La magistratura associata risponde con lo sciopero al via libera in prima lettura alla riforma costituzionale della separazione delle carriere.
L’Associazione nazionale magistrati, in una animatissima riunione che ha rischiato di essere teatro di una spaccatura interna, ha infine deciso a maggioranza per la strada più dura per manifestare la loro contrarietà a una riforma arrivata blindata in parlamento e che prevede di separare le carriere di giudici e pm, creando due Consigli superiori della magistratura e una Alta corte disciplinare, i cui membri verranno eletti a sorteggio.
La decisione più eclatante, pur attesa dopo l’assemblea straordinaria di dicembre, è quella della proclamazione di uno sciopero per il 27 febbraio. La proposta non era nel primo documento unitario, ma è stata aggiunta per emendamento su sollecito delle toghe progressiste di Magistratura democratica, cui si sono aggiunte Area e Articolo 101.
Il documento finale, però, prevede anche una manifestazione di dissenso forte nel momento più istituzionale di incontro tra alte cariche dello Stato come l’inaugurazione dell’anno giudiziario prevista per il 24 gennaio in Cassazione e per il 25 gennaio in tutte le corti d’appello. Tutti parteciperanno «indossando la toga e una coccarda tricolore», prima dell’inizio della cerimonia «si raccoglieranno all’esterno, mostrando cartelli, sui quali saranno trascritte frasi tratte da un testo significativo sul valore della Costituzione» e «abbandoneranno l’aula in forma composta nel momento in cui il Ministro o un suo rappresentante prendano la parola», al momento degli interventi, «daranno lettura di quelle stesse frasi all’inizio dei loro interventi programmati e ne spiegheranno pubblicamente in sintesi il senso, illustrando le ragioni della protesta e della presenza in toga».
La decisione è dunque quella di andare allo scontro con l’esecutivo, manifestando pubblicamente le proprie ragioni. Con un imperativo, però: scongiurare il mezzo flop dell’ultimo sciopero del 2022 contro la riforma Cartabia, con una adesione appena del 48,5 per cento e picchi negativi nei grandi tribunali (a Roma il 38 per cento, il 36 per cento a Milano). L’onere organizzativo, tuttavia, ricadrà sulla prossima Anm, per cui si voterà il 26-27-28 gennaio e che erediterà la pratica.
Lo scontro
Lo scontro con il centrodestra, tuttavia, è già aperto da tempo. «Abbiamo il diritto-dovere di prendere la parola. Non c’è nessuna forma di ribellismo illegale o istituzionalmente incompatibile con le forme di protesta, si tratta di rendere palese alla cittadinanza le nostre ragioni. Abbiamo il potere di dirlo», ha spiegato il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia. Una risposta necessaria agli attacchi della maggioranza: secondo il vicepremier Antonio Tajani, infatti, «un servitore dello Stato non dovrebbe contestare il governo». «Atteggiamento eversivo di chi non ha rispetto per la separazione dei poteri», aveva aggiunto il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri. «Faremo ciò che ci accingiamo a fare per fedeltà massima alla Repubblica», ha risposto Santalucia.
Al netto delle schermaglie politiche, le toghe sottolineano due critiche principali. Quella di merito è che «la riforma non migliorerà la giustizia, ma indebolirà l’ordine giudiziario» perchè, come ha spiegato il segretario Salvatore Casciaro «inevitabilmente attrarrà il pubblico ministero nell’orbita dell’esecutivo, con un controllo della politica sul pm che presto o tardi ci sarà». Quello di metodo, invece, riguarda l’impermeabilità della maggioranza al dialogo: il testo della riforma costituzionale è arrivato blindato in parlamento, sia agli emendamenti delle opposizioni che al parere negativo approvato al Csm.
«É una partita che si gioca da trent’anni tra il ceto politico e l’ordine giurisdizionale», ha detto Santalucia, a ulteriore sottolineatura del fatto che la riforma non riguardi la giustizia quotidiana nei tribunali.
A derubricare a difesa di «interessi corporativi» le preoccupazioni delle toghe ci pensa un altro forzista, Enrico Costa, che ha accusato l’Anm di «spaventare i cittadini inventando falsi effetti della riforma».
In prospettiva dei prossimi mesi, tuttavia, la strada per le toghe è in salita. La separazione delle carriere, infatti, è un tema che ha trovato terreno fertile non solo a destra: anche Azione (che l’ha votata) e Italia Viva (che si è astenuta) hanno già manifestato alla Camera la loro condivisione al progetto e anche dentro i dem le voci non sono univoche. Il costituzionalista ed ex deputato Stefano Ceccanti, dall’assemblea nazionale dei riformisti a Orvieto, ha detto infatti che «la separazione delle carriere è un principio giusto. Il problema è che sia abbinato con un sorteggio dei consiglieri del Csm, che riduce la forza degli organi rappresentativi».
Negli ultimi giorni, infatti, è emerso l’aspetto meno richiamato ma forse più critico della riforma: il sorteggio puro dei membri togati. Un modo per debellare i gruppi associativi e il «correntismo» secondo il ministro Nordio, una scelta umiliante secondo le toghe, che intravedono in questa scelta la volontà punitiva del governo.
Ferma ed esplicita la volontà del governo di procedere di gran carriera verso l’approvazione in seconda lettura entro il 2026, dentro l’Anm c’è la consapevolezza che il referendum costituzionale sarà il vero banco di prova. L’unico modo per scongiurare la riforma sarà il voto popolare: i referendum costituzionali sono senza quorum, dunque vincerà chi riuscirà a mobilitare maggiormente gli elettori. E, inevitabilmente, ogni referendum nasconde anche un quesito sul gradimento politico del governo. Ecco perché intorno al no alla riforma della giustizia potranno coagularsi anche mondi culturali differenti. Sempre che, nel 2026, i sondaggi favorevoli al governo possano subire una flessione.
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