Agrigento Capitale della Cultura, che almeno stavolta non sia il solito film siciliano

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Questo evento faccia scrivere un’altra storia rispetto a tante inaugurazioni di edifici, ospedali, ponti ed altre infrastrutture poi resi inefficenti

Dov’eravamo rimasti? Ah sì, agli errori grammaticali “vergati” sul cartello lungo la Strada degli Scrittori, alle gocce di pioggia che cadono dal tetto del Teatro Pirandello – lo stesso che oggi aspetta l’ouverture di Agrigento Capitale della Cultura 2025 – e all’ombrello che non si apre per schivare le inevitabili polemiche, il presidente della Regione Renato Schifani che tuona, minaccia il commissariamento della Fondazione creata per gestire un evento lungo un anno, diserta la conferenza stampa a Roma per poi frenare e fare una rapida inversione a L più che a U, con un ultimo vertice d’urgenza per evitare ulteriori sorprese. Pozzanghere sul tappeto rosso che oggi aspetta il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Il nastro si riavvolge pericolosamente per esempio alle Universiadi ’97 – felice intuizione per dotare le città di impianti medio piccoli ma di maldestra realizzazione – e ancora alle tante grandi occasioni perse per far vedere che la Sicilia sa programmare, essere efficiente, puntuale, rigorosa, svizzera e giapponese: né improvvisazioni né sprechi.

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In questo flashback scorrono altre immagini di palazzi appena inaugurati e già “bucati”, di ospedali nuovi eppure rugati, di ponti fragili, di superstrade che portano verso il nulla – evidentemente a qualcuno interessava soltanto farle – e di altre necessarie eppure soltanto tratteggiate.Invece no. Non può essere proiettato lo stesso film visto tante, troppe volte. Agrigento ’25 faccia scrivere un’altra storia, malgrado le premesse. La falsa partenza della lunga vigilia resti tale, una parentesi tra uno scivolone e un ritardo, non il fil rouge di questo affascinante romanzo che può e deve essere l’anno di Capitale della Cultura, assegnato alla suggestione di Agrigento e della Valle dei Templi ma non solo. Perché la parola Cultura rimanda alla Sicilia tutta, terra feconda che è di Giovanni Verga e Federico De Roberto, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Vitaliano Brancati, di Leonardo Sciascia e Gesualdo Bufalino, di Vincenzo Consolo e Andrea Camilleri, di Renato Guttuso e Piero Guccione, di Pietrangelo Buttafuoco e Roberto Alajmo, di Stefania Auci e Viola Di Grado, di Rosa Balistreri ed Emma Dante, di Giuseppe Tornatore e Roberto Andò, di Franco Battiato. La Sicilia è Capitale della Cultura a prescindere dal calendario istituzionale se solo vuole esserlo, guardandosi dietro e avanti.

Però, senza false ipocrisie e facili autoassoluzioni, si deve pur riflettere sul fatto che uno strafalcione o un’incompiuta, in fondo, ce li aspettavamo. E non sono circostanze che vanno legate ad Agrigento ’25 ma che in generale possono tappezzare l’Isola qua e là. Piuttosto sorprende, se e quando avviene, il miracolo di un cronoprogramma rispettato che altrove è un adempimento banalmente ordinario. Mentre siamo assuefatti a storture e imposture.Chi ci vede brutti sporchi e cattivi a prescindere, ha buon gioco a descriverci così anche stavolta. E anche chi qui è nato e cresciuto legittimamente è almeno scettico, prudente sulla nostra capacità di essere Sicilia in un’altra maniera, secondo un’accezione diversa, somigliante al volto bello e pulito delle start up e della ricerca. Non bastano l’orgoglio e il rivendicazionismo, servono serietà e concretezza. Perché non sempre può andare bene affidandosi al guizzo finale, al colpo di coda, una pezza last minute, a quella duttilità salvifica che non hanno né uno svizzero né un giapponese.Ricordiamocelo in tutti questi dodici mesi di Agrigento ’25, voluti e inseguiti ma adesso anche temuti. Anche perché alle porte c’è già Gibellina ’26 capitale dell’Arte contemporanea e attorno a quel gioiello di museo open air già si vedono svolazzare tanti avvoltoi e poche aquile.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA





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