Regionali 2025 in Veneto, il tam-tam della Lega: corriamo da soli

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di
Marco Cremonesi

Riunioni e sms, la base si mobilita per chiedere al governatore Luca Zaia di restare in campo. «È la linea del Piave»

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La mobilitazione. Silenziosa, per il momento ancora carbonara. Ma destinata a fare il botto. In Veneto i leghisti stanno organizzando un’iniziativa per chiedere pubblicamente al governatore Luca Zaia di restare in campo. Di mettersi, cioé, a guidare la Lega per le Regionali del prossimo autunno. Indicando il nome del suo successore che correrà a qualsiasi costo: anche se il centrodestra scegliesse un nome diverso. Gli sms scorrono a migliaia, in diverse province sono già state convocate riunioni per tirare le fila dell’appello corale a non lasciare la Regione simbolo del leghismo a un non leghista.

Il fuoco di fila delle dichiarazioni è già quotidiano, venerdì il capogruppo in Consiglio regionale Alberto Villanova l’ha detta in modo rotondo a Affari italiani: «Per noi la Regione è la linea del Piave. Non possiamo assolutamente perdere la guida di una regione identitaria e simbolo politico del nostro movimento». Ed è impossibile «che il prossimo presidente, che speriamo sia ancora Zaia, non sia leghista. Il Veneto è la regione più autonomista d’Italia e la culla della Lega e del federalismo, non esiste che il presidente non sia della Lega: siamo pronti a tutto». 




















































Per molti militanti, la partita è esistenziale; «Ne va della sopravvivenza del partito» si sente ripetere. Un sentimento che certamente il vice di Matteo Salvini, Alberto Stefani, conosce bene. Venerdì ha fatto un tour delle sezioni leghiste in cui ha incontrato centinaia di militanti, tutti quanti a ribadirgli lo stesso concetto: il Veneto deve rimanere leghista. Sui social ha commentato la giornata con un «evviva questa nostra energia identitaria». 

Tra i Fratelli d’Italia, non quelli veneti, qualcuno definisce «una manfrina» la volontà dei territori di correre come Lega contro il centrodestra. Cortesia per cortesia, i leghisti chiamano «la bolla» i brillantissimi risultati di FdI anche in Veneto, liquidandoli alla stregua di «bolle» finanziarie. Ma al di là delle dichiarazioni da curva, c’è chi spera che la partita non debba necessariamente essere muscolare: «Non dobbiamo — spiega un deputato — considerare la discussione chiusa con il no al terzo mandato. La stessa Giorgia Meloni ha detto che le aspettative di FdI vanno tenute in considerazione. Non ha detto “Siamo il primo partito e decidiamo da soli”. Come guida della coalizione, noi speriamo che non voglia umiliare un alleato e tenga conto della specificità veneta». 

Resta il fatto che nella Liga già circola un «censimento» delle proprie forze: 40 consiglieri regionali uscenti, 159 sindaci, 1.200 amministratori sono una «potenza di fuoco» notevole nel caso di «una chiamata alle armi» degli uomini simbolo delle amministrazioni. In uno schieramento che vedrebbe, a fianco delle liste della Lega, la lista Zaia, due civiche, gli autonomisti, Udc e Dc, e anche Azione di Carlo Calenda. Totale «prudenziale»: il 40% dei consensi. Per dirla con un veronese: «In Lombardia, da soli perderemmo. In Veneto, abbiamo fortissime possibilità di vincere». Con un’osservazione maliziosa: «Ha sentito la voce di qualcuno del centrosinistra? Qualcuno che dica “Con le divisioni del centrodestra possiamo vincere”? La verità è che il Veneto sarà un laboratorio politico».

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