Il senso di Trump per la deterrenza

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Si è registrato grande scalpore, quando Donald Trump non ha escluso di ricorrere alla forza per ottenere il controllo della Groenlandia e del Canale di Panama. Vari politici e analisti hanno duramente criticato la posizione del presidente americano in pectore, accusandolo di essere un autoritario con tendenze espansionistiche. Addirittura, c’è chi ha detto che, con le sue parole, avrebbe invogliato Mosca e Pechino a tenere comportamenti simili. La domanda da porsi è: siamo sicuri che le cose stiano come sostengono i critici? Molto probabilmente no. Le affermazioni del tycoon possono piacere o meno. Ma molti degli strali che gli hanno lanciato contro sono totalmente fuori fuoco. Ebbene, per capire il senso strategico di quelle dichiarazioni dobbiamo partire da un punto ineludibile.

Appena si insedierà, Trump avrà un obiettivo non rimandabile: ripristinare, come premessa a ogni suo futuro atto di politica estera, la capacità di deterrenza statunitense. Una capacità di deterrenza che è uscita significativamente azzoppata dopo quattro anni di amministrazione Biden. È dunque evidente che Trump vuole urgentemente trasmettere agli avversari e agli alleati un’immagine della sua leadership come imprevedibile e, quindi, pericolosa. D’altronde, solo se vieni percepiti come minacciosi, la deterrenza può concretamente funzionare. E Trump punta innanzitutto a questo. Vuole far sapere al mondo: “Fate bene attenzione, sono disposto a tutto”. E, a ben vedere, alcuni risultati, grazie a quelle parole, sembra averli già conseguiti.

Sulla questione della Groenlandia, il Cremlino ha rilasciato dei commenti insolitamente cauti, prudenti, ai limiti del timore. Ricordiamo che l’isola rappresenta un punto d’accesso privilegiato a quell’Artico, in cui Mosca e Pechino hanno intensificato la propria cooperazione militare. A lanciare l’allarme in tal senso fu, il mese scorso, proprio il Pentagono. In secondo luogo, lo stesso ministro degli Esteri danese, Lars Lokke Rasmussen, ha replicato al tycoon, dicendosi aperto a rafforzare ulteriormente la collaborazione tra Copenaghen e Washington nella regione artica: una posizione, questa, che non è stata verosimilmente troppo apprezzata da Russia e Cina.

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Quanto sta accadendo va quindi compreso alla luce della strategia che Trump vuole utilizzare. Il tycoon ha capito che ormai, piaccia o meno, è tornata in auge la politica di potenza. E che, se si vuole essere competitivi rispetto a Mosca, Teheran e Pechino, è a questo tipo di logica che bisogna rifarsi: senza ipocriti infingimenti. Ben lungi dall’invogliare russi e cinesi ad agire, le parole di Trump sulla Groenlandia hanno un obiettivo opposto: quello di dissuaderle. E i commenti soft del Cremlino, di cui abbiamo parlato, indicano che, con ogni probabilità, il presidente americano in pectore è riuscito, almeno per ora, a centrare l’obiettivo. Di contro, è la prevedibilità e il continuare a muoversi secondo logiche sorpassate che spingono Mosca e Pechino a osare. Non è un caso che la Russia abbia invaso l’Ucraina pochi mesi dopo la debacle afgana e, soprattutto, pochi mesi dopo l’ok, dato da Joe Biden, al gasdotto Nord Stream 2.

Il problema è che fino a oggi Trump è stato raccontato male in Italia. Alcuni dicevano che era amico delle autocrazie. Altri che era un pacifista. Niente di tutto questo. Trump è un pragmatico con il senso della deterrenza. Vuole mettere sotto pressione e intimorire Cina, Russia e Iran. E, per farlo, ha necessità di ripristinare quella capacità dissuasiva infranta dal predecessore. Il che vuol dire che l’opzione della forza, per lui, è sempre sul tavolo. D’altronde, il paradosso della deterrenza consiste proprio in questo: minacciare l’eventualità bellica per ridurre il rischio che si concretizzi.

Chi quindi si straccia le vesti, accusando Trump di autoritarismo e di espansionismo non ha capito nulla di quanto sta avvenendo. L’ordine internazionale emerso dalla fine della Guerra Fredda oggi è pesantemente sfidato da potenze revisioniste che capiscono un solo linguaggio: quello della paura. Trump segue le regole del gioco, perché ha compreso che non ha più senso appellarsi a dinamiche internazionali che, piaccia o meno, sono al tramonto. Se l’Occidente vuole sopravvivere, deve capire di essere ormai in un mondo pericolosamente caotico. E che l’approccio di Trump, forse, non è il problema. Ma parte della soluzione.





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