Limiti per l’esclusione da IVA dei TP adjustment

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Con la risposta a interpello n. 266, pubblicata ieri, l’Agenzia delle Entrate è tornata a esprimersi in merito alla rilevanza IVA degli aggiustamenti di prezzo (c.d. “transfer pricing adjustment”).
Con riferimento a un gruppo, composto da una società con sede legale Ue ma identificata ai fini IVA in Italia e da una società stabilita negli Stati Uniti, è esaminata la rilevanza IVA degli aggiustamenti di prezzo corrisposti in ragione della “TP policy” definita dal gruppo.

L’Agenzia delle Entrate riafferma i propri principi, secondo cui gli aggiustamenti di prezzo in linea di principio non concorrono, in via automatica, alla determinazione della base imponibile IVA.

L’obiettivo delle politiche di transfer princing è, infatti, essenzialmente quello di permettere una corretta allocazione a livello globale del reddito tra le imprese di un gruppo multinazionale, localizzate in Stati diversi, quando scambiano tra di loro beni e/o servizi. Se a livello reddituale il prezzo delle suddette transazioni deve essere conforme al c.d. arm’s lenght principle (ossia al prezzo che applicherebbero imprese indipendenti, operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili), ciò non vale ai fini IVA, essendo l’obiettivo primario di quest’ultimo tributo la tassazione del consumo di beni e servizi nel luogo in cui esso avviene.

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Ai fini IVA, peraltro, la base imponibile è determinata in virtù del corrispettivo pattuito fra le parti, ai sensi dell’art. 13 del DPR 633/72. Il valore normale delle transazioni è adottato, in via residuale, secondo il successivo art. 14, a fattispecie specifiche, come nel caso in cui uno dei due soggetti passivi coinvolti subisce delle riduzioni del diritto alla detrazione dell’imposta.

Sul punto, si è pronunciata anche la Corte di Giustizia Ue, nella sentenza 26 aprile 2012, cause riunite C-621/10 e C-129/11 (§ 43). Ivi è stato affermato che la base imponibile IVA è costituita dal corrispettivo effettivamente ricevuto a tal fine dal soggetto passivo, in quanto esso è un valore “soggettivo” (ossia realmente percepito) e non un valore stimato secondo criteri oggettivi (come nel caso di quello conforme al c.d. “arm’s lenght principle”).

La posizione dell’Agenzia trova fondamento nel working paper n. 855 del Comitato IVA, già menzionato in precedenti documenti di prassi (risposte a interpello n. 60/2018, n. 529/2021, n. 884/2021), i cui principi vengono ribaditi.
Secondo tale impostazione i “TP adjustment” rientrano nel campo di applicazione dell’IVA quando dal contratto risulta che:
– sono a titolo oneroso, ossia in denaro o in natura;
– si riferiscono a specifiche e individuate cessioni di beni o prestazioni di servizi infragruppo, soggette a IVA;
– esiste un collegamento diretto tra le rettifiche in commento e il corrispettivo originariamente pattuito per l’operazione intercompany.

Nel complesso caso esaminato nella risposta a interpello n. 266/2024, tuttavia, avendo deciso le parti di fissare il corrispettivo conformemente alle politiche “TP” di gruppo, la fatturazione (almeno in una prima fase) avveniva in questo modo:
– un primo documento è emesso, per circa il 5% dell’importo totale dovuto dal cessionario, a fronte dell’esportazione effettuata;
– un secondo documento è emesso, in un momento successivo, addebitando il rimanente 95% a consuntivo.
La seconda fattura non è, però, riferita alle singole transazioni, bensì su base periodica (es. trimestrale), trattandosi dell’aggiustamento di prezzo per raggiungere il margine operativo definito dalla “TP policy”.

Secondo l’Agenzia delle Entrate, in una fattispecie come quella rappresentata, il corrispettivo per il quale è emessa fattura “a consuntivo” (per la quota parte pari al 95%) non può ritenersi irrilevante ai fini IVA in quanto esclusivamente finalizzato ad “aggiustare” il margine operativo della controparte.
Se così fosse, il corrispettivo della transazione rilevante ai fini IVA sarebbe limitato al 5% del valore “TP” e solo questa minima parte corrisponderebbe, ai sensi dell’art. 13 del DPR 633/72, all’ammontare “effettivamente dovuto” dal cessionario.

L’Amministrazione finanziaria, in assenza di informazioni utili al riguardo, ritiene che la seconda fattura emessa dal cedente italiano (per una quota del 95% del valore) comprenda sia l’aggiustamento del margine operativo del cessionario, sia il saldo dell’esportazione effettuata. Pertanto, l’intero ammontare di questa seconda fattura dovrebbe ritenersi quale corrispettivo rilevante ai fini IVA, sebbene l’operazione risulti non imponibile (in qualità di cessione all’esportazione ex art. 8 del DPR 633/72).



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