Ruffini sfida Schlein: «Dov’è la proposta della sinistra?»

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Una manovra di accerchiamento nei confronti di Elly Schlein con un obiettivo in chiaro e uno un poco più nascosto: il primo è iniettare nel sangue del Pd svariate iniezioni di proposte sui temi dell’economia, della produzione industriale, della riforma del welfare, del fisco e anche della sicurezza che, avverte Paolo Gentiloni, «deve diventare una nostra bandiera». Il secondo è immaginare una squadra di personalità in grado, al momento giusto, di contendere la leadership del centrosinistra alla stessa Schlein.

IL MESSAGGIO CHE ARRIVA dai due convegni di ieri dei cattolici del Pd (a Milano) e dei «riformisti» di Libertà Eguale (a Orvieto) è tutto sulla costruzione dell’alternativa che sfiderà Meloni nel 2027. Romano Prodi, padre nobile del convegno di Milano insieme a Pierluigi Castagnetti, riconosce a Schlein il merito di aver ridato ai dem «l’indiscussa leadership» nel campo delle opposizioni, Ma non basta, così come «non è sufficiente dire che ci vogliono più soldi per sanità e scuola pubbliche». «Serve un riformismo radicale per curare la pianta del welfare». E cioè idee, proposte, sulle quali il Pd «deve mobilitare tutte le sue forze, con apertura e condivisione».

Prodi cita il calo della produzione industriale «su cui il governo non sta facendo nulla», ma anche i salari «che non possono essere sostituiti dai bonus», l’immigrazione, il fisco l’ambiente, la casa. E dice a Schlein che ora bisogna fare un salto di qualità: «Solo il Pd è in grado di indicare le ricette per un governo di cambiamento». Esclude la nascita di un nuovo partito cattolico, e così fa anche Castagnetti: «Non si rifà il partito popolare, le cose del passato sono passate, ma nella nostra parte del capo manca una sede in cui discutere».

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ANCHE ERNESTO MARIA RUFFINI, l’«uomo nuovo» del campo progressista (copyright Castagnetti) si tiene alla larga dall’idea di nuovi partiti. Ma anche lui affonda sul tema dei programmi: «Qual è lo stato di avanzamento delle proposte alternative in campo? Qual è la proposta politica della sinistra, la sua offerta realmente competitiva? Dove è stata discussa? Con chi? Non parlo di singole questioni, non di emendamenti a proposte di altri ma di una visione sul futuro del Paese».

L’ex direttore delle Entrate si richiama all’eredità dei grandi democristiani, ma sta bene attento a non confinare il suo messaggio «nelle geometrie del centro». Anche lui, come Prodi e gli altri, insiste sul ruolo dei cattolici come «sale e lievito», «non dobbiamo coprire gli altri sapori ma esaltarli». E via con l’elenco di cosa non intende fare: e cioè una leadership «calata dall’alto in un gioco di potere per pochi che sembra un talent show».

È questo il rischio più grande della sua discesa in campo, lui ne è consapevole e per questo si propone di «riportare al voto chi si astiene, ascoltando la società dal basso». Cita la maggioranza Ursula, quella del 2019, il contributo che allora diede David Sassoli, per dire che «quella potrebbe essere una prospettiva solida per essere alternativi alla destra». In platea c’è anche il sindaco di Milano Beppe Sala, che scade nel 2026 e vorrebbe giocare una sua partita nazionale.

SUL PALCO, SUBITO DOPO Ruffini parla del «tormento di vincere, dobbiamo rimuovere questo senso di sconfitta ineluttabili, dobbiamo metterci tutti al tavolo e fare la nostra parte, parlare a chi non ci vota, soprattutto al nord, non importa chi comanda». «Ruffini? Può essere utile, è bravo, ha ragione a dire che non basta un uomo solo al comando».

In tanti, da Milano a Orivieto, sulla scia di un recente intervento di Veltroni sul Corriere invitano il centrosinistra ad appropriarsi del tema della sicurezza. «Deve essere un tema su cui giochiamo in casa», avverte Gentiloni da Orvieto, «se non l’avesse già fatto Berlusconi dovremmo riproporre il poliziotto di quartiere, noi siamo amici delle forze dell’ordine». Non una parola, da lui e dagli altri, sul ddl delle destre e sulle proposte che che mirano a scudare le violenze degli agenti e reprimere il dissenso.

L’IDEA CHE DOMINA, tra i due consessi centristi, è quella di un Pd in decifit di riformismo e poco credibile rispetto ai ceti medi, al centro inteso come spazio sociale. Dice Gentiloni: «Bene se nascono forze centriste, ma la credibilità non lo possiamo affidare in outsourcing ad altre forze: dipende dal profilo della forza che guida, dal suo tasso di riformismo».

Tranne Prodi, nessuno cita la caterva di errori che ha portato al governo la destra estrema. L’idea è sempre quella di poter vincere «al centro», mostrandosi «più affidabili». Prodi ricorda invece l’errore di «adattarsi al pensiero unico accettando le troppe ingiustizie sociali». E ribadisce che davanti a cambiamenti epocali «serve una proposta più radicale» rispetto a quelle offerte nel passato da Pd e alleati.

Graziano Delrio, principale organizzatore della giornata milanese, chiude soddisfatto: «Spero che da qui nasca uno slancio collettivo, oggi abbiamo respirato, continuiamo a farlo senza vergogna». «É l’inizio di un cammino», dice Sergio Lepri,«non c’è una meta predestinata». Dipenderà molto da quanto le ricette catto-riformiste saranno accolte da Schlein nella sua piattaforma. Solo a quel punto la variegata truppa valuterà se sarà più utile dar vita a un partito centrista satellite del Pd. Gentiloni non ci sarà: «Extra ecclesiam nulla salus».

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