Leggere un libro cartaceo o un eBook non è la stessa cosa. Certo, è diversa la sensazione tattile, la minore o maggiore comodità di trasporto, la necessità o meno di ricaricare le batterie e tante altre specificità dell’una o dell’altra piattaforma tecnologica. Anche per la carta, perché dietro a un libro stampato risiede la versione aggiornata della più grande invenzione della storia dell’umanità, la stampa a caratteri mobili di Gutenberg.
Ma la più grande differenza probabilmente ci sfugge. Con un libro cartaceo, leggiamo le parole che l’autore ha voluto regalarci, mentre con un eBook leggiamo sullo schermo di un piccolo personal computer il risultato di un’elaborazione elettronica.
Tutto è fatto in modo tale che la user-experience sia analoga al volume di carta e magari anche più comoda e fruibile. Ma una cosa è certa: le parole dell’autore sono state digitalizzate su una memoria statica, in un file, e poi presentate sullo schermo da un software di visualizzazione. Quello che vediamo non è la fatica dello scrittore, ma una sua rielaborazione, prima digitale e poi nuovamente analogica per consentirne la lettura, o l’ascolto.
Documenti digitali
Oggi dobbiamo affidarci a un software per farci tradurre ed esporre il contenuto
del romanzo, o del saggio che vogliamo affrontare prima di addormentarci.
E, se nessuno nutre interesse a modificare in peggio “Nel mezzo del cammin di nostra vita…” (o “To be, or not to be, that is the question…”), quando il documento digitale non letterario si presenta massicciamente nella nostra vita e sostituisce di fatto il cartaceo, il problema diventa sensibile.
Una metafora
Nel 1929, Henry Magritte, pittore belga del Surrealismo, dipinse una pipa diventata celebre: “Ceci n’est pas une pipe”. Il quadro suscitò molte discussioni, per la sua apparente contraddizione, visto che quella raffigurata era proprio una pipa pronta da fumare.
Il messaggio del pittore belga era che ciò che si vede dipinto non è una pipa, ma una sua rappresentazione. Un ritratto, cioè, una quasi-fotografia, ma qualcosa di distinto dalla vera pipa tridimensionale.
Il passaggio da carta a silicio
Nel campo informatico, la asserzione di Magritte ha guadagnato applicabilità solo negli anni ‘90, nell’era dei documenti digitali, in analogia ai documenti cartacei su cui si è basata tutta la civiltà da millenni.
Fino ad allora, infatti, gli oggetti digitali vivevano solo nelle memorie dei computer ed erano in qualche modo separati dalla realtà cartacea. Si potevano stampare dei report dettagliati, dei libri di contabilità, delle lettere, si poteva gestire un conto corrente o anche un’anagrafe dei cittadini, ma il documento principe restava sempre, ineluttabilmente, un foglio di carta, su cui poi venivano apposte firme, autenticazioni, marche da bollo, da cui venivano estratte copie conformi. Ma il fatto che, ab ovo, tale documento fosse una sequenza di bit era del tutto secondario.
Dal 1993, con il D.Lgs. 39, qualcosa cambia. Si afferma infatti che “gli atti amministrativi adottati da tutte le pubbliche amministrazioni sono di norma predisposti tramite i sistemi automatizzati”.
Nonostante il “di norma” che è la scappatoia tutta italiana per affermare un principio e poi far finta di scordarsene, il decreto rappresenta di fatto l’equiparazione fra documenti cartacei e digitali. E quindi la sequenza di bit diviene, quasi a sorpresa, più importante del suo fratello su carta.
Ma quello che forse sfuggì, oltre trent’anni fa, fu l’enorme ripercussione che il passaggio “da carta a silicio” avrebbe comportato in termini di interpretazione delle informazioni contenute in un documento, amministrativo o di altra natura.
Infatti, un foglio manoscritto, dattiloscritto o prodotto da una stampante laser può essere letto direttamente, magari con l’ausilio di un paio di occhiali o di una lente. Non ha bisogno di nessun intermediario, né umano né informatico.
Il documento digitale, a differenza di quello cartaceo, ha invece bisogno di un medium ovvero di un sistema che si ponga davanti alla sequenza di bit presente sul disco del computer e la trasformi in una o più immagini visibili sullo schermo.
Questa presenza è molto ingombrante, anche se abbiamo imparato a tollerarla o più semplicemente ad ignorarla. In pratica dobbiamo affidarci a un software, che ovviamente non è scritto da noi, per leggere il contenuto del documento digitale.
I documentri digitali e la trasparenza
L’aggettivo “trasparente” è usato in modo opposto nell’informatica rispetto al mondo reale. Un livello software “trasparente” significa ch non ci si accorge della sua presenza.
Se viceversa si afferma che “l’azione amministrativa deve essere trasparente”, vuol dire che è possibile esaminarne ogni dettaglio, fino al singolo provvedimento di spesa o atto deliberativo.
E così, il software del reader o del PC che interpreta un eBook è sì trasparente, ma esiste e ha un peso molto elevato nella società digitale.
Il software e il ritorno all’epoca dei papiri
In effetti, è come se vivessimo al tempo degli scriba egiziani o anche più in qualche Paese caratterizzato dall’analfabetismo diffuso, e dovessimo affidarci a un professionista, un sacerdote, un maestro elementare per capire che cosa riporta una lettera scritta dal figlio dal fronte, o un testamento del nonno.
Non a caso tutte queste figure di interprete erano fra le più potenti e rispettate del loro tempo, perché avevano il grande potere di trasformare dei segni sopra un foglio in parole, frasi, messaggi che a loro volta trasportavano fatti e sentimenti, provenienti talvolta da molto lontano.
Questo paradigma però ricorda la televisione o internet, a rifletterci bene.
Il fatto che noi leggiamo solo una rappresentazione del documento “vero” comporta alcuni equivoci. Molte persone sono convinte che la stampa di un file digitale che riporti il “bollino rosso” dell’avvenuta firma elettronica sia da considerare come validamente firmata.
Invece, la copia cartacea di un documento firmato digitalmente non ha valore,
indipendentemente dalle immagini di sigilli in ceralacca o altre indicazioni tecniche sulla presunta firma apposta. Del resto, lo stesso risultato si può ottenere con un bel copia-e-incolla sulla pagina Word o Pdf in questione.
Neanche le firme autografe (“a penna”) scansionate ed incollate sui file hanno alcun significato per il valore legale del documento.
La rappresentazione del documento
In un file Word è possibile scrivere in Arial-grassetto-corpo 30 frasi semiserie del tipo “Paolo Campigli riceve la somma di 50.000 dollari dal Presidente Usa. Firmato xxx”.
Chiudendo il documento e riaprendolo dopo qualche secondo, compare la scritta: “Paolo Campigli riceve la somma di 11.000 dollari dal Presidente Usa. Firmato xxx”. E così sembra che Paolo Campigli rubi 39.000 dollari al Presidente degli Stati Uniti.
Il trucco è in un campo data-ora inserito nel file Word, che visualizza i secondi dell’ora corrente al momento dell’apertura del file in Word. Aprendo il file una prima volta alle 10:23:50 e la seconda alle 10:24:11, per esempio, realizza l’effetto speciale.
In questo caso, non era il documento ad essere cambiato in quei pochi secondi, ma la sua rappresentazione, fornita da Microsoft Word e visualizzata sullo schermo.
Questo trucco accende i riflettori sulle non elevate capacità informatiche dei dipendenti pubblici, che spesso – e non certo per colpa loro – limitano l’interazione con il computer al doppio clic su un’icona.
La sceneggiata potrebbe essere complicata a piacere firmando digitalmente il documento e verificando, subito dopo, la correttezza della firma (l’integrità del documento). Infatti, neanche la firma digitale può proteggerci da questi effetti, perché è solo la rappresentazione del file che viene alterata e non il suo contenuto binario.
Per questo motivo, il formato Pdf/A viene generalmente utilizzato per lo scambio di file firmati a validità legale non prevede la presenza di campi “attivi” ovvero immodificabili nell’aspetto visualizzato del documento a seconda di condizioni esterne quali l’orario di apertura.
Il rischio dell’obsolescenza digitale
La necessità del medium si riflette anche su un altro aspetto della documentazione digitale. Nessuno ha la certezza che, fra cinquanta, cento, cinquecento anni questi file saranno ancora leggibili.
I papiri egizi lo sono ancora, dopo oltre tre millenni dalla loro scrittura. Ma i floppy disk da 5 pollici degli anni ‘80 già danno qualche problema di rilettura, fermo restando che i formati dei file di quegli anni non è detto che siano facilmente interpretabili.
Oggi rischiamo un oblio digitale di vaste proporzioni, da far impallidire il Winston
Smith di “1984”.
E lui, almeno, lavorava sui ritagli di giornale.
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