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“Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po’…. e siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò. Da quando sei partito c’è una grossa novità: l’anno vecchio è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va!”. Sono ore queste in cui non si può, come da tradizione forse, non intonare lo sfogo di Lucio Dalla: “… Ma la televisione ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione e tutti quanti stiamo già aspettando … “. Ma c’è anche chi, forse senza volerlo, sempre in queste ore, parafrasando Raf, canticchia: “Cosa resterà di questi anni maledetti, dentro gli occhi tuoi. Anni bucati e distratti, noi vittime di noi … è un dolore nascosto giù nell’anima. Cosa resterà di” questo 2024 “afferrato e già scivolato via… cosa resterà? E la radio canta… una verità dentro una bugia”. AgrigentoNotizie, senza alcuna pretesa di esaustività, ripercorre quelli sono stati i momenti più significativi dell’anno appena trascorso; quelli che, in un modo o nell’altro, hanno segnato emozioni e vita degli agrigentini. E lo fa, provando a riavvolgere i fili della memoria e, ripercorrendo il calendario solare dell’anno appena archiviato. 

Quella lunga scia di sangue 

E’ l’alba del 5 gennaio quando nel quartiere Sant’Erasmo di Naro vengono massacrate, in due abitazioni diverse, distanti circa 150 metri l’una dall’altra, Delia Zarniscu, 58 anni e Maria Rus, 54 anni, entrambe romene. Dopo un’intensa giornata di indagini, ma anche di appelli lanciati dalla figlia e dal genero di una delle vittime, viene fermato un ventiquattrenne romeno.

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DOSSIER. L’inchiesta sul duplice omicidio: dalla cena con super alcolici al massacro, ricostruita la “notte maledetta” di Naro

Il 17 gennaio, un nigeriano (da tempo residente in città) che voleva posteggiare in uno slargo riservato ai disabili, lungo il viale Della Vittoria di Agrigento, è stato selvaggiamente picchiato ed ha riportato la frattura dello zigomo. Il brutale pestaggio venne immortalato in un video fatto con il cellulare. All’inizio di settembre, la procura ha chiuso le indagini preliminari a carico di due quarantenni agrigentini. L’11 febbraio, ad Altavilla Milicia, nel Palermitano, viene ritrovato il cadavere dell’aragonese quarantunenne Antonella Salamone: è stata bruciata e sepolta dal marito Giovanni Barreca che ha strangolato anche i figli di 5 e 16 anni. Una strage che sarebbe stata fatta, stando anche a quanto è emerso, al culmine di un esorcismo. A fine novembre, il tribunale del Riesame ha accolto il ricorso dei pm presentato dopo la liberazione dell’indagato, ritenuto totalmente incapace di intendere e di volere e per questo trasferito dal gip in una Rems

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A febbraio, in occasione dei festeggiamenti per il Carnevale, una sedicenne di Campobello di Licata venne accoltellata al volto e al torace Ravanusa, due le coetanee che furono denunciate dai carabinieri. A Palma di Montechiaro, durante le sfilate dei carri allegorici del martedì grasso, fu invece aggredito e picchiato un ventenne: i medici gli applicarono 8 punti di sutura. Sempre a inizio mese, a Favara, un sedicenne viene accoltellato dalla sorella per il rumore della Playstation. Il 22 febbraio un ventitrenne agrigentino ha aggredito, con un taglierino, un endocrinologo dell’ospedale Cervello di Palermo che non gli aveva prescritto il farmaco richiesto. Il 13 marzo, il ragazzo è stato arrestato per tentato omicidio e il 16 ottobre ha patteggiato la pena a 5 anni. Il 23 febbraio, nel piazzale di una concessionaria del Villaggio Mosè, è stato ucciso – per la procura fu un “omicidio per errore” – il trentottenne di Palma di Montechiaro Roberto Di Falco. Lo scorso 18 dicembre è iniziata l’udienza preliminare per i tre imputati. Il procuratore Giovanni Di Leo, dopo i tre fermi, fu molto chiaro: “Girano troppe armi, la cultura della vendetta va fermata. Viviamo in una società civile, di diritto, dove i conflitti si risolvono ragionando”. Lo stesso capo dei pm ha tuonato: “Di quale cultura vogliamo essere capitale? Delle sparatorie in mezzo alle strade o della spazzatura gettata per strada”.

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DOSSIER. Giustizia fai da te e omicidi “facili”, Patronaggio: “Molti paesi sono fermi al secolo scorso”

Il 23 maggio, a Cianciana, un meccanico 34enne ha accoltellato moglie e figli e venne arrestato, dai carabinieri, dopo ore di trattative. I piccoli, di 3 e 6 anni, finirono in Rianimazione e al bimbo venne estratta dalla testa la punta del coltello. Il 12 settembre la perizia psichiatrica fu chiara: “Incapace di intendere e di volere“. A fine ottobre, i carabinieri hanno notificato all’uomo una nuova ordinanza di custodia cautelare – siglata dal gip del tribunale di Sciacca – per maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale. Fatti risalenti al periodo tra il 2015 e maggio. Lo scorso 16 ottobre, a Solero, in provincia di Alessandria, l’agrigentino Giovanni Salamone ha ucciso a coltellate la moglie Patrizia Russo e poi ha chiamato i carabinieri confessando il femminicidio. E a proposito di femminicidi, che hanno sconvolto l’Agrigentino, il 28 novembre la Corte d’Assise d’appello di Reggio Calabria ha confermato l’ergastolo per l’ex fidanzato di Lorena Quaranta, Antonio De Pace, che la uccise nel marzo del 2020.    

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L’incendio nel centro di stoccaggio rifiuti di Licata e la maxi operazione dei carabinieri

E’ la sera del 20 gennaio quando, in contrada Bugiades a Licata, scoppia uno spaventoso incendio al deposito e stoccaggio rifiuti della ditta Omnia. L’incendio mise a dura prova, per diversi giorni, i vigili del fuoco che lavorarono instancabilmente nel deposito che, all’epoca, era sotto sequestro da quasi due anni (il provvedimento di sequestro risaliva a marzo del 2022). Con ordinanze sindacali vennero chiuse le scuole, i cimiteri e le ville perché una gigantesca nube di fumo nero minacciava la città. I parroci di Licata, ritenendo ingiusta l’offesa al volto della città, tuonarono: “Convertitevi”. Il 16 ottobre, i carabinieri hanno arrestato 3 dei 14 indagati.

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Indagando sull’incendio, i carabinieri hanno scoperto furti, estorsioni e perfino un tentato omicidioIl procuratore Giovanni Di Leo è stato chiaro: “L’inchiesta, durata 10 mesi, ha consentito di disegnare uno spaccato di micro e macrocriminalità in un ambito sociale di emarginazione e degrado nel territorio di Licata ma soprattutto dei centri di Ravanusa e Campobello, con riflessi sui comuni vicini”. Neanche un mese dopo, ossia l’8 novembre, fra Canicattì, Campobello di Licata e Ravanusa i carabinieri hanno arrestato altre 6 persone

L’anno dei rubinetti asciutti, delle autobotti e delle proteste

E’ il 10 gennaio quando, per la prima volta nel 2024, si comincia a parlare di “severità idrica” e diminuzione di portata. AA farlo, dopo aver incamerato il piano di razionamento delle risorse di Siciliacque, è l’Aica. A marzo la riduzione arriva al 45%. Da quel momento in poi sarà il caos, con lagnanze accorate e interminabili proteste. A inizio febbraio, la giunta Schifani dichiara lo stato di calamità naturale. A inizio aprile, l’annuncio choc – senza alcun seguito, chiarito solo l’11 luglio – del sindaco di Agrigento, Franco Micciché: “Pronto a rinunciare al titolo di Capitale italiana della cultura 2025”. Mentre si susseguono le fake, la Regione pianifica la strategia per tamponare l’emergenza: dissalatori, nuovi pozzi e autobotti. Il 6 maggio, il Cdm delibera: per 12 mesi sarà emergenza nazionale, già pronti 20 milioni di euro. Il 17 maggio, i cittadini esasperati occupano la sede di Aica: “Siamo senz’acqua da un mese”. Trenta giorni dopo arriva la conferma: si guarda al dissalatore di Porto Empedocle.  

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Vengono requisiti i pozzi privati e l’Aica chiama in aiuto, per le forniture idriche, le autobotti di chi ha sempre servito la cittadinanza. A fine maggio arriva l’annuncio di fondi: 37 milioni di euro per la rete idrica. Partono i sit-in e le proteste di piazza: la città dei Templi stupisce, in massa gli agrigentini si riversano in via Atenea, così come il 28 giugno fa Canicattì. I rischi per l’ordine pubblico portano il prefetto, Filippo Romano, a convocare più comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica: vengono cercate soluzioni tampone. Ma acqua non ce n’è. Siciliacque ventila nuove riduzioni alle forniture idriche e la massima autorità governativa interviene ribadendo che “è a rischio l’ordine pubblico“. Agricoltori, allevatori e albergatori sono sul piede di guerra. Aumentano, anzi diventano estenuanti, le file alla fontana di Bonamoronee il 3 luglio la protezione civile regionale fa sapere che negli invasi c’è solo il 25% d’acqua. Per garantire un minimo di acqua, il prefetto requisisce le reti in uso al Voltano. A metà luglio, mentre si cercano nuovi pozzi, scatta la guerra “intestina” fra Santo Stefano Quisquina e la Regione. Il 26, a Licata, attracca la nave Ticino della Marina militare con 1.200 metri cubi di acqua. “Questa soluzione tampona il fabbisogno di acqua per quattro o cinque giorni, è un palliativo”, ha detto il sindaco Angelo Balsamo. Quello di fine luglio è stato il primo e ultimo viaggio: la Regione ci ha infatti ripensato. E lo ha fatto perché la spesa è risultata essere pari a 43 euro a metro cubo di liquido fornito. A Ferragosto, un nuovo allarme della protezione civile regionale: “Servono 100 litri al secondo o a novembre 11 paesi saranno senz’acqua”. Salvo Cocina torna a strigliare i sindaci: “I pozzi sono l’unica soluzione“. Le diffide fatte dai sindaci ad Aica, nel frattempo, si susseguono, ma Aica scarica le colpe su Siciliacque. A inizio settembre, il presidente della Regione annuncia: “Dieci milioni di euro per rifare la rete idrica, i lavori partiranno nell’immediato e si concluderanno in un anno”. Mentre si susseguono i frenetici incontri con la protezione civile, arriva l’ulteriore comunicazione choc: “Meno 230 litri d’acqua al secondo da Siciliacque”.

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Il 12 settembre arriva il via libera, del ministero, al dissalatore di Porto Empedocle. A inizio novembre, una delegazione di agrigentini viene ricevuta a palazzo d’Orleans. Il sindaco di Canicattì, Vincenzo Corbo, per protesta, scrive al presidente Sergio Mattarella: in città i turni idrici sono di 30 e passa giorni. Il 6 dicembre, Schifani sorvola gli invasi: “Cresce il livello dell’Ancipa“. Il 19, il nuovo prefetto Salvatore Caccamo incontra i 43 sindaci anche per l’emergenza idrica e individuare soluzioni. 

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Incidenti, crolli e… sequestro di autolavaggi

L’11 febbraio crolla la pista ciclabile del viale Delle Dune a San Leone. “Un disastro annunciato da settimane”, commenta MareAmico. Il cantiere, per la messa in sicurezza, viene aperto a fine marzo, dopo proteste, disagi e caos. Per avviare i lavori di somma urgenza, il 24 febbraio, sono arrivati 495 mila euro dalla Regione. A metà maggio, la protesta: “I lavori sono fermi“. Il prefetto Romano convoca il Genio civile e il cantiere viene riaperto e chiuso, per lavori conclusi, il 29 giugno. Pochi giorni dopo, un nuovo cedimento. L’erosione costiera continua a minacciare tanto la pista ciclabile, quanto il boschetto.

DOSSIER. L’erosione costiera a San Leone e il crollo della pista ciclabile: quando dimenticare la storia fa male

Il 2024 resterà nella memoria degli agrigentini anche perché è stato l’anno degli autolavaggi sequestrati o chiusi, in fretta e in furia, dai proprietari perché consapevoli di non essere in regola sullo scarico delle acque. I primi sequestri risalgono a febbraio, ma sono andati avanti fino ad estate inoltrata quando trovare un impianto in funzione era quasi un terno al Lotto.

Il 29 marzo, l’inferno al reparto di Medicina dell’ospedale Fratelli Parlapiano di Ribera: il 53enne morto avrebbe acceso una sigaretta mentre aveva la mascherina di somministrazione dell’ossigeno accesa. Quattro i pazienti che vennero salvati in tempo, ma l’ala della struttura sanitaria fu dichiarata inagibile.

Il 30 giugno, lo scontro fra due scooter lungo il viale Delle Dune di San Leone. Un ventenne di Favara è morto sul colpo, mentre gli altri feriti vennero ricoverati negli ospedali di Palermo, Caltanissetta e Agrigento dove è morto anche il trentaduenne. Il 12 ottobre, l’incidente sulla Palermo-Sciacca: marito e moglie sono morti sul colpo, mentre i loro tre bambini – tutti residenti a Ribera – sono finiti in ospedale in gravissime condizioni. A perdere la vita anche un palermitano di 51 anni. Il 19 ottobre esonda il Salso ed è l’inferno a Licata. Una storia che, purtroppo, si ripete anche dopo i lavori e le inchieste della procura.

Mafia, omicidi, corruzione e cold case: tutti gli arresti 

E’ l’8 marzo quando, nella zona della Quisquina, i carabinieri arrestano 6 persone: vengono colpiti vertici delle famiglie di Cosa nostra che – stando all’accusa – avevano messo le mani su appati pubblici. In totale sono stati 17 gli indagati tra aprile 2021 e luglio 2023. A metà agosto, vengono chiuse le indagini per 9 persone: indagato per favoreggiamento anche un consigliere comunale di Lucca Sicula. Per gli stessi, ad inizio novembre è stato chiesto il rinvio a giudizio. A fine mese, il consigliere comunale ha avanzato istanza di patteggiamento.  

Il 12 marzo, Dda e questura di Caltanissetta, mettono a segno una maxi operazione: 55 le misure cautelari firmate dal gip per mafia, intestazione fittizia di beni, estorsione e traffico di droga. Dodici gli agrigentini coinvolti. Il blitz “Ianus” ha, di fatto, portato alla luce il core business di Cosa nostra gelese: traffici di droga con gli agrigentini, di armi con i catanesi e rifornimento di “erba” per la ‘Ndrangheta. Il procuratore di Caltanissetta Salvatore De Luca non ha usato mezzi termini: “Cosa nostra e Stidda collaborano perchè sono in difficoltà con lo Stato”. Fra gli indagati, anche il presidente provinciale della Democrazia cristiana, che si è poi dimesso, nonché vice presidente del consiglio comunale. L’inchiesta, per complessivi 64 indagati, è stata chiusa all’inizio di ottobre. 

L’11 aprile, i carabinieri di Partinico hanno eseguito 8 arresti. Secondo l’accusa, gli indagati “avvicinavano dirigenti e funzionari dei Comuni per corromperli con denaro, cene e regali”. Ed è in questo contesto che è finito in carcere il capo di Gabinetto di palazzo dei Giganti, Gaetano Di Giovanni. Determinanti, ancora una volta, i pedinamenti e le intercettazioni che hanno messo in luce avidità e mercimonio della funzione. Il 18 aprile, nell’ambito dell’operazione “Pandora”, realizzata nel Catanese, è stato arrestato un “superconsulente” del comune di Agrigento, da anni a supporto dell’ente per il Prg. Temendo un rischio corruzione a palazzo dei Giganti, gli agrigentini sono scesi in piazza reclamando trasparenza. Il comune, lo scorso 2 ottobre, dopo aver incassato il risarcimento danni di Di Giovanni (messo ai domiciliari il 25 aprile), ha ritirato la costituzione di parte civile. Lo scorso 18 dicembre, il pm di Palermo ha chiesto la condanna a 5 anni per l’ex comandante dei vigili urbani. 

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DOSSIER. Arresti al Comune, Micciché relaziona ai consiglieri: “Di Giovanni nominato capo staff per amore della città”

Il 20 aprile, dopo un anno e mezzo la svolta investigativa: è stato arrestato Giuseppe Rallo, residente a Licata ma originario di Palma di Montechiaro, per l’omicidio di Angelo Castronovo. E’ stato ritenuto l’esecutore materiale del delitto, ma si cerca ancora il complice

Il 23 maggio, un agrigentino è stato arrestato durante un’operazione – coordinata dalla Dda di Caltanissetta – che ha sgominato un giro di estorsioni, droga e armi: è stato un colpo al clan Vaccaro di Campofranco. Il 4 giugno, per associazione mafiosa ed estorsioni, la squadra mobile della questura di Agrigento ha eseguito 4 arresti a Santa Margherita di Belice. Secondo le ricostruzioni della stessa questura, minacce e intimidazioni sarebbero state fatte per controllare le attività agro-pastorali. Il 25 giugno, il tribunale del Riesame ha annullato le 4 ordinanze. 

DOSSIER. “Qua meloni non se ne piantano, la paglia è sempre stata dei pastori”: così la mafia controlla le terre del Belice

Il 31 maggio, il procuratore aggiunto Salvatore Vella ha risolto un cold case: sono stati iscritti nel registro degli indagati mandanti ed esecutore dell’omicidio di padre e figlio compiuto nel 1992 nelle campagne di San Biagio Platani. Un delitto portato a termine per 50milioni di lire, una jeep e dei cani di caccia. L’indomani è stato notificato l‘avviso di conclusione delle indagini. 

DOSSIER. “So chi è il killer”: così 32 anni dopo è stato risolto il caso dell’omicidio di padre e figlio a San Biagio Platani

Per estorsione aggravata dal metodo mafioso, a Canicattì, il 9 luglio, la polizia ha arrestato tre persone. Fra loro anche un uomo che era stato già condannato, in via definitiva, per l’appartenenza alla Stiddra

DOSSIER. “Attenti a bombole e benzina”, a Canicattì anche per aprire un’officina serve il permesso della Stidda

Pochi giorni dopo, per estorsioni, illecita concorrenza ed usura per condizionare gli appalti pubblici, un altro blitz con l’arresto di 7 dei 22 indagati. L’inchiesta della Dda e della guardia di finanza sulla famiglia mafiosa di Sciacca ha permesso di riscontrare l’intervento di un pubblico ufficiale che favoriva l’affidamento diretto dei lavori alla società degli “amici”. Svelati anche incontri con un candidato al consiglio comunale: per il gip è stato “scambio elettorale politico mafioso”. Dopo l’operazione si è dimesso il presidente del consiglio comunale di Ribera: nessuna accusa a suo carico, è solo finito nelle intercettazioni. Il 10 novembre, la Dda ha chiuso l’inchiesta

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Il 24 luglio, la guardia di finanza ha sequestrato beni per 30 milioni di euro. Undici gli indagati nell’operazione sul fallimento pilotato, per fare sparire i soldi, di Torre Macauda: il lussuoso hotel di Sciacca chiuso nel 2012 e mai riaperto nonostante l’apparente progetto di rilancio. Sei le misure cautelari.

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Il 25 agosto è stato arrestato un commerciante ventinovenne di Joppolo Giancaxio: è stato ritentuto responsabile del tentato omicidio di un 23enne colpito all’addome da un proiettile e rimasto paralizzato.

Il 17 dicembre, i carabinieri hanno eseguito 23 dei 30 fermi per presunti appartenenti alle famiglie di Villaseta/Agrigento e Porto Empedocle. Stando alle accuse formalizzate a loro carico, intimidivano bruciando e sparando alle saracinesche. Di fatto s’è rischiata una nuova guerra di mafia. Sempre i militari dell’Arma, pochi giorni dopo, hanno sequestrato quello che è stato ritenuto un arsenale a disposizione dei clan: un netturbino è stato arrestato. 

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Intimidazioni a centinaia… anche agli amministratori

L’incendio, in via Alessio Di Giovanni a Fontanelle, di un maxi scooter il 27 agosto; le pistolettate, a Porto Empedocle, contro l’abitazione di un quarantaseienne; i colpi d’arma da fuoco esplosi per errore contro l’auto di una donna; e ancora il secondo attentato intimidatorio al 46enne, sempre nell’abitazione di via Leonardo Sciascia. E poi, il 9 settembre, gli spari contro una palazzina, di nuovo a Fontanelle. È a tutti questi episodi che tanto allarme sociale hanno creato a Porto Empedocle e ad Agrigento che i carabinieri fanno riferimento, ma non soltanto, quando parlano di un tentativo di imposizione del rispetto della ‘competenza’ territoriale, oltre che di ipotetici tentativi di osteggiare l’egemonia del gruppo mafioso al momento al vertice della famiglia di Agrigento-Villaseta. Questo, nello specifico, il crescendo di azioni intimidatorie che avrebbe potuto portare a una vera e propria ‘guerra’ di mafia”.

Ad essere sistematicamente intimiditi, anche quest’anno, sono stati gli impiegati e i funzionari comunali, ma anche gli amministratori. Il 16 aprile è “toccato” al sindaco di Palma di Montechiaro, Stefano Castellino. All’inizio di luglio, insulti e bombole di gas per il primo cittadino delle Pelagie, Filippo Mannino, e a metà luglio al sindaco di Calamonaci Pino Spinelli. A inizio ottobre a Dario Gaglio, sindaco di Camastra. L’11 dicembre al sindaco di Campobello di Licata, Vito Terrana

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Rivolte in carcere e droni che consegnano droga e telefonini

Sequestro di persona, resistenza e violenza a pubblico ufficiale, danneggiamento aggravato. Questi i titoli di reato che furono contestati ai 9 arrestati – reclusi del carcere “Pasquale Di Lorenzo” – che hanno dato vita ad una vera e propria rivolta all’interno della sezione maschile. A gestire l’inferno, sviluppatosi fra le mura della struttura di contrada Petrusa, è stata – scongiurando il peggio – la polizia Penitenziaria. Disordini che si sono ripetuti il primo settembre: quattro i detenuti che hanno danneggiato una cella, appiccando il fuoco. 

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Agrigentini fra affermazioni e successi

ll 4 maggio, Maricetta Lombardo vince di nuovo: è il suo, grazie al film “Io Capitano” di Matteo Garrone, il David di Donatello 2024 per il miglior suono. Il 17 settembre, il Cdm ha nominato il generale agrigentino Luciano Antonio Portolano nuovo capo di stato maggiore della Difesa. Il 7 dicembre, con l’imposizione della berretta cardinalizia, don Baldo Reina è diventato – dopo 8 secoli per l’Agrigentino – cardinale. 

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