L’Ue è in crisi e Trump non aiuta, ma Draghi e Letta hanno (forse) la soluzione

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Arriva Donald Trump e scompiglia, di nuovo, tutto. Il nuovo presidente eletto degli Stati Uniti, che ha già annunciato misure contro l’Unione europea facendo leva sul deficit commerciale con Washington (sopra i duecento miliardi di dollari nel 2023), promettendo di aumentare i dazi al dieci per cento. Nell’invito per il primo incontro informale del Consiglio europeo, il presidente António Costa ha ribadito che l’Europa sta pagando un prezzo elevato a causa di una politica di difesa disorganizzata e di un mercato unico che non riesce a sfruttare appieno il potenziale economico del continente, un concetto che viene ribadito anche da Erik Jones e Matthias Matthijs in una nuova analisi per Foreign Affairs. 

Eppure qualche soluzione, o almeno qualche proposta convincente, è già arrivata. Se ne è parlato molto lo scorso autunno, con i report sulla competitività di Enrico Letta e, soprattutto, di Mario Draghi. L’Unione europea è una delle potenze economiche più influenti al mondo, ma deve fronteggiare una serie di sfide strutturali che minacciano gravemente la sua posizione sulla scena globale. In risposta, Christine Lagarde, presidente della Banca Centrale Europea, ha suggerito di «comprare certe cose dagli Stati Uniti» e altri alti funzionari dell’Unione, in maniera simile, di acquistare di più gas naturale liquefatto e armamenti dagli Stati Uniti, inducendo Trump a rinunciare all’imposizione sui Paesi Nato di raggiungere quota tre o cinque percento del Pil per la difesa, altra sua richiesta inamovibile. «Il problema di tutte queste strategie a breve termine è che non affrontano i problemi strutturali di lungo periodo dell’Ue», commentano i due analisti su Foreign Affairs.

Come fare allora? Il vero nodo da sciogliere è riformare il mercato unico europeo, in particolare sul fronte finanziario. I cittadini europei non mancano né di risparmi né di opportunità di investimento. Tuttavia, gran parte della liquidità rimane inattiva nelle banche nazionali o cerca rendimenti più elevati nei mercati dei capitali statunitensi. Ciò che manca è quindi «la capacità di spostare il denaro in modo efficiente da una parte all’altra dell’Unione», e di indirizzarlo propriamente. Diventa cruciale quindi che i governi si orientino verso priorità strategiche come l’energia rinnovabile, l’intelligenza artificiale e la tecnologia militare. Sia Letta sia Draghi insistono sul fatto che liberare i risparmi interni è essenziale per creare un vero mercato comune per l’industria della difesa; attualmente, gran parte del finanziamento e degli appalti per la difesa avviene solamente a livello degli Stati membri.

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A proposito, i due ex presidenti del Consiglio italiani parlano della creazione di una Unione dei Risparmi e degli Investimenti, che faciliterebbe l’allocazione dei capitali verso questi campi strategici. Draghi enfatizza la necessità di investire almeno ottocento miliardi di euro in più ogni anno per tornare a essere competitivi a livello globale. Tuttavia, la realizzazione di queste riforme richiede non solo un cambiamento nelle politiche economiche, ma anche una cooperazione politica che oggi sembra difficile da ottenere. Il finanziamento di certi schemi richiederebbe infatti un sostanziale aumento del debito che dovrebbe essere assunto «collettivamente dall’Europa», come avvenuto durante la pandemia del 2020.

Secondo Costa, questa collaborazione potrebbe «ottimizzare i vantaggi derivanti dalla produzione su larga scala, ridurre i costi e assicurare una domanda stabile nel lungo periodo», attirando inoltre gli investimenti necessari, inclusi quelli in ricerca e sviluppo, che risulterebbero insostenibili per gli Stati membri che operano separatamente. Un ulteriore ciclo di indebitamento collettivo europeo, tuttavia, è politicamente controverso, nonostante i rapporti suggeriscano che potrebbe generare vantaggi concreti nel migliorare sia le relazioni interne che quelle transatlantiche.

L’attuazione delle raccomandazioni aiuterebbe invece a rassicurare gli europei e i loro alleati sul fatto che l’Unione può assumersi una maggiore responsabilità diventando così più «resiliente, efficiente, autonoma e un attore di sicurezza e difesa più affidabile». L’ostacolo maggiore tra questi è la frammentazione politica interna dell’Europa. Molti Stati membri, come l’Ungheria e la Slovacchia, sono riluttanti a trasferire ulteriori poteri a Bruxelles, e GermaniaFrancia stanno vivendo periodi di instabilità politica che impediscono l’avvio di queste riforme decisive, in passato guidate da loro.

Inoltre, poiché la maggior parte dei governi europei è stata costretta a presentare politiche di bilancio restrittive per il 2025, è improbabile che l’eurozona ottenga uno spazio fiscale sufficiente per aumentare la spesa pubblica o ridurre le tasse: serviranno quindi «creatività e nuove modifiche alle regole fiscali». Per quanto riguarda la difesa dei confini ora, è probabile che se la presidenza Trump interrompesse davvero l’assistenza militare e finanziaria all’Ucraina, «una coalizione guidata dalla Polonia, potrebbe comunque finanziare, con fatica, la resistenza» includendo «Francia, Paesi Bassi, Paesi Baltici e Scandinavi, ricevendo anche sostegno dal Regno Unito».

Tuttavia, nell’ambito economico, sarà necessario che la Commissione europea e il Consiglio europeo, piuttosto che un singolo Stato membro, colmino questo vuoto di leadership. Possiamo però forse confidare nell’esperienza di von der Leyen e della nomina di Kaja Kallas al ruolo di Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, definita la «nuova Lady di Ferro d’Europa». Il rischio quindi, se l’Unione europea non dovesse agire, è che rimanga vulnerabile agli interessi esterni, perdendo ancora più terreno rispetto agli Stati Uniti e alla Cina. Se le raccomandazioni di Letta e Draghi verranno attuate, l’Unione potrà invece finalmente esprimere il suo vero potenziale economico e politico. Come si chiede però il presidente del Consiglio europeo, «siamo d’accordo a spendere di più e meglio insieme?».



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