Il pizzo oggi? Pagare poco per far pagare tutti

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Rattrista rendersi conto e dovere affermare che ancora oggi  il pizzo è un fenomeno presente in maniera dilagante su tutto il territorio palermitano e non solo. Rattrista ancora di più se pensiamo che Libero Grassi viene ucciso il 29 agosto del 1991 per avere rifiutato di pagare il “pizzo” agli estortori mafiosi. Rifiuto che fece pubblicamente attraverso la lettera al “Caro estortore”, pubblicata il 10 gennaio di quello stesso  anno sulle pagine del “Giornale di Sicilia”.

Un’azione coraggiosa che non solo ruppe il silenzio, ma scardinò un meccanismo di omertà che aveva reso il racket una pratica accettata e quasi invisibile, ovunque e soprattutto in Sicilia. Prima di quel gesto, infatti, chi subiva le estorsioni si trovava solo, intimidito dalla violenza e dalla paura delle ritorsioni e, raramente, trovava la forza di ribellarsi. La lettera di Grassi rappresentò un atto di sfida straordinario che squarciò il velo di silenzio, facendo emergere una ribellione civile, sociale ed economica. Fu il punto di inizio di un cammino di ribellione al racket che non si è più fermato. E che proprio oggi vede riuniti nel capoluogo siciliano veritici istiuzionali e associativi, coinvolti da “Sos Impresa Rete per la Legalità”, per fare il punto sulle azioni messe in atto e i risultati raggiunti sul fronte della lotta al fenomeno, chiedendo al Parlamento italiano che il 10 gennaio diventi la “Giornata nazionale antiracket”.

L’unica convenienza a cui bisogna guardare è quella che deriva dalla denuncia

Matteo Pezzino, presidente ” SOS Impresa Palermo”

Certo l’analisi che va fatta deve partire e tenere in considerazione il fatto che il dato sulle denunce per estorsione non è confortante. Solo undici quelle presentate nel 2024, poco meno del 2 per cento dei circa 800 casi di pizzo accertati dalle forze di polizia nell’ultimo anno.

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E che la mafia continui a essere forte e presente in maniera capillare in Sicilia ce lo dice l’ultima relazione della Commisione regionale Antimafia in Sicilia, presieduta da Antonello Cracolici, facendo presente che “dopo l’arresto di Messina Denaro rischiava di passare l’idea che, arrestati i grandi boss, la mafia fosse sconfitta, fosse un fenomeno sempre più marginale. Le evidenze ci dicono l’esatto contrario e cioè che il controllo del territorio viene esercitato soprattutto attraverso le estorsioni”.

«La caratteristica che emerge», scrive Cracolici ,«è che il fenomeno del pizzo è meno virulento, ma più capillare: il motto è “pagare meno per far pagare tutti”. In alcuni casi le evidenze investigative dimostrano che caratteristiche inedite del fenomeno estortivo: non c’è solo paura, ma una vera e propria disponibilità degli estorti a mettersi a posto, a cercare gli estortori, a mettersi a disposizione”. L’estorsione per Cosa nostra non è solo raccogliere denaro illecito, ma una forma di affermazione di presenza. Secondo il presidente della Commissione antimafia, inoltre, il pizzo è utilizzato per affermare chi comanda, alla famiglia a cui occorre fare riferimento e alle forme classiche si va sostituendo un sistema con forniture alle imprese. Oggi la mafia rilascia persino la fattura alle imprese».

Matteo Pezzino

Sembra che sia cambiato il modo di “esigere” quanto si pensa dovuto

Per Matteo Pezzino, presidente di “Sos impresa Palermo“, dirigente di Confartigianato, ma anche imprenditore edile che ha denunciato immediatamente chi ha provato a mettere le mani sulla sua azienda, le ultime indagini dei Carabinieri dicono che “si paga poco perché l’estortore ha trovato un compromesso con il commerciante, con l’esercente”.

Un tipo di convenienza che non è quella che deriva dalla denuncia

Qui assume un altro significato, trovando una linea di pagamento molto leggera. È un modo per tenere basso il livello di paura che una volta si infondeva sulla vittima. Non c’è piu quella vessazione intimidatoria che creava panico. Anche perchè, molto spesso, l’estortore è anche un parente dell’esercente, della vittima e questo determina il raggiungimento piu veloce del compromesso. Ovviamente tutto questo avviene maggiormente nelle piccole borgate, nelle periferie, in quartieri come Zen, San Lorenzo, Brancaccio, Sperone, se parliamo della città di Palermo. C’è anche da dire che chi decide di non pagare viene lasciato in pace, proprio per tenere basso il profilo e non creare clamore. Si evita in tal modo la denuncia, che solitamente va a innescare un meccanismo di controllo, di tutela, di attenzione da parte delle istituzioni in un territorio che già in qualche maniera ha trovato un equilibrio con gli esercenti.

E questo è un elemento differente dal passato…

Certo, perchè è una stuazione che crea problemi di controllo. Quando c’è la denuncia scattano le indagini e si montora il territorio, arrivando agli arresti. Quando, invece, tutto ricade in una normalità apparente, è molto più complicato, anche non impossibile.

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Quindi la denuncia è l’unica strada da perseguire..

Assolutamente. In quel caso associazioni come la nostra possono stare al fianco dell’imprenditore, sostendolo nei lunghi e spesso molto difficili passi che lo separano dal liberarsi del giogo mafioso. L’imprenditore deve sapere di potere ricevere aiuti per esempio accedendo alla legge 44 grazie alla quale per due anni, in tempo di riprendere fiato, gli vengono bloccate tutte le situazioni debitore nei confronti di enti pubblici, privati, fornitori., al fine di ristabilire il suo status quo di imprenditore e rientrare a pieno diritto nel mercatpo. Una strada certamente in salita, ma di assoluta “convenienza” da tanti punti di vista.

Una presenza forte dello Stato che si potrebbe esplicare anche in altyra maniera?

Io credo che potrebbe tornare utile anche ripristinare le figure poliziotto e del carabiniere di quartiere nei territori maggiormente aggrediti dalla mafia. Ricordo, quando a Palermo, subito dopo l’operazione Vespri Siciliani, erano una presenza costante, si percepivano come estenzione della forza dello Stato. Non dico che possa essere la soluzione, ma una risposta lo può essere sicuramente.

Può una “Giornata Nazionale Antiracket” diventare propositiva rispetto a tutto questo, facendo in modo che l’esempio e il sacrificio di Libero Grassi non vengano dispersi?

Per Fausto Amato, coordinatore nazionale e legale di “SOS Impresa Rete per la Legalità Palermo”, non può essere una giornata commemorativa. «Dobbiamo guardare al presente», dice Amato «è il presente quello che ci interessa, perché purtroppo a Palermo, ancora oggi, ci sono troppi imprenditori convinti che pagare il pizzo sia qualcosa che li mette al riparo, quando in realtà è una corda al collo perché la presenza della mafia in città non fa altro che controllare le attività economiche. Crea, quindi, un problema serio, importante all’economia, perché la mafia tramite l’imposizione del pizzo, di fatto esercita un potere che se ha il coraggio di ribellarsi e di dire di no, come tanti altri in questi anni invece hanno avuto seguendo l’esempio di Libero Grassi. Noi chiediamo che il Parlamento italiano riconosca il 10 gennaio come un momento fondante per la lotta al racket, facendo si, attraverso un riconoscimento legislativo, che in tutto il paese ci possano essere iniziative dentro le scuole, nei luoghi di aggregazione, nelle comunità più diverse, facendo passare il messaggio fondamentale che, se ci si piega al ricatto mafioso, avremo empre un’economia condizionata che non ci sìconsenrtirà mai si essre veramente libero».

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La denuncia di Libero Grassi fu senza dubbio il punto di inizio di un cammino di ribellione al racket che non si è più fermato, anche se è proceduto lentamente e fa sempre fatica a prendere la rincorsa. Ma fortunatamente arrivano anche le date a ricordarci il valore della memoria che in questo caso è anche il valore del coraggio, della resistenza e della speranza.

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