Usa, l’ego straripante di Musk fa sempre maggiore presa sui repubblicani

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Non deve trarre in inganno il fatto che ieri molti parlamentari repubblicani americani abbiano voluto elogiare Elon Musk, davanti agli attacchi dei democratici, che lo accusano di avere esondato dal ruolo di ”amico” del presidente eletto Trump per accreditarsene uno più importante.

Perché, come dice qualcuno dei repubblicani del Congresso, lo strabordante ego del multimiliardario alla lunga potrebbe dare fastidio (se non lo fa già) a Trump, vedendo che Musk si sta ritagliando un profilo da ”primo ministro”, figura che non esiste nella Costituzione americana.

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A conferma di quanto appena detto, basta leggere la dichiarazione resa dal senatore repubblicano del Tennessee, Bill Hagerty (‘‘Grazie a Dio Elon Musk ha comprato Twitter, perché è l’unico modo in cui potremmo sapere cosa contiene questa legge”, riferendosi al provvedimento che ha evitato lo shutdown) per capire come vanno le cose in seno al cerchio ristretto dei collaboratori di Trump. Le parole di Hagerty rivelano sostanzialmente una cosa: la presa di Musk sulla base del GOP quando ha detto che “ognuno dei nostri uffici è stato inondato di chiamate dai nostri elettori” dopo le lamentele del miliardario secondo cui la legge era piena di spese gonfiate.

E il deputato repubblicano Tony Gonzales del Texas ha descritto la dinamica in arrivo a Washington. “Abbiamo un presidente. Abbiamo un vicepresidente. Abbiamo un oratore. E sembra… come se Elon Musk fosse il nostro primo ministro”.

Per quello che si conosce del carattere di Donald Trump la crescita esponenziale dell’apprezzamento repubblicano per Musk alla lunga sarà un problema, anche perché il patron di Tesla ormai interviene su tutto, anche su eventi politici che riguardano Paesi stranieri, mettendo in un qualche imbarazzo il presidente, posto che il pensiero dei due non necessariamente coincide.

Su questo stanno ”lavorando” i democratici che, davanti allo strabordante attivismo di Musk, non perdono occasione per insinuare nella mente di Trump, usando toni ironici, che la vittoria e il secondo mandato non lo hanno reso potente come il magnate della tecnologia nato in Sudafrica.

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Per il senatore democratico del Delaware Chris Coons quanto sta accadendo in questi giorni fa capire quanto potrebbe materializzarsi in futuro: ”Non avremo solo il presidente eletto Trump come un miliardario che twitta furibondo alle 4 del mattino. Avremo anche Elon Musk che inietterà instabilità nel modo in cui affrontiamo questioni molto complicate e importanti per il nostro Paese”.

Peraltro i comportamenti di Musk confermano il suo peso crescente, come quando ha bombardato di messaggi su X contro l’accordo che era stato raggiunto tra democratici e repubblicani sul finanziamento del governo federale, facendolo fallire. Che la situazione possa rischiare di sfuggirgli di mano lo ha capito lo stesso Trump che ieri, nel corso di un evento di attivisti conservatori, il Turning Point Usa, a Phoenix, ha dovuto rispondere a chi gli domandava cosa ne sarà di Musk così: ”No, non diventerà presidente. Questo ve lo posso dire. E sono sicuro, sapete perché? Non può esserlo, non è nato in questo Paese”, che è una spiegazione tecnica, ma non certo politica. Ora, quindi, l’attenzione si concentra su quanto Donadl Trump sarà disposto a sacrificare del suo prestigio personale per non ”smentire” l’operato di Musk che sarà certo il suo nuovo migliore amico, ma non al punto da dargli più attenzione mediatica rispetto alla sua.

Grazie alla sua straordinaria ricchezza, alla proprietà di X, nonché a vasti interessi internazionali, aziende globali e contatti, Musk è un esempio di un raro tipo di potere non statale. Ha la capacità di influenzare governi, elezioni, economie e persino la condotta delle guerre. Potrebbe quindi essere una risorsa per Trump e l’America se lavorasse nell’interesse nazionale.

Ma la presenza di Musk al centro del governo degli Stati Uniti solleva anche la possibilità di potenziali conflitti di interesse enormi, soprattutto perché le sue aziende beneficiano di miliardi di dollari in contratti governativi.



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