Giustizia in cerca di riflettori: indagati i simboli della ricerca calabrese

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La magistratura inquirente di Catanzaro torna a far parlare di sé, ma non per la solidità delle sue inchieste. Ancora una volta, ci troviamo di fronte a un’indagine che sembra avere più a che fare con i riflettori mediatici che con la ricerca della verità. Questa volta, il bersaglio sono alcuni dei nomi più autorevoli del panorama accademico e scientifico calabrese: il professor Ciro Indolfi, luminare dell’emodinamica e figura di spicco a livello internazionale; il professor Vincenzo Mollace, autorevole esperto di farmacologia; l’ex rettore Giovambattista De Sarro; il professor Ernesto Palma e altri accademici e funzionari dell’Università Magna Grecia e dell’ASP di Catanzaro. Ci sembra di capire che al netto delle implicazioni penali che sono tutte da dimostrare, la reputazione dei più illustri accademici calabresi sia stata buttata in pasto alla ferocia della gogna mediatica per le modalità della morte di alcune decine di topi da laboratorio.

Secondo le accuse, avrebbero maltrattato ratti e topi utilizzati nei laboratori di ricerca, violando le normative sul benessere animale. Ma il quadro che emerge dalle carte è tutt’altro che chiaro. Anzi, a una prima lettura, sembra di trovarsi di fronte alla solita montatura mediatica: intercettazioni, interpretazioni creative e un impianto accusatorio che fa acqua da tutte le parti.

I fatti: una gogna mediatica in grande stile

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L’indagine ruota intorno a presunte irregolarità nella gestione degli animali da laboratorio. Si parla di maltrattamenti, condizioni igieniche inadeguate e omissione di controlli microbiologici. Accuse gravi, certo, ma che riguardano topi e ratti da laboratorio, utilizzati da decenni per la ricerca scientifica con protocolli approvati dal Ministero della Salute. E qui sta il nodo centrale: se i progetti erano già autorizzati, le presunte violazioni sembrano derivare più da questioni gestionali e tecniche che da reali intenti criminali.

Eppure, queste figure di altissimo profilo accademico sono finite agli arresti domiciliari o indagate con una leggerezza che lascia interdetti. Il professor Indolfi, il professor Mollace, l’ex rettore De Sarro, il professor Palma e altri docenti universitari sono stati scaraventati nell’arena mediatica come mostri. La stampa, puntuale come sempre, si è accodata al copione delle procure, rilanciando accuse senza porsi domande critiche.

L’analisi: accuse deboli, riflettori forti

Non è la prima volta che assistiamo a questo tipo di dinamiche. L’indagine presenta tutti gli ingredienti di una spettacolarizzazione mediatica: intercettazioni, interpretazioni discutibili e una narrazione costruita ad arte per catturare l’attenzione dell’opinione pubblica. Ma scavando appena sotto la superficie, emergono dubbi consistenti.

Gli investigatori hanno competenze sufficienti per valutare le questioni scientifiche in gioco? O ci troviamo di fronte a operatori che, senza alcuna preparazione specifica, hanno interpretato situazioni tecniche come atti criminosi? E ancora: è proporzionato trattare questioni di benessere animale come se fossero crimini contro l’umanità, coinvolgendo figure di spicco internazionale e danneggiando la reputazione dell’Università Magna Grecia?

Il danno: un attacco alla scienza calabrese

Il danno è incalcolabile. Personalità come Indolfi e Mollace rappresentano l’eccellenza della ricerca scientifica italiana. Invitati nei contesti internazionali più prestigiosi, il loro lavoro è un pilastro per il progresso medico e farmacologico. Ma tutto questo rischia di essere spazzato via da accuse che, a un primo esame, sembrano basarsi su prove fragili.

E lo stesso vale per altre figure centrali di questa vicenda, come il professor Palma, stimato responsabile del benessere animale presso l’Università Magna Grecia, e l’ex rettore De Sarro, il cui contributo accademico e scientifico non può essere messo in discussione da un’indagine che appare carente sotto il profilo probatorio.

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Non è solo un danno personale: è un colpo all’intero sistema universitario e scientifico calabrese. Invece di sostenere queste figure, di valorizzarne il contributo, la giustizia italiana le trascina nel fango, minando la credibilità di un’istituzione già troppo spesso bersaglio di attacchi.

Una riflessione sulla magistratura

C’è un problema più ampio che non possiamo ignorare. Un recente sondaggio di Repubblica ha rivelato che il 73% degli italiani non ha più fiducia nella magistratura. E come dargli torto? Operazioni come questa non fanno che confermare l’idea di una giustizia più interessata ai riflettori che alla verità. La magistratura inquirente agisce in nome del popolo italiano, ma sembra aver dimenticato che quel popolo si aspetta sobrietà, rigore e rispetto, non il teatrino mediatico a cui siamo abituati.

Il garantismo a intermittenza di Roberto Occhiuto

A questa riflessione si aggiunge un altro elemento di critica: l’atteggiamento di Roberto Occhiuto, Presidente della Regione Calabria, che ancora una volta si è affrettato a commentare l’inchiesta con dichiarazioni che, pur mascherate da garantismo, appaiono più come una condanna anticipata.

Non è la prima volta che accade. In passato, Occhiuto ha spesso preso posizioni simili su indagini poi rivelatesi fragili o smontate dagli organi giudicanti. Curiosamente, l’unico caso in cui il Presidente si è mostrato davvero garantista è stato quando si è trattato di difendere il suo assessore Minenna, coinvolto in un’indagine per corruzione. Come ha affermato Vincenzo Speziali, si tratta di un garantismo a metà: pronto a schierarsi per alcuni, ma altrettanto rapido nel condannare senza attendere l’esito delle verifiche per altri.

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Questa indagine è l’ennesimo esempio di come il sistema giudiziario italiano abbia perso di vista le sue priorità. Accuse deboli, una spettacolarizzazione fuori luogo e un danno irreparabile per persone e istituzioni che rappresentano l’eccellenza del nostro Paese.

È tempo di dire basta. Basta alla gogna mediatica, basta alle indagini costruite per i titoli di giornale. La giustizia deve tornare a essere sobria, rispettosa e soprattutto credibile. Perché senza fiducia, senza rispetto, non c’è giustizia: c’è solo caos.



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