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Riscattata subito la deludente trasferta di Leverkusen: aprono Calhanoglu e Dimarco, nella ripresa reti di Barella, Dumfries, Carlos Augusto e Thuram
Simone Inzaghi avrà ringraziato il 17. Un calcio sullo stinco a quel santone che da sempre l’accompagna: la scaramanzia. L’Inter rifila sei schiaffi sul viso di una Lazio bella e spavalda solo per mezz’ora e tiene la scia dei due scalatori lì davanti, Gasperini e Conte, distanti rispettivamente tre e un punto (la classifica). Il tutto con la gara contro la Fiorentina da recuperare. È un sms a tutto il campionato, per chi insegue e chi sta dietro, ma anche all’Europa: i campioni d’Italia sono ancora affamati.
cambia tutto
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Il 17, dicevamo. I minuti in cui è rimasto in campo Gigot, il ragazzo di Avignone entrato al posto di Gila a metà primo tempo e uscito all’intervallo dopo aver causato il rigore della svolta nerazzurra. Suo l’errore che ha indirizzato la sfida a favore di un’Inter astuta e furba, capace di illudere una Lazio partita in quinta e poi travolgerla senza pietà al calar del gelo, in una notte così amara che non si vedeva da un decennio. L’Inter è un serpente a sonagli in grado di annidarsi nell’angolo più nascosto del masso e a pungere all’improvviso con violenza, con sei morsi uno dietro l’altro che non hanno lasciato scampo a una delle rivelazioni della Serie A. Il 6-0 rifilato dall’Inter conta molto, moltissimo, soprattutto perché la Lazio non aveva mai perso all’Olimpico in stagione. E arrivava dal successo contro l’Ajax in Europa.
prova di forza
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C’è un prima e un dopo Gila nella storia del match. L’uscita del centrale – sostituito al 28’ per via di un giramento di testa dovuto a uno scontro con Lautaro – ha stravolto una coreografia studiata nei minimi dettagli. Pressing alto, intercetti precisi (un paio ottimi di Rovella), Lautaro e Thuram pressati a metà campo da un mastino con la 34 sulle spalle. La squadra di Baroni ha danzato sulle punte un terzo del primo tempo. Ha sfiorato il vantaggio con Noslin (destro strozzato al 22’) e ha fatto vibrare l’Olimpico poco dopo, quando Zaccagni ha saltato due uomini e poi non ha calciato a giro sul palo più lontano. Occasione sprecata. L’Inter, come suo solito, ha atteso con pazienza. Si è arroccata dietro la sicurezza di Sommer e ha morso alla prima occasione utile. Al 35’ Calhanoglu, fino a quel momento limitato dai mediani laziali, è tornato a segnare su rigore dopo l’errore contro il Napoli sfruttando un braccio largo dello sciagurato Gigot, sovrastato da Dumfries nello stacco e poi travolto da Lautaro una volta a terra. Chiffi ha assegnato il penalty dopo un lungo check del Var.
lazio travolta
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A questo punto l’Inter ha abbandonato il sasso sotto a cui si era nascosta e s’è fatta aggressiva: il gol di Dimarco (44’) è il manifesto dell’Inzaghismo, una filosofia nata proprio all’Olimpico e coltivata per diversi anni lungo il Tevere. Cross di Dumfries dalla destra e mancino preciso dell’esterno dall’altra parte, lasciato solissimo dal tandem Marusic-Isaksen. È il famoso gol da quinto a quinto tanto bramato da Simone nel corso degli anni. Di sicuro gli offrirà una cena. Il resto del match è un crescendo di ganci e montanti per mettere all’angolo un avversario già tramortito al primo round: al 51’ Barella – poi sostituito per una contrattura all’adduttore – si inventa l’eurogol calciando sotto l’incrocio dal limite (grande controllo), mentre Dumfries sovrasta Tavares di testa al 57’ suggellando una gara perfetta. Quarto assist stagionale di Bastoni. La cinquina porta la firma di Carlos Augusto, bravo a pungere Provedel con un sinistro da dentro l’area (77′). Il punto esclamativo, infine, è tutto di Thuram, ormai bomber rodato (90′). Undicesimo gol in campionato. L’Inter torna a Milano con una prova di forza notevole. Inzaghi, invece, ha scoperto che rincontrare il suo primo amore lungo i sampietrini romani ormai non gli fa più effetto. Simone aveva perso le prime due sfide giocate all’Olimpico con i nerazzurri, poi ha raddrizzato la barra con quattro successi nelle ultime cinque gare. “C’eravamo tanto amati”, si dice. Ma adesso è un’altra vita.
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