul futuro della politica estera americana, non solo in quanto si tratta di una nuova presidenza alla guida di uno dei paesi più influenti del mondo, ma anche perché Trump aveva fatto della guerra in Ucraina uno dei punti salienti della sua campagna elettorale, affermando in più occasioni che lui sarebbe stato in grado di porre fine il conflitto in 48 ore.
Immediatamente dopo la sua vittoria, si sono diffuse voci su presunti contatti telefonici tra il futuro inquilino della Casa Bianca e il presidente russo Vladimir Putin, voci che sono state prontamente smentite dal portavoce del Cremlino, Dimitry Peskov. Tuttavia, Putin si è congratulato pubblicamente con Trump giovedì 7 novembre, durante il Summit del Valdai Club, dichiarando di essere pronto a collaborare con qualsiasi leader scelto dal popolo americano, lasciando intendere una riapertura al dialogo con gli Stati Uniti. Questo si inserisce in un contesto internazionale caratterizzato da segnali di possibile riavvicinamento tra Russia e Occidente, seppur in modo ancora incerto. A questo proposito, nei giorni successivi e per la prima volta dal dicembre 2022, il Cancelliere tedesco Olaf Scholz ha cercato di riprendere i contatti con il Cremlino, sollecitando un ritiro delle forze russe dall’Ucraina per avviare negoziati di pace. Come facilmente intuibile, la richiesta non ha avuto conseguenze particolari e probabilmente è servita al Cancelliere tedesco per dimostrare la propria volontà a riprendere i rapporti con il Cremlino ed emergere come potenziale figura mediatrice tra Russia e Ucraina in Europa. Tuttavia, Zelensky ha duramente criticato la mossa di Scholz dichiarando che ogni dialogo con la Russia indebolisce i tentativi fatti fino ad ora di isolare il Cremlino. Secondo quanto riportato dalla TASS, Scholz e Putin avrebbero infine concordato che i loro assistenti sarebbero rimasti in contatto, proprio quello che Zelensky voleva evitare.
Le prossime mosse degli Stati Uniti, sotto la presidenza Trump, saranno cruciali per determinare la direzione del conflitto. A poco più di un mese dalle elezioni, l’intensificarsi degli eventi globali, come l’ingresso di soldati nordcoreani al fianco delle forze russe, ha creato un clima di crescente preoccupazione. In risposta, l’amministrazione Biden ha autorizzato Kiev ad utilizzare missili a lungo raggio per colpire obiettivi in Russia. La reazione di Putin non si è fatta attendere, rivedendo la dottrina militare russa e minacciando una risposta su larga scala a eventuali attacchi che coinvolgano stati non nucleari, ma supportati da potenze nucleari.
Nonostante questi sviluppi, Trump potrebbe determinare una svolta nella la guerra in Ucraina, sebbene il suo approccio si discosterebbe in modo significativo dalla politica di sostegno incondizionato che ha contraddistinto gli Stati Uniti finora. È infatti importante guardare alle nomine fatte dall’ex presidente per il suo futuro governo. Tra queste, spicca la nomina di Keith Kellogg a Inviato speciale per l’Ucraina e la Russia. Kellogg ha già avanzato un piano che lega gli aiuti militari a una soluzione negoziata, proponendo che l’Ucraina ceda territori occupati dalla Russia o rinunci alla sua adesione alla NATO, una delle principali richieste di Mosca. Questa strategia segnerebbe una rottura netta con la posizione attuale degli Stati Uniti, che finora hanno sostenuto fermamente l’integrità territoriale dell’Ucraina.
Un’altra nomina che ha suscitato non poche preoccupazioni riguarda Tulsi Gabbard, scelta da Trump per guidare l’Intelligence americana. Gabbard, che aveva manifestato posizioni favorevoli verso Putin e l’ormai ex presidente siriano, Bashar al-Assad, potrebbe esercitare una maggiore apertura nei confronti della Russia, con significative implicazioni per la guerra in Ucraina. Se tali nomine dovessero essere confermate si profilerebbe un cambiamento radicale della posizione degli Stati Uniti, con potenziali ripercussioni negative per Kiev.
Un altro aspetto cruciale della futura amministrazione Trump riguarda l’approccio degli Stati Uniti nei confronti della NATO. In più occasioni, l’ex presidente aveva ribadito la volontà di ritirarsi dall’Alleanza se i paesi membri non avessero rispettato l’impegno di dedicare il 2% del PIL alla difesa. Oggi, otto paesi membri, tra cui l’Italia, non hanno ancora raggiunto tale soglia. La ricchezza combinata degli alleati non statunitensi è quasi pari a quella degli Stati Uniti, ma questi spendono complessivamente meno della metà per la difesa. Questo squilibrio permane da tempo, in particolare dopo l’11 settembre 2001, quando gli Stati Uniti aumentarono in modo significativo la loro spesa per la difesa. A luglio 2024 i primi tre paesi a investire nella difesa sono stati Polonia, Estonia e Stati Uniti, con rispettivamente il 4,1%, 3,43%, 3,38% del PIL. Nonostante la spesa media dei paesi NATO sia aumentata dal 2,53% nel 2023 al 2,71% nel 2024, l’Italia negli ultimi tre anni ha mantenuto una media attorno all’1,5%, senza riuscire a superare la soglia del 2%. Questo riflette l’impegno dei membri della NATO a raggiungere e consolidare tale obiettivo, ma evidenzia la difficoltà dell’Italia a rispettare pienamente questo standard.
La guerra in Ucraina sta vivendo una fase cruciale, in cui gli sviluppi interni ed esterni potrebbero determinare un cambiamento significativo nel corso del conflitto. Inoltre, è importante ricordare i recenti sviluppi in Siria, con la caduta di al-Assad e la conseguente “sconfitta” dei suoi alleati, tra cui Mosca (nonostante Putin abbia smentito la perdita di posizione della Russia in Siria). Questo scenario ha indebolito la credibilità di Mosca sulla scena internazionale, mostrando che anche i suoi alleati più stretti sono vulnerabili. Di fronte a questa situazione, il Cremlino è ora più che mai concentrato a schierare le proprie forze in Ucraina, sacrificando inevitabilmente l’impegno su altri fronti.
Nonostante la crisi attuale, Putin non intende rinunciare alle sue richieste, ossia il riconoscimento dei territori occupati dalle truppe russe e l’impegno dell’Ucraina a rinunciare alla sua adesione alla NATO. Anzi, è molto probabile che, proprio perché ha già sacrificato tanto in politica estera, non possa accettare una resa in Ucraina, che comprometterebbe gravemente la sua reputazione a livello interno. D’altro canto, Zelensky non ha alcuna intenzione di concedere territori e continua a ribadire la volontà del suo paese di entrare a far parte dell’Alleanza Atlantica.
In conclusione, l’amministrazione Trump che si insedierà il prossimo 20 gennaio, rappresenterà una svolta non solo nel conflitto ucraino ma anche nei rapporti con gli Alleati. La proposta dell’ex generale Keith Kellogg di un cessate il fuoco con l’esclusione dell’Ucraina dalla NATO metterebbe Kiev di fronte a un dilemma geopolitico: accettare le condizioni dettate da Mosca per ottenere la fine del conflitto, oppure rischiare di continuare la guerra senza l’appoggio statunitense (che sappiamo essere indispensabile). Un accordo di questo tipo, se attuato, potrebbe rappresentare una sconfitta per l’Ucraina, poiché comporterebbe la perdita di territori strategici e la limitazione delle sue ambizioni future di allineamento con l’Occidente. Inoltre, uno dei timori principali è che la resa dell’Ucraina possa rappresentare un precedente sia per la Russia stessa, che potrebbe decidere di adottare la stessa strategia in altri territori, sia a livello internazionale, si pensi alla Cina e a Taiwan. La guerra in Ucraina, al momento lontana da una risoluzione pacifica, potrebbe entrare in una fase di stallo negoziale, in cui le concessioni geostrategiche, sia da parte di Kiev che da parte delle potenze occidentali, divengono inevitabili per una pace che, però, potrebbe essere solo parziale e insoddisfacente per tutte le parti coinvolte.
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