La denuncia dell’attivista fermata a Brescia: il sintomo di uno Stato che reprime e protegge gli abusi (Aurelio Tarquini)

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Dopo la manifestazione di lunedì 13 gennaio davanti ai cancelli della Leonardo, a Brescia, a cui hanno preso parte anche attivisti di Ultima Generazione e Palestina Libera, ventitré persone sono state trattenute per sette ore in questura. “Tutte le persone sono state denunciate arbitrariamente per reati pretestuosi e altre espulse da Brescia con dei fogli di via obbligatori”, scrive il movimento ambientalista Extinction Rebellion.

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Una delle attiviste fermate denuncia di essere stata costretta a spogliarsi completamente e a eseguire tre squat in Questura. Questa inaudita violazione dei diritti umani non può essere liquidata come un episodio isolato. La vicenda si colloca nel contesto di una crescente repressione contro i movimenti ambientalisti e sociali, svelando una deriva autoritaria in atto, alimentata dalle politiche del governo Meloni.

L’introduzione dello scudo penale per gli agenti delle forze dell’ordine impegnati in operazioni di piazza, attualmente in discussione, rappresenta l’ennesimo passo verso una pericolosa impunità istituzionalizzata.

La denuncia: uno scenario inquietante

L’attivista ha raccontato di essere stata sottoposta a pratiche umilianti e degradanti in Questura, dopo essere stata fermata durante la manifestazione di Extinction Rebellion davanti alla Leonardo, ditta di armi a cui il governo Meloni sta procurando ottimi profitti appoggiando il regime di Kiev (con al suo interno preoccupanti e palese fazioni neonaziste) e il governo genocidario di Tel Aviv.

La ragazza e stata obbligata a denudarsi e a eseguire squat, un esercizio fisico che consiste nel piegare le ginocchia e abbassare il corpo mantenendo la schiena dritta, come se ci si stesse sedendo su una sedia invisibile. Il trattamento subito non ha alcuna giustificazione sul piano legale o procedurale. È doveroso ricordare che queste pratiche, se confermate, configurano una violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, oltre a rappresentare una grave forma di intimidazione volta a scoraggiare il dissenso.

Non è un caso che episodi simili si moltiplichino in un momento storico in cui il governo Meloni ha adottato una linea dura nei confronti delle proteste sociali e ambientali (in quanto terrorizzato di perdere il potere), descrivendo spesso attivisti e manifestanti come “nemici dell’ordine pubblico” o più semplicemente dei filo terroristi. Questo linguaggio divisivo e fascista, che criminalizza il dissenso, fornisce terreno fertile per abusi come quello denunciato a Brescia.

In questo contesto, si inserisce perfettamente la proposta dello scudo penale per gli agenti di pubblica sicurezza in servizio durante operazioni di piazza. Questo strumento, concepito per evitare l’iscrizione nel registro degli indagati in caso di “atti dovuti” da parte della magistratura, rappresenta un chiaro segnale politico: il governo vuole blindare le forze dell’ordine da qualsiasi responsabilità penale, anche in caso di abusi evidenti.

Un simile provvedimento non solo rischia di legittimare comportamenti violenti o arbitrari, ma mina alla base il principio di uguaglianza davanti alla legge. Nessun cittadino o funzionario in un Paese Civile e Democratico può essere al di sopra della legge. Garantire una sorta di immunità preventiva agli agenti significa accettare che episodi come quello denunciato dall’attivista di Brescia possano ripetersi senza conseguenze.

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L’approccio del governo Meloni non è isolato. Si inserisce in una strategia più ampia di gestione autoritaria del dissenso, che include l’inasprimento delle pene per i reati commessi durante le manifestazioni e la criminalizzazione delle organizzazioni ambientaliste. Il messaggio è chiaro: chi protesta contro le scelte del governo – che si tratti di questioni ambientali, politica estera, sociali o economiche – sarà trattato come un nemico da reprimere con ogni mezzo necessario.

Le politiche ambientali del governo, peraltro inesistenti o controproducenti, rappresentano un altro elemento di questa equazione. Movimenti come Extinction Rebellion puntano il dito contro l’inazione sul cambiamento climatico e l’alleanza del governo con le lobby fossili.

La repressione contro questi movimenti non è casuale: silenziare chi denuncia il fallimento delle politiche climatiche è funzionale a mantenere intatti gli interessi di un sistema economico basato sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse.

Le conseguenze di questa deriva sono profondamente allarmanti per la tenuta democratica del Paese. La protezione garantita agli agenti di polizia attraverso lo scudo penale, unita a una narrativa governativa che delegittima ogni forma di protesta, crea un clima in cui il controllo e la repressione diventano strumenti politici normalizzati.

La società civile non può permettere che episodi come quello di Brescia vengano accettati come inevitabili. Ogni abuso deve essere denunciato, indagato e sanzionato. Ma ciò sarà impossibile se il governo continua a promuovere misure che svuotano di significato i meccanismi di controllo democratico sulle forze dell’ordine.

Il caso di Brescia è un monito. Se confermate, le accuse dell’attivista di Extinction Rebellion rappresentano un grave segnale di come il governo e le forze di polizia stiano agendo in un quadro di sempre maggiore impunità. Lo scudo penale per gli agenti di pubblica sicurezza non è che l’ultimo tassello di questa deriva autoritaria, che mira a consolidare un modello di gestione del potere in cui il dissenso viene sistematicamente represso.

È urgente che la società civile si mobiliti per difendere i diritti fondamentali e contrastare questa pericolosa erosione delle garanzie democratiche. Non possiamo permettere che chi denuncia le ingiustizie venga umiliato e intimidito da coloro che dovrebbero garantire il rispetto della legge. Non possiamo accettare che il governo, anziché vigilare sugli abusi, scelga di proteggerli.

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Aurelio Tarquini



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