La sostenibile leggerezza della lamiera

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Nonostante gli aerei siano tutto sommato responsabili soltanto di una minima parte delle emissioni di CO₂ che minacciano la salute del pianeta, i produttori del settore sono comunque alla ricerca di soluzioni costruttive, che puntano alla leggerezza e quindi alla riduzione dell’impatto e dei consumi di carburante.

Con uno studio pubblicato poco più di due anni orsono ma tuttora attendibile – Decarbonizing aerospace – gli esperti di Deloitte calcolavano che all’aviazione civile potesse essere ricondotto non più del 2-3% della produzione totale di anidride carbonica.

Ciononostante, nel periodo compreso fra il 2013 e il 2018 il settore ha assistito a un incremento del 32% delle emissioni, per circa una tonnellata di CO₂ per ogni passeggero sulla sola tratta New York-Londra.

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Prevedendo un ulteriore aumento di questa quota – nel 2050 dovrebbe essere pari a 2,6 volte quella del 2019 -, autorità come l’International Air Transport Association (IATA) hanno pensato di correre ai ripari.

L’obiettivo è ridurre del 50% le emissioni di CO₂ entro la metà di questo secolo. Senza limitarsi a fotografare l’esistente, Deloitte si è confrontata con 40 esponenti dell’industria in Italia e in Europa traendone la fondata impressione che l’asticella possa essere spostata ancora più in alto per arrivare a un taglio dell’85%.

Dal digitale al materiale

Quel che è necessario per cogliere il risultato è un approccio a 360 gradi al quale contribuiscano da un lato le metodologie di progettazione e design basate su strumenti quali i digital twin e le relative simulazioni e dall’altro la ricerca sui materiali.

Dal 2023 e con scadenza al 2026 è per esempio in corso nel nostro paese l’ambizioso progetto Maris, con il quale si cerca di dare risposta alle problematiche legate alla sostenibilità, tanto in ambito aerospaziale quanto in quello automobilistico.

Vi sono coinvolti l’Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo Sostenibile (ENEA), il Consiglio Nazionale per le Ricerche (CNR), l’Università di Salerno, col suo Dipartimento di Fisica e la specialista casertana degli utensili e attrezzature ad alta precisione ATM Srl. Capofila dell’intera iniziativa è la società di ingegneria e produzione di sistemi complessi per il trasporto Aerosoft, con quartier generale a Capua.

L’idea che sta alla base di Maris – per il quale il Ministero per le Imprese e il Made in Italy ha stanziato 5 milioni di euro – è recuperare gli scarti di lavorazione della fibra di carbonio per ricavarne «materiali compositi resistenti, leggeri e low cost».

Le potenziali destinazioni d’uso sono molteplici e vanno dai componenti strutturali per aeromobili sino alle scocche e ai rivestimenti per le auto. E i giacimenti di materia prima – per dir così – paiono ricchi.

Il ricercatore e responsabile del programma per ENEA, Sergio Galvagno, ha infatti ricordato in una nota come di pari passo con l’impiego dei compositi in fibra di carbonio nei cieli e sulle strade si siano accresciuti i quantitativi di manufatti arrivati a fine vita e gli scarti di lavorazione. Anzi, questi ultimi possono rappresentare sino al 20% dei materiali usati nella prima fase di lavorazione.

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Il valore degli sfridi

Lo stesso nome di Maris contiene in sé il concetto di materiali compositi avanzati ottenuti dal riciclo degli sfridi e, dal punto di vista dell’industria, ha un duplice valore. Permette cioè di ridurre i rifiuti legati alle produzioni di materiali plastici rinforzati in fibra di carbonio o CRFP, nel segno della circolarità, e apre al contempo la strada a una nuova generazione di processi e manufatti.

Terminate le fasi di studio e sperimentazione le fibre di carbonio dovrebbero essere trasformate in lastre preconsolidate indirizzabili alternativamente alla costruzione di vetture oppure di aeromobili.

Ma se questo è il futuro, efficientamento e sostenibilità possono essere conseguiti anche in altre forme più tradizionali e di esse ha argomentato con un articolo comparso sul suo sito web ufficiale italiano la multinazionale degli utensili da taglio Sandvik Coromant, con sede a Sandviken, in Svezia. Essa ha messo a sua volta in luce la centralità del connubio fra materiali e design in avionica, parlando della superiore integrazione fra i motori e le fusoliere e sottolineando come in tal caso gli ingegneri potrebbero propendere per i compositi o le combinazioni fra compositi e ceramici o materiali misti.

Non si è tuttavia sbilanciata sul livello di popolarità che simili soluzioni potrebbero acquisire in futuro, pronosticando il persistente successo dell’alluminio e delle superleghe resistenti al calore o HRSA, perché capaci di conservare la loro estrema durezza anche a temperature fra le più intense.

Al Politecnico di Torino, e in particolare al Dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale, il cielo non è l’ultima frontiera. Lo è lo spazio: non a caso l’ateneo sabaudo è uno dei cuori pulsanti del programma di esplorazione Space It Up, avviato lo scorso luglio e finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) insieme con il Ministero per l’Università e per la Ricerca.

Rotta verso la sostenibilità

Come docente ordinario insegna al Dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale il professor Erasmo Carrera, che dello International Astronautical Congress (IAC) organizzato lo scorso autunno a Milano è stato il chairman e che di lightweighting e orizzonti futuri del volo è dunque un indiscusso esperto.

«L’alleggerimento – ha detto Carrera a Lamieraè un tema trasversale a tutta l’industria dei trasporti nelle sue differenti declinazioni. La necessità per assicurare il moto è vincere l’attrito e la resistenza, pari a un decimo della portanza e quindi della forza che consente a un velivolo come a un uccello di mantenersi in volo. Per ridurre la portanza, dunque la resistenza ed emissioni, occorre ridurre il peso dell’aeromobile. Il tema del lightweighting è argomento essenziale nel progetto di aeromobili. Oggi, benché le emissioni generate dagli aerei siano ragionevolmente limitate, per contenerle ulteriormente si stanno studiando i carburanti sostenibili di origine vegetale come i SAF, acronimo di Sustainable Aviation Fuel. Questi portano ad una riduzione delle emissioni di CO₂ compresa fra il 75 e l’80%, ma hanno dalla loro il fatto di riuscire a garantire opportunità più concrete e praticabili rispetto a quelle attualmente offerte dall’uso della propulsione elettrica o ibrida».

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Volgendo però lo sguardo, nello specifico, ai materiali, è già notevole nei velivoli Boeing 787 e gli Airbus A350 il ricorso alle fibre di carbonio, proprio per via del loro ottimale rapporto fra peso e resistenza: hanno prestazioni (lunghezza a rottura) simili a quelle degli acciai e delle leghe leggere, ma con un peso decisamente inferiore (1,5 volte quello dell’acqua, contro le otto volte dell’acciaio e le quattro circa delle leghe leggere). È questa una delle ragioni per le quali esse trovano posto non soltanto in aviazione bensì pure nelle scuderie della Formula 1, senza dimenticare altri articoli sportivi raffinati come le racchette da tennis o gli sci di fascia più alta Il lavoro del team che nel capoluogo piemontese è coordinato da Carrera si estende naturalmente anche ad altro.

L’intelligenza sale a bordo

«Le intrinseche proprietà di leggerezza, rigidezza e resistenza dei compositi – ha proseguito Carrerasono quelle che li rendono tanto interessanti in più ambiti: quel che resta da indagare qui ed è un elemento dirimente è la condizione di rottura. Essendo il risultato della stratificazione di fibre e fili diversi e della grandezza nell’ordine dei micron, serve la certezza che i vari layer e le varie fibre non si distacchino l’uno dall’altro. Pertanto, potranno dispiegare per intero il loro valore e dare vita a sviluppi ancora più soddisfacenti solamente quando verrà data risposta definitiva alla comprensione dei meccanismi di rottura».

Un orizzonte affascinante è altresì quello degli smart material, materiali intelligenti le cui qualità possono essere modificate e controllate o soggette a deformazioni sulla base dell’azione di agenti esterni quali l’umidità e il pH, la temperatura e il campo elettrico o magnetico. E ancora, le strutture sandwich o a nido d’ape dei materiali multi funzionali e i cosiddetti meta material. Sono realizzati artificialmente e dotati di caratteristiche meccaniche che non dipendono soltanto dalla loro struttura molecolare quanto piuttosto dalla geometria con la quale sono realizzati. Anche in questo caso, partendo dalle microstrutture, si ottengono strutture al tempo stesso «leggere e performanti».

La storia del volo umano si è dipanata dapprima col decollo dei rudimentali modelli in legno e tela e poi via via con le virate in direzione dei potenti velivoli in compositi a basso consumo. E in teoria la scienza ha le carte in regola per far sì che ci si possa librare ancora più in alto. Se un criterio decisivo in aviazione è quello dell’allungamento a rottura, laddove il peso del materiale è posto in relazione con la sua tipologia e le sue proprietà, allora i top player in questo campo sono ben noti.

Ascensore per lo spazio

Carrera ha ricordato i «18-20 chilometri di allungamento a rottura dell’alluminio contro i 20 del titanio e i 22 dell’acciaio». Ma ha pur sottolineato che il peso dell’alluminio è pari a soli 2,78 chilogrammi per litro a fronte degli otto degli acciai, dando così una spiegazione al primato dell’alluminio stesso e delle leghe leggere.

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Veri e propri fuoriclasse sono i compositi, sino a 200 chilometri di allungamento a rottura, e soprattutto i nanotubi di carbonio a parete singola o nanotubi di grafene.  Sono fogli di grafene arrotolati in forma cilindrica la cui soglia di allungamento a rottura può raggiungere a 40 mila chilometri: e 36 mila chilometri è la quota geostazionaria di un satellite.

Se ne è parlato in riferimento a un ascensore spaziale e alla possibilità di usarlo per portare a casa gli astronauti americani Suni Williams e Barry Wilmore, bloccati sulla Stazione Spaziale Internazionale.

Intervistato da Carolyn Barber per un articolo comparso su Fortune Italia, il tecnico della NASA e pioniere della ricerca sui nanotubi Bradley Edwards ha alluso al fatto che la risorsa mancante per dar vita a un’impresa di tale portata non è la tecnologia. Latita invece la volontà di impegnarvisi, oltre agli indispensabili finanziamenti, sebbene alcuni test significativi siano stati portati avanti soprattutto in Giappone e già a partire dal 2018.

«L’idea dell’ascensore spaziale basato sui nanotubi – ha commentato in conclusione Carreraviene dal passato e può senz’altro essere concretizzata. Si deve però tenere presente che l’unità di misura dei nanotubi è la scala Angstrom dove un Angstrom equivale a 0,1 nanometri. Per arrivare in orbita ne sarebbero pertanto necessari addirittura svariati miliardi».

Nel frattempo, a ricondurre Williams e Wilmore sulla terra penserà Elon Musk con il suo Space X.

Sicurezza a più strati

Di compositi e strutture multistrato magari ottenute rivalorizzando i materiali da recupero si argomenta nel corpo centrale di quest’articolo. E se come detto la resistenza e la soglia di rottura delle parti in composito è un elemento dirimente e oggetto di analisi, una possibile soluzione al problema è giunta nei mesi scorsi e in capo a una pluriennale attività di R&D dai laboratori del Massachusetts Institute of Technology (MIT).

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Gli studiosi del MIT hanno infatti messo a punto un sistema di cosiddetti nanostitch, cioè nano punti coi quali appare possibile indirizzare una delle principali criticità dei componenti strutturali realizzati in fibra. Queste ultime sono integrate infatti in fogli di polimeri poi sovrapposti e pressati per dar vita a manufatti che spiccano per leggerezza e resistenza.

Tuttavia, negli spazi che fra i vari strati vengono riempiti con un collante polimerico possono generarsi – soprattutto in caso di urto – crepe suscettibili di diffondersi anche altrove, con prevedibili impatti sulla stabilità del tutto.

In avionica e non solo la problematica rischia di innescare impatti drammatici, sino all’improvviso sgretolamento dei compositi stessi e per questo a Cambridge si è deciso di ricorrere ai già menzionati nanotubi in carbonio. Ne vengono cioè sviluppate delle autentiche colture chimiche fra i vari layer cosicché, solidamente legate fra loro, le fibre possano evitarne il distacco e lo scollamento.

Le sperimentazioni compiute su strati dello spessore di 50 micron – contro gli standard da 150 micron – hanno evidenziato una resistenza alle crepe del 60% superiore.

Roberto Carminati





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