‘Diplomazia della speranza per ritessere rapporti lacerati dall’odio’

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In Vaticano, l’incontro tra Bergoglio e il Corpo Diplomatico presso la Santa Sede per il tradizionale scambio di auguri. Per il 2025 auspicata la pace in Ucraina. Su Palestina e Israele: “Possano vivere fianco a fianco”. In Siria e Libano la comunità cristiana sia d’aiuto per una “stabilità istituzionale”.

Città del Vaticano (AsiaNews) – La “famiglia dei popoli” del mondo – rappresentata dai Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede composto da 184 Paesi – si è riunita intorno a papa Francesco questa mattina nell’Aula della Benedizione in Vaticano. Un abbraccio che raccoglie i frutti dell’impegno internazionale di Bergoglio, che a settembre visitava il Sud-Est asiatico e l’Oceania nel viaggio più lungo del suo pontificato. E che guarda al futuro a partire da importanti risultati come la proroga dell’Accordo sulla nomina dei vescovi siglato a ottobre con la Cina. Ad aprire il tradizionale scambio di auguri per il nuovo anno, le parole di Georgios F. Poulides, ambasciatore di Cipro e decano del gruppo di funzionari. “L’incontro odierno si nutre dello spirito del Giubileo”, ha detto. La diplomazia abbia il “coraggio di essere creativa per rafforzare l’unità nella diversità”.

Papa Francesco, nelle poche parole lette all’inizio del suo discorso – prima di lasciare a causa del raffreddore la lettura a mons. Filippo Ciampanelli, sotto-segretario del Dicastero per le Chiese Orientali -, ha sottolineato la natura “familiare” dell’appuntamento e auspicato che l’occasione consenta di unirsi “lasciando alle spalle le contese che dividono e per riscoprire piuttosto ciò che unisce”. Come anticipato dal decano Poulides, la riunione del Corpo Diplomatico è stata intrisa dei significati che accompagnano l’Anno Santo avviato il 24 dicembre in San Pietro. “Il senso stesso del Giubileo è quello di ‘fare una sosta’ dalla frenesia”, ha detto Bergoglio. L’opportunità di fermarsi, consente “di perdonare le offese, sostenere i deboli e i poveri, far riposare la terra, praticare la giustizia e ritrovare speranza”. Questa è, secondo Francesco, la missione di coloro che, impegnati nelle missioni diplomatiche, esercitano “la forma più alta di carità”: la politica.

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Sono state le parole di Isaia il filo rosso che ha accompagnato il prosieguo del discorso. Cristo è venuto, dice il profeta, “a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore” (Is 61,1-2a). Sono delle pratiche che tracciano la traiettoria da seguire verso il bene comune; nella realtà del mondo, però, sono poco considerate. “Iniziamo questo anno mentre il mondo si trova lacerato da numerosi conflitti, piccoli e grandi, più o meno noti e anche dalla ripresa di esecrabili atti di terrore”, ha affermato. Quello in cui viviamo è un pianeta vessato da “crescenti contrasti” e “società sempre più polarizzate”: un clima che non trasmette affatto fiducia verso il futuro, di cui le linee di demarcazione sono i segni più evidenti. 

“Tale clima di insicurezza spinge a erigere nuove barriere e a tracciare nuovi confini, mentre altri, come quello che da oltre cinquant’anni divide l’isola di Cipro e quello che da oltre settanta taglia in due la penisola coreana, rimangono saldamente in piedi”, ha aggiunto. Alla radice di tale indisposizione verso ciò che “non è conosciuto”, spesso ci sono incomprensioni di natura identitaria, per cui “le diversità sono motivo di diffidenza, sfiducia e paura”. Ma i margini sono anche i luoghi dell’incontro. “Il termine confine indica non un luogo che separa, bensì che unisce, ‘dove si finisce insieme’ (cum-finis), dove si può incontrare l’altro, conoscerlo, dialogare con lui”, ha aggiunto.

Per questi motivi è quanto mai importante perseguire quella che papa Francesco ha definito una “diplomazia della speranza”, ispirata dalle parole di Isaia e dal Giubileo. Essa anzitutto si impegna a “favorire il dialogo con tutti”, che è il primo passo per “disinnescare gli ordigni dell’egoismo, dell’orgoglio e della superbia umana”. A tal fine, comprendersi, a partire dal linguaggio, è fondamentale: oggi Bergoglio ha condannato il “tentativo di strumentalizzare i documenti multilaterali” e il fenomeno della “cancel culture”. Forte è stata anche la denuncia del terrorismo in Germania e negli Stati Uniti, dell’antisemitismo, e del “diritto all’aborto”, giudicato “inaccettabile”. Evidenziando anche la necessità di riformare alcune istituzioni, rispolverando lo spirito che accompagnò nel 1975 la sottoscrizione della Dichiarazione di Helsinki.

È il perdono uno dei connotati centrali della “diplomazia della speranza”. Una pratica che consente “in un tempo pieno di conflitti aperti o latenti, di ritessere i rapporti lacerati dall’odio e dalla violenza”. È alla guerra in atto alle porte d’Europa che il pontefice ha rivolto il primo pensiero. “Il mio auspicio per questo 2025 è che tutta la Comunità internazionale si adoperi anzitutto per porre fine alla guerra che da quasi tre anni insanguina la martoriata Ucraina e che ha causato un enorme numero di vittime”, sono le parole lette da Ciampanelli. Il successivo auspicio è stato dedicato al conflitto tra Palestina e Israele. “Israeliani e Palestinesi possano ricostruire i ponti del dialogo”, ha aggiunto. “Le generazioni a venire possano vivere fianco a fianco nei due Stati, in pace e sicurezza, e Gerusalemme sia la ‘città dell’incontro’, dove convivono in armonia e rispetto i cristiani, gli ebrei e i musulmani”. 

Un pensiero quanto mai significativo, condiviso di fronte al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, è stato rivolto anche al Myanmar, “dove la popolazione soffre grandemente a causa dei continui scontri armati, che obbligano la gente a fuggire dalle proprie case e a vivere nella paura”. È stata anche rimarcata la necessità di garantire ovunque la libertà religiosa, senza la quale “non c’è vera pace”. Soprattutto in Siria, “che dopo anni di guerra e devastazione, sembra stia percorrendo una via di stabilità”. La speranza di papa Francesco è che il Paese riemerso da anni di regime, con l’aiuto della comunità internazionale sia “terra di convivenza pacifica”. E sul Libano, ha affermato: “Con l’aiuto determinante della componente cristiana, possa avere la necessaria stabilità istituzionale per affrontare la grave situazione economica e sociale, ricostruire il sud del Paese colpito dalla guerra”.





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