Se Israele parla di “pace”. Il punto

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Parliamo di Pace, parlando del Risiko mondiale. Prendiamo un esempio di “costruttore di Pace”: Israele. Ridicolo? Certo, ma non a sentire quanto da giorni dice il capo del governo israeliano, Netanyahu. Spiega al Mondo che gli attacchi militari indiscriminati contro Siria e Libano, che l’annientamento dei palestinesi a Gaza e in Cisgiordania, che l’indebolimento dell’Iran sono solo gli strumenti di pace che lui, a nome di Israele, ha messo in campo per un futuro Medio Oriente senza più guerre, cioè in pace. La follia di questa convinzione è evidente nelle decine di migliaia di morti che le forze armate israeliane hanno sulla coscienza. Morti, che in larghissima parte – rapporto 1 a 10, dicono le agenzie – erano innocenti. L’evidente menzogna di questo racconto è nell’arroganza che Tel Aviv ha nell’invadere, colpire, bombardare i Paesi di altri, senza che nessuno intervenga.

Guardiamo quanto accaduto in Siria. Dopo la fuga da Damasco di al Assad, Israele ha lanciato, in una sola settimana, 480 attacchi aerei contro postazioni siriane. Lo ha fatto spiegando che era “in nome della proprio diritto alla difesa”. Facciamo attenzione: se questa logica venisse definitivamente accettata dai governi e dalla comunità mondiale, sarebbero guai. Un Putin che si sente assediato e minacciato dalla Nato, infatti, potrebbe lanciare testate nucleari contro l’Europa, in nome “del proprio diritto alla difesa”. Perché il diritto è di tutti, anche quando è negativo. Altrimenti è un privilegio.

Il problema è che Israele, impunemente, questa cosa la fa dal 2013. Era la prima volta, dal 1974, anno dell’istituzione della “zona cuscinetto” fra Siria e Israele, che succedeva. Gli aerei di Tel Aviv bombardarono in Siria un convoglio di armi siriane. Ci furono due morti. Vista l’impunità, gli attacchi si sono moltiplicati negli anni, fino a convincere, evidentemente, Tel Aviv di poter fare tutto ciò che vuole. Secondo molti osservatori, per il governo israeliano è diventato normale bombardare uno Stato vicino.

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Il politologo israeliano dissidente Ori Goldberg, parlando con Al Jazeera ha spiegato che “questa è la nostra (israeliana) nuova dottrina di sicurezza. Facciamo quello che vogliamo, quando vogliamo e non ci impegniamo. La gente parla del Grande Israele e di come Israele stia inviando i suoi tentacoli nei Paesi vicini. Io non lo vedo. Penso che questo sia in gran parte il risultato del caos e di una nuova – o non così nuova – inclinazione israeliana alla distruzione.”

I dati sembrano dargli ragione, quando parla di distruzione. La politica aggressiva di Israele ha generato, in poco più di un anno, quasi 50mila morti, con attacchi alla Striscia di Gaza, all’Iran, al Libano, alla Siria. Incurante dei dati, la “politica di pace” di Netanyahu va avanti. Al The Jerusalem Post, il Primo ministro israeliano ha dichiarato che “nell’ultimo anno, Israele ha fatto di più per la stabilità in Medio Oriente di decenni di inefficaci agenzie delle Nazioni Unite e diplomatici occidentali”.

E’ una convinzione diffusa, fra gli israeliani. Sempre Al Jazeera spiega che Jeffrey Levine, editorialista del Times of Israel, ha raccontato ultimi 14 mesi di guerra come un passo verso “un nuovo Medio Oriente di pace e prosperità”, con la Siria finalmente libera, l’Iran democratico e non più schiavo della teocrazia, i curdi padroni del proprio destino, come i palestinesi, finalmente in grado di creare una propria “patria” in Giordania. Eventualità, questa, sottolineata dalla decisione del Presidente israeliano, Smotrich, di dare il via ai lavori preparatori per l’annessione della Cisgiordania.

Una pace armata, insomma, nel futuro del Vicino Oriente. Una pace che potrebbe creare infinite ragioni di nuove guerre. Intanto, di guerra si continua a parlare anche in Ucraina. Nessun negoziato all’orizzonte, mentre la pressione russa aumenta. Per Kiev il futuro è oscuro. Il neo eletto presidente Usa, Donald Trump, ha detto agli europei che dovranno pensare loro, da oggi, alla difesa dell’Ucraina. L’ipotesi era nell’aria e il fatto che si possa concretizzare fa accelerare i piani di invio di uomini e armi in soccorso di Kiev da parte di Francia e Gran Bretagna. L’intelligence inglese, per altro, ha ammesso di essere già stata impegnata in alcune operazioni sul campo, avvalorando le ipotesi avanzate da Mosca. Ad aiutare Zelensky nella difesa del territorio ci sono sempre i volontari internazionali. Se ne sarebbero arruolati 20mila dal febbraio del 2022. Tanti, ma non bastano per raddrizzare le sorti della guerra.





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