Crolla pure la sanità privata

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Tagli ai rimborsi del 15-20 per cento. Le decisioni di Roma si abbattono sulla Sicilia. Liste d’attesa, che guaio

Le barelle ammassate nei Pronto soccorso degli ospedali, presto, potrebbero lasciare spazio a un’altra scena: quella dei privati convenzionati che restituiscono le chiavi dei laboratori analisi o dei poliambulatori. Per loro la situazione rischia di diventare insostenibile. Con un decreto dello scorso 20 dicembre, infatti, l’assessorato regionale della Salute adotta anche in Sicilia – da lunedì prossimo – il nuovo nomenclatore tariffario delle prestazioni specialistiche, denominato “Catalogo unico regionale”.

“Le strutture di erogazione pubbliche e private – si legge nell’art.3 del decreto adottato dal Dipartimento della Pianificazione strategica – dovranno recepire le tariffe di cui all’Allegato A per la remunerazione delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale”. E’ un allegato da 42 pagine, predisposto dagli uffici del Ministro Orazio Schillaci, che ridisegna (anche) i confini della sanità siciliana. E li peggiora, evidentemente.  In pratica le strutture convenzionate con il pubblico non potranno far fronte all’erogazione di determinati servizi perché “non ci stanno dentro” coi costi. La riduzione dei rimborsi, infatti, si attesta sul 15-20%. Ci arriveremo.

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Ma facciamo un passo indietro. Le condizioni del sistema sanitario regionale sono note: liste d’attesa corpose (per non dire infinite), personale al lumicino (specie negli ospedali periferici), medicina territoriale quasi inesistente (si attendono le case di comunità). Ma soprattutto: Pronto soccorso intasati e scene da far west in corsia, dove a rischiare la vita sono i pazienti lasciati in barella per ore, ma anche il personale sanitario che non riesce più a contenere le responsabilità e a far fronte ai disagi. Dal pubblico fioccano dimissioni in serie e l’ambizione dei medici – laddove scelgano di rimanere nell’Isola (evento sempre più raro) – è raggiungere l’eldorado: cioè diventare “gettonisti”, con una paga decisamente superiore.

In questo marasma generale non mancano i casi di malasanità, come l’ultimo denunciato dai familiari di una donna deceduta all’ospedale Ingrassia di Palermo dopo aver atteso per 8 giorni un ricovero. Si tratta di eventi sentinella di fronte ai quali la Regione replica inviando gli ispettori. Lo scopo è individuare le responsabilità “personali” (Davide Faraone, capogruppo di Italia Viva alla Camera, ha parlato più espressamente di “caccia all’uomo”), senza mai indagare quelle di “sistema”. Perché è il sistema a non reggersi più e a crollare sotto il suo stesso peso. Su questo punto la politica fa orecchie da mercante e l’assessore Volo, un “tecnico” scelto dal presidente Schifani per evitare di aprire un contenzioso fra i partiti che lo sostengono, è sempre più impalpabile.

Anche di fronte alla potenziale crisi della specialistica convenzionata l’assessore se n’è rimasta con le mani in mano e, a meno di clamorosi colpi d’ala, sarà così fino al 30 dicembre e anche dopo. Il presidente dell’Associazione Religiosa Istituti Socio-sanitari (ARIS), al Sole 24 Ore, ha evidenziato che il nuovo tariffario prevede una diminuzione dei rimborsi per alcune prestazioni diagnostiche: ad esempio, la Risonanza magnetica muscoloscheletrica passa da €177,65 a €115,80 (-34,8%); la Risonanza magnetica della colonna da €154,40 a €115,80 (-25%); la Tac del torace da €86,25 a €77,65 (-10%). Pure gli esami di laboratorio, dai marcatori tumorali a quelli per le donne in gravidanza, risentiranno di drammatiche riduzioni. Questo avrà inevitabili ricadute. Molte strutture si ritroveranno a erogare prestazioni il cui costo supera il rimborso previsto, mettendo a rischio la loro sostenibilità finanziaria. Alcune, per contenere i costi, potrebbero limitare il numero di prestazioni erogate, con un possibile aumento delle liste d’attesa per i pazienti. Mentre la qualità dei servizi offerti e l’efficacia delle cure verrebbero intaccate.

Laconico il commento dei Federbiologi siciliani, alla vigilia di Natale: “Oggi le istituzioni sanitarie hanno fatto il regalo di Natale alla patologia clinica. Non è servito a nulla raccogliere firme e fare proclami, l’unica via per ostacolare il disegno ministeriale era lo sciopero generale della categoria e la serrata totale fino alla revisione del tariffario ministeriale. Purtroppo siamo una categoria che non conta nulla”. La politica, a questo punto, dovrebbe annusare l’importanza di una tale deriva e assumersi delle responsabilità: non è soltanto una questione economica, che comunque ha la sua rilevanza (giacché costringerà molti laboratori analisi e ambulatori specialistici a licenziare personale se non addirittura ad abbassare le saracinesche); né il riflesso sulle liste d’attesa, che continueranno ad allungarsi. Le ultime decisioni, infatti, andranno a incidere sulla carne viva delle persone, privando gli “ultimi” di un esame clinico o di una prestazione diagnostica, se non a pagamento. Per molti significherebbe dover rinunciare alle cure.

Di fronte al collasso, però, qual è la reazione? Il nomenclatore è già entrato in vigore in altre regioni d’Italia. Alcune regioni, per attenuare l’impatto delle misure, hanno avviato tavoli di confronto con le associazioni di categoria per rivedere le tariffe e trovare un equilibrio tra sostenibilità economica e qualità dei servizi offerti; in alcuni casi, invece, hanno stanziato risorse aggiuntive per compensare le riduzioni dei rimborsi, garantendo così la continuità dei servizi erogati dalle strutture accreditate. Ma in Sicilia ciò sembra impossibile. Continua nella seconda puntata…





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