Guinea. La democrazia tradita e l’ombra del regime militare

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di Giuseppe Gagliano

La Guinea, uno dei Paesi simbolo dell’instabilità politica in Africa occidentale, continua a essere teatro di una crisi istituzionale che pare non avere fine. Il 16 gennaio 2025 la coalizione di opposizione Forces Vives de Guinée ha annunciato il ritiro dal Consiglio Nazionale di Transizione, l’organo legislativo istituito dalla giunta militare al potere. Questa decisione segna l’ennesimo capitolo di un percorso democratico mai realmente avviato, in un contesto di tensioni crescenti, repressioni violente e promesse disattese.
Quando il colonnello Mamadi Doumbouya prese il potere il 5 settembre 2021, la giunta militare si era impegnata a garantire una transizione democratica entro la fine del 2024. Una scadenza che, come temuto, non è stata rispettata. Il messaggio di Capodanno del presidente ad interim, anziché annunciare un piano concreto per le elezioni, si è limitato a proclamare un referendum costituzionale di cui non si conoscono né i dettagli né la tempistica.
Per l’opposizione, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Definendo il referendum un espediente per prolungare l’occupazione militare del potere, Forces Vives de Guinée ha optato per una rottura totale con il Consiglio Nazionale di Transizione. Questo organo, presentato inizialmente come un simbolo di inclusività, si è rivelato nei fatti uno strumento della giunta, con 81 membri selezionati su misura per legittimare il regime.
A questa crisi istituzionale si aggiunge un clima di crescente violenza e repressione. Nelle ultime due settimane, manifestazioni antigovernative sono state soffocate nel sangue: un manifestante ucciso, centinaia di giovani arrestati e parti della capitale Conakry messe in lockdown. Gli episodi più recenti evidenziano un’escalation allarmante: l’arresto del leader dell’opposizione Aliou Bah, condannato a due anni di carcere per aver criticato pubblicamente Doumbouya, e il rapimento del giornalista investigativo Habib Marouane Kamara, di cui non si hanno notizie dal 4 dicembre scorso.
Le denunce contro il regime si moltiplicano. Organizzazioni per i diritti umani e gruppi internazionali hanno messo in evidenza il crescente controllo della giunta sui media indipendenti. Le stazioni radio vengono oscurate senza preavviso, i giornalisti subiscono intimidazioni e arresti, mentre le piattaforme digitali vengono frequentemente bloccate, ostacolando l’informazione libera.
La Guinea non è un caso isolato. Il golpe di Doumbouya si inserisce in un quadro più ampio di instabilità in Africa occidentale, dove diversi Paesi, tra cui Mali, Burkina Faso e Niger, hanno visto i militari prendere il potere, promettendo transizioni democratiche mai mantenute.
La retorica di Doumbouya, che respinge con forza le pressioni occidentali e afferma che “gli africani sono stanchi delle categorizzazioni e delle ingerenze esterne”, trova eco in un continente segnato da un’eredità coloniale difficile da superare. Tuttavia, questa retorica sovranista si scontra con la realtà di un regime che reprime brutalmente il dissenso e mantiene il potere attraverso la coercizione.
Mentre la comunità internazionale, guidata dagli Stati Uniti, invita la giunta a intraprendere passi concreti verso la democrazia, la situazione interna della Guinea appare sempre più fragile. La dissoluzione di oltre 50 partiti politici e l’intensificazione del controllo sui media indicano una chiara direzione autoritaria.
Il rischio, ormai evidente, è che la Guinea segua il percorso di altri regimi militari della regione, dove il ritorno al governo civile diventa un miraggio lontano. L’opposizione, frammentata e indebolita, fatica a proporre un’alternativa credibile, mentre la popolazione si trova intrappolata in un clima di paura e repressione.
Il ritiro di Forces Vives de Guinée dal Consiglio Nazionale di Transizione è un segnale chiaro: la fiducia nelle istituzioni create dalla giunta è ormai svanita. Tuttavia, senza un’opposizione coesa e il sostegno deciso della società civile, la Guinea rischia di sprofondare ulteriormente in una spirale autoritaria.
La promessa di Doumbouya di una transizione democratica si è rivelata un’illusione. Ora resta da vedere se il Paese avrà la forza di liberarsi dall’abbraccio soffocante di un regime militare che sembra intenzionato a restare al potere a tutti i costi.

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