Quanto costerà a Zuckerberg la svolta trumpiana? I timori degli inserzionisti e la vera differenza con Musk

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La resa del numero uno di Meta al presidente entrante e il ritorno alle origini sulla libertà d’espressione potrebbero costargli care

Follow the money. Proviamo a seguire i soldi per capire quali potranno essere gli effetti delle nuove politiche di Mark Zuckerberg, tra ritorno alle origini e neo filo-trumpismo. 

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Innanzitutto le azioni: dal discorso incendiario e dagli annunci di martedì 7 gennaio, quando ha detto che eliminerà il fact-checking negli Usa e modificherà la moderazione dei contenuti in tutto il mondo, hanno perso poco e niente. Da inizio anno, il titolo ha guadagnato circa il 26% e secondo alcuni esperti resta uno di quelli su cui puntare nel 2025.




















































I grattacapi potrebbero arrivare dagli inserzionisti, che potrebbero mal digerire la fine della verifica della disinformazione e il proliferare di contenuti d’odio. Il Financial Times ne ha sentiti alcuni, registrando le loro preoccupazioni. «Alcuni marchi staranno già valutando attentamente i loro piani e senza dubbio questo diventerà un problema a livello commerciale per entrambe le parti»,  ha affermato Fergus McCallum, responsabile dell’agenzia pubblicitaria TBWA\MCR.

«Meta ha fatto un ottimo lavoro nel ripulire i  contenuti tossici e se le cose cambieranno, gli inserzionisti lo noteranno rapidamente e li puniranno», ha aggiunto Richard Exon, fondatore dell’agenzia pubblicitaria Joint.

Altri dirigenti del settore, scrive il Ft, si sono detti «nervosi» e stavano cercando ulteriori informazioni su come verranno implementati i cambiamenti. 

Secondo alcuni, invece,  «la dura verità è che agli inserzionisti importerà solo se i cambiamenti danneggeranno i loro numeri. Se le prestazioni rimarranno stabili, nessuno perderà il sonno per “dove” o “come” vengono visualizzati gli annunci», ha dichiarato Alex Cheeseman, responsabile di Outbrain nel Regno Unito. 

Gli inserzionisti ascoltati “a caldo” martedì dal Wall Street Journal erano dello stesso avviso: per ora non ridurranno l’investimento, perché gli annunci nella galassia Meta offrono un ritorno irrinunciabile. In particolare, sono le piccole aziende a beneficiare maggiormente della pubblicità sui social e a essere meno sensibili, rispetto alle grandi, alle problematiche legate alla moderazione dei contenuti. 

Questo è un punto importante, che marca anche la differenza fra Elon Musk e Mark Zuckerberg. 

Per Musk, X è un oggetto contudente. Un oggettino, seppur pagato 44 miliardi di dollari: è solo una delle aziende in suo possesso, brandita per influenzare il dibattito pubblico a fini politici e di alleanze. Lo dimostrano i cambiamenti apportati alla moderazione dei contenuti, all’algoritmo che durante la campagna elettorale Usa hanno privilegiato l’account di Musk e di altri filo-repubblicani e alla reintegrazione di profili di estremisti di destra che erano stati bannati in precedenza. Gli utenti globali, secondo alcuni report, sono calati dai 611 milioni dello scorso a aprile ai 588 milioni di settembre.

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Per Zuckerberg, i social media di Meta e il business pubblicitario collegato sono tutto. Ospitano 3,2 miliardi di persone. E dei 40,6 miliardi di entrate trimestrali, 39,8 miliardi si devono alle sponsorizzazioni (terzo trimestre del 2024). Se il giocattolone dovesse rompersi e l’ambiente diventare meno salubre, i primi a far sentire la loro voce (e silenzio) sarebbero gli utenti, che verrebbero probabilmente seguiti dagli inserzionisti.

Però: schivare le minacce antitrust negli Stati Uniti (la prossima chiamata è ad aprile, davanti alla Ftc) e le sanzioni e i paletti in Europa,  con l’ausilio del presidente entrante Trump, è altrettanto importante. Non resta che osservare, come faranno gli inserzionisti, fin dove Zuckerberg sarà disposto a spingersi.

13 gennaio 2025 ( modifica il 13 gennaio 2025 | 15:25)

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