Le grandi opere o la manutenzione della città? La vision o le vision o la quotidianeità stringente? Il tentativo di recuperare la vocazione dell’ ex triangolo industriale o ogni sforzo possibile per rinforzare l’accoglienza a un turismo sempre più massiccio e variegato nelle sue diverse vocazioni artistico culturali, del benessere, dello sport, delle vacanze in tante dimensioni, la costa, l’entroterra,, la montagna, eccetera eccetera?
La costruzione sociale di un piano che tenga conto del fatto che siamo la città più vecchia d’ Europa o la strategia che tronchi questa fuga dei giovani e la riconverta in una attrazione?
Forse tutto questo insieme ad altro bisognerebbe studiare per dare un orizzonte vero alla Genova del 2030, che è l’obiettivo temporale delle elezioni comunali che si stanno preparando.
I “Megatrend”
Tanti anni fa, nel pieno della storica crisi di trasformazione di Genova, un illustre studioso americano Naysbitt aveva scritto un saggio, intitolato i Megatrend, che era diventato molto di moda e che teorizzava la necessità di un equilibrio tra tutte le vocazioni di una città che si presuppone grande.
Guai a rinunciare alla quota industriale, per esempio: se accadesse si provocherebbe un inevitabile declino. In quegli anni Genova era molta dibattuta tra le due vocazione: l’industria che stava precipitando con quella grande crisi delle aziende Ir,i del porto senza più navi e traffici e il turismo che il mitico 1992 dell’anniversario Colombiano spingeva, insieme al Mundial di calcio del 1990, che vedeva Genova tra le città scelte per le partite.
Invece di vedere sullo scenario politico una discussione, ovviamente misurata su tempi tanto diversi, quasi trentacinque anni dopo, su questi temi qual è lo spettacolo al quale assistiamo? La campagna elettorale di fatto non incominciata, ma in realtà in corso da mesi, propone sconsolatamente il totonomi sui possibili candidati sindaci.
Totonomi, una malattia
Soprattutto sul versante scosceso del centro sinistra il totonomi è una specie di malattia. Si sciorinano candidature, si smentiscono candidature, si sussurrano indiscrezioni pazzesche e poi rimbalzano smentite, dinieghi sempre educati, come quello da ultimo conclamato di Carla Sibilla, come quelli sottintesi di Francesca Balzani, di Sara Armella e via andare.
Ieri sui social si è arrivati al paradosso ridicolo di una presunta candidata che si sentiva chiamata in causa e lo smentiva pomposamente con tanto di ragioni, quando in realtà il suo nome non era neppure circolato nella quotidiana ridda di voci o se lo era si trattava del frutto di una svista.
Dall’altra parte dello schieramento, quello che deve confermare il regno di Marco Bucci, c’è la convergenza su Pietro Piciocchi, l’avvocato oggi vice sindaco reggente e ora itinerante ( sta tornando da una missione in Vietnam), ma non è mica detto. Rimbalzano nomi anche da un centro che sta prendendo corpo in forme improvvise, in separazioni per niente consensuali, sopratutto dalla destra, in spinte “diffuse” che hanno imprinting generazionali o anche resurrezioni storiche, come quella del PRI, o ispirazioni cattoliche sulla scia delle riunioni di Milano e di Orvieto.
Dove è la “polpa” dei programmi?
Si inseguono i nomi, ma dove è la polpa elettorale, la sostanza dei programmi, che dovrebbero produrre essi davvero le candidature e non viceversa.
I programmi, i programmi, si invocano sempre e non arrivano mai o meglio arrivano alla fine, magari racchiusi in fascicoli di centinaia di pagine, preparate con il copia-incolla di anni di polemiche maggioranza -opposizione, quelli del si e quelli del no… Alla fine è un magma indistinto, che il candidato finalmente investito e lanciato reciterà come la poesia sotto l’albero di Natale a Gesù Bambino o a Babbo Natale o alla Befana.
Chi reciterà meglio la poesia vincerà perchè oramai quello che conta in una politica, che è sopratutto propaganda estesa sempre in una campagna elettorale perpetua, è il candidato nudo e crudo o meglio cucinato dal sistema mediatico con il suo slogan, la sua parola d’ordine, anche il suo look, ritoccato secondo l’esperto di turno. Grandi opere o manutenzione della città? O tutto insieme?
Sto meglio con la felpa o mi metto la cravatta?
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