Il Tribunale di Trieste condanna l’Azienda sanitaria per aver imposto cure non volute

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Trieste – Una sentenza del Tribunale di Trieste stabilisce un precedente importante nella tutela dei diritti dei pazienti e del loro diritto all’autodeterminazione. Il giudice ha condannato l’Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina (ASUGI) per non aver rispettato la volontà del signor Claudio de’ Manzano, un paziente di 84 anni, sottoponendolo a trattamenti medici ai quali, in modo esplicito, non aveva dato consenso. La decisione rappresenta un punto di svolta per l’applicazione della legge n. 219/2017, che regola il consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento (DAT).

Il caso

Il signor Claudio de’ Manzano, un uomo attivo fino al giorno in cui fu colpito da un ictus nel 2018, fu ricoverato presso la Stroke Unit dell’Ospedale di Cattinara, a Trieste. L’ictus lo aveva lasciato gravemente invalido: non poteva più parlare, nutrirsi o idratarsi autonomamente. Il paziente aveva espresso chiaramente, anche attraverso la figlia Giovanna Augusta de’ Manzano, sua amministratrice di sostegno, la volontà di non sottoporsi a cure che considerava incompatibili con la sua dignità. Nonostante ciò, ASUGI continuò a somministrare trattamenti salvavita e negò la possibilità di dimettere il paziente o trasferirlo in una struttura alternativa, ignorando le richieste della famiglia.

La sentenza e il risarcimento

Il Tribunale di Trieste ha riconosciuto la violazione del diritto costituzionale all’autodeterminazione, condannando ASUGI a risarcire la famiglia con 25.000 euro per i danni subiti. La sentenza ribadisce l’obbligo delle strutture sanitarie di rispettare le volontà dei pazienti, anche quando espresse tramite un amministratore di sostegno, rafforzando così i principi della legge n. 219/2017.

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L’Associazione Luca Coscioni

L’Associazione Luca Coscioni, che ha supportato la famiglia de’ Manzano durante la vicenda, ha accolto con soddisfazione la decisione. Marco Cappato e Filomena Gallo, rispettivamente Tesoriere e Segretaria Nazionale dell’Associazione, hanno chiesto al presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, di scusarsi pubblicamente e di impegnarsi affinché episodi simili non si ripetano.

“Questa sentenza è un monito per tutte le istituzioni sanitarie”, hanno dichiarato Cappato e Gallo. “Il rispetto della dignità e delle volontà dei pazienti deve essere il cuore del sistema sanitario. È fondamentale promuovere una maggiore consapevolezza sui diritti garantiti dal testamento biologico e assicurare che siano rispettati”.

Un precedente significativo

Giovanna Augusta de’ Manzano, figlia del paziente, ha espresso la sua gratitudine all’avvocata Silvia Piemontesi che l’ha assistita e ha sottolineato l’importanza di questa sentenza: “Non si tratta solo di rendere giustizia a mio padre, ma anche di contribuire a una cultura più rispettosa sul tema del fine vita. Questa decisione costituirà un precedente importante per il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione di ogni individuo”.

Il tema delle cure non volute coinvolge questioni etiche, legali e sanitarie, che riguardano il diritto dei pazienti a decidere sul proprio corpo e sulla propria vita, soprattutto nei momenti di maggiore vulnerabilità. È un argomento che si intreccia con i principi fondamentali di dignità, libertà e autodeterminazione, sanciti dalla Costituzione Italiana e regolati in modo specifico dalla legge n. 219/2017.

Il quadro normativo: la legge n. 219/2017

La legge n. 219 del 2017 rappresenta un pilastro della normativa italiana sul consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento (DAT). Essa stabilisce che:

  • Nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito senza il consenso libero e informato della persona interessata.
  • Il paziente ha diritto di rifiutare o interrompere qualsiasi trattamento, inclusi quelli salvavita.
  • La volontà del paziente può essere espressa in anticipo attraverso le DAT, un documento scritto che indica le terapie e i trattamenti che una persona desidera o non desidera ricevere in caso di incapacità futura a comunicare le proprie decisioni.

Questa legge non solo garantisce il rispetto della volontà del paziente, ma impone anche alle strutture sanitarie di adeguarsi alle sue richieste, sempre in conformità con le norme etiche e professionali.

Le cure non volute tra etica e diritto

Le cure non volute sollevano una serie di questioni etiche, legate al conflitto tra il principio di beneficenza (l’obbligo del medico di fare il bene del paziente) e quello di autonomia (il diritto del paziente di decidere per sé). Quando un paziente rifiuta le cure, anche se necessarie per salvargli la vita, il medico può trovarsi in una posizione difficile. Tuttavia, il rispetto della volontà del paziente è un obbligo giuridico e morale.

Negare questo diritto equivale a trattare il paziente come un oggetto di intervento medico piuttosto che come un soggetto autonomo e consapevole. Questo rischio diventa particolarmente evidente nei casi di trattamenti invasivi, come la nutrizione artificiale o la ventilazione meccanica, che possono prolungare la vita biologica, ma a volte a scapito della qualità della vita e della dignità percepita dal paziente.

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Le disposizioni anticipate di trattamento (DAT)

Le DAT rappresentano uno strumento fondamentale per evitare che vengano somministrate cure non volute. Attraverso questo documento, ogni cittadino può specificare in anticipo i trattamenti che accetta o rifiuta, come la rianimazione cardiopolmonare, la ventilazione meccanica, o la nutrizione artificiale. Può inoltre nominare un fiduciario, ovvero una persona di fiducia incaricata di rappresentare la sua volontà in caso di incapacità.

L’efficacia delle DAT dipende dalla loro conoscenza e diffusione. Molte persone non sono consapevoli di questo strumento, o non lo utilizzano. Le DAT invece permettono di evitare conflitti tra famiglie, medici e strutture sanitarie.



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