«I clan usano gli imprenditori collusi come burattini»

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Nelle motivazioni della sentenza Imponimento le valutazioni di Mantella sul potere della cosca Anello: «Hanno entrature internazionali». Gli interessi in Svizzera e lo sgarro ai Grande Aracri per le armi vendute al clan Arena

Quando il pentito Andrea Mantella prova a spiegare durante il processo Imponimento quale sia la caratura criminale della cosca Anello, ricorda l’intervento del clan a favore di un imprenditore che stava eseguendo lavori tra l’ospedale di Vibo Valentia e l’oratorio salesiano. Zona di competenza del clan Mancuso, spiega il pentito. Ma i fratelli che comandavano a Filadelfia e nell’area dell’Angitola potevano permettersi di offrire sostegno anche fuori dalla loro area di pertinenza: «Gli Anello non solo a Vibo possono entrare in termini di amicizia; gli Anello possono entrare a livello internazionale, hanno delle amicizie, c’è questo scambio. Gli bastava una mezza parola o di Rocco o di Tommaso Anello, tutti si mettevano diciamo al cospetto, nel senso di rispetto ’ndranghetistico».

Le parole dell’ex capo dei Piscopisani sono contenute nelle motivazioni della sentenza pronunciata nello scorso mese di giugno: Tommaso Anello, considerato il capo della cosca attiva tra Lametino e Vibonese assieme al fratello Rocco, è stato condannato a 30 anni. Stando ai racconti di Mantella, la sua era una voce riconoscibile e ascoltata negli ambienti ’ndranghetistici: «Per semplificarle – è uno dei passaggi riportati in sentenza – le dico: se a Vibo mandava la cosiddetta imbasciata Rocco Anello, o Tommaso: “Lasciatelo in pace, che questo è amico mio”, e chi si azzardava? Chi si poteva permettere di fare una cosa! Significherebbe fare la guerra». E così «se i Mancuso dovevano fare un lavoro, prendersi la responsabilità di alcuni lavori nell’Angitolitano, mandavano l’imbasciata ai fratelli Anello».

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Gli accordi dei clan «davanti al Dio denaro»

Mantella offre ai magistrati anche un manuale di economia ’ndranghetistica: i patti si fanno «davanti al Dio denaro»; per i soldi «pure che c’è una certa frizione, cioè astio, se vuoi incassare ti devi per forza fare una sorta di baratto, o una sorta di accordo, ecco, altrimenti è inutile che passi una strada e di fai tre omicidi, che vai a combinare? E quindi l’amico imprenditore è una sorta di burattino: oggi ce l’ha in mano Rocco Anello, Tommaso Anello, domani glielo butta in mano a un altro boss di turno su un altro territorio. Questi sono». I patti in nome dei soldi portano le cosche a sconfinare: gli Anello hanno il cuore del proprio business nel settore boschivo e in una porzione di montagna «che hanno rivendicato come di propria competenza in danno dei Vallelunga, i cosiddetti Viperari». Settore delicato, quello dei lavori boschivi, perché, sempre stando a Mantella, «tutte le ’ndrine dell’altopiano vibonese avevano interessi su ceppato». Sia sul versante tirrenico che su quello jonico, nella zona del Catanzarese, del Soveratese, dove per il controllo del settore ha avuto luogo «la faida dei boschi, che sono coinvolti pure gli Anello (…), c’è stato l’omicidio Tripodi, pure l’omicidio Catroppa». C’è un punto di svolta nella storia del clan – sempre secondo il pentito: è il mutamento degli assetti criminali che si verifica nel 2009 dopo la morte di Damiano Vallelunga: «Per la famiglia Anello, con la morte di Damiano Vallelunga, è stata una sensazione di liberazione (…) cioè, hanno maggiormente preso potere e si sono estesi pure nella bassa serra, poi è caduto in disgrazia giudiziaria pure Bruno Emanuele e quindi si sono sempre più allargati in termine di potere nel settore del legname». Fino ad avere la possibilità di «entrare a livello internazionale».

Il night degli Anello in Svizzera

Una delle mete – almeno per quanto riguarda il traffico di droga – era la Svizzera: «Gli Anello hanno un locale di ’ndrangheta sia a Filadelfia che in Svizzera», ricononosciuto «da mamma ’ndrangheta, dai loro compari, Palamara, Morabito e compagnia bella». Oltreconfine, per Mantella, gli Anello «compravano strutture ricettive, qualche pizzeria, qualche ristorante, addirittura si vociferava che Anello avesse un night club che non era molto gradito alle tradizioni della ’ndrangheta». I proventi di quelle attività «rimanevano per la gran parte in Svizzera, all’interno di cassette di sicurezza».

Nel riquadro, il capo del clan Tommaso Anello

Le armi vendute agli Arena e lo sgarro ai Grande Aracri

Il territorio elvetico sarebbe stato fondamentale anche per il traffico delle armi: «I canali erano sempre attraverso la Svizzera, Jugoslavia e dalla parte dei Balcani, e pure qualche movimentazione si faceva sul Piemonte». Kalashnikov e fucili d’assalto arrivavano dai Balcani, dalla Svizzera invece provenivano pistole cecoslovacche, a tamburo e Smith&Wesson. Quelle armi sarebbero state cedute anche (attraverso il clan Bonavota) al gruppo degli Arena di Isola Capo Rizzuto. Un azzardo: «Hanno rischiato di essere attaccati dal gruppo avverso agli Arena, ossia i Grande Aracri, e poi hanno pattuito che non doveva più, la famiglia Anello, interessarsi del Crotonese, assolutamente» così come «non dovevano cedere assolutamente armi nella vicina Catanzaro».



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