Adista News – Carceri. A quando l’applicazione del dettato costituzionale?

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Adista Segni Nuovi
n° 3 del 25/01/2025

Si è svolta a Modena il 1° gennaio scorso, Giornata mondiale della Pace, la 1° marcia per la pace “Fuori la guerra dalla storia”, per rimarcare l’urgenza della pace fondata sulla giustizia. in Piazza Grande, oltre al sindaco di Modena Massimo Mezzetti e a mons. Erio Castellucci, arcivescovo di ModenaNonantola e vescovo di Carpi, che ha presentato il messaggio di papa Francesco «Rimetti a noi i nostri debiti: concedici la tua pace», sono intervenuti Claudio Baraldi (Università di Modena e Reggio Emilia, delegato del rettore alla Rete delle Università per la Pace); don Mattia Ferrari (cappellano Mediterranea Saving Humans); Paola Cigarini (Gruppo Carcere&Città – Progetto Peter Pan) e Fausto Gianelli (Associazione Europea Avvocati per la Democrazia e i Diritti umani). Di seguito riportiamo l’intervento di Paola Cigarini.

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Oggi, sebbene le notizie delle morti violente ormai si leggano distrattamente e ci si chiuda sempre di più nel nostro quotidiano di relazioni e cose, ecco che i numeri delle persone (persone detenute e agenti di polizia penitenziaria) che cercano con il suicidio la soluzione alla loro disperazione nelle carceri italiane ci costringono a porci delle domande e ci chiedono una presa di responsabilità. Anche il nostro carcere, la nostra città, ha pianto nei giorni scorsi la morte di un giovane ospite e ieri lo ha fatto Piacenza. In media quest’anno ogni quattro giorni un detenuto si è tolto la vita. E il dato è verosimilmente sottostimato, perché vi sono stati nel 2024 altri 20 decessi in carcere “per cause da accertare”. I tentati suicidi sono stati 2.035 (179 in più rispetto al 2023), gli atti di autolesionismo 12.544 (483 in più rispetto al 2023).

Credo che, anche per la sensibilità che state mostrando nell’essere qui, molte informazioni sulla pena in carcere siano da voi conosciute (nel carcere di Modena presenti 570 persone su una disponibilità di 357 posti)… Possiamo sapere dalle statistiche presenti in rete quante di queste persone sono stranieri, di quali etnie, quanti sono malati, senza dimora, che età hanno. E molti altri numeri potrebbero essere presentati e soprattutto analizzati.

Dietro a quei numeri però, lo sapete, ci sono persone che con loro storie ci rovesciano davanti agli occhi i problemi irrisolti della nostra società.

Per rimanere solo ai problemi del carcere questi numeri palesano la necessità e l’urgenza di interventi normativi e di amministrazione attiva, volti a rendere più umana l’esecuzione penale. Penso non solo al sovraffollamento carcerario, ma a migliorare le condizioni di vita dei detenuti e a garantire il rispetto dei loro diritti, anche sotto il fondamentale profilo dell’assistenza medica, psichiatrica e psicologica.

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Il carcere è l’istituzione di cui abbiamo meno conoscenze dirette, è una realtà complessa, difficile, dove si vivono equilibri delicatissimi sia per le persone detenute, sia per chi vi lavora.

C’è tanta attenzione adesso nei media, nell’opinione pubblica, per questi problemi, forse come mai prima, ma il tentativo di convincere il legislatore che un problema strutturale come quello della illegalità delle carceri italiane oggi debba esser affrontato con proposte radicali, strutturali, che vadano al cuore del problema – amnistia, indulto, depenalizzazione e decarcerizzazione – sistematicamente fallisce. Ricordo che la nostra Costituzione parla di pene, non di carcere, e che esistono oltre 40 possibilità di esecuzione della pena (e qui si aprirebbero altri discorsi che il tempo non ci consente di fare).

È però al carcere, la pena per eccellenza, che viene affidata la difesa incerta di una società in crisi di valori e di identità. Il carcere è considerato infatti dai nostri politici e da buona parte della pubblica opinione come l’unica punizione “vera”, il castigo che deve diventare insegnamento attraverso l’afflizione, con il sapore, spesso non tanto nascosto, della vendetta.

E le carceri si riempiono come non mai, anche senza che ci sia uno spazio adeguato e umano per accogliere tutti questi nuovi giunti, molti dei quali giovani o giovanissimi. Il risultato è quello che abbiamo descritto prima: solo contenimento. Carceri piene negli spazi, ma vuote come il tempo dei detenuti che scorre inutilmente.

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Non si vuole vedere come il carcere sia oggi un istituto che genera violenza, sia criminogeno e non riesca a proteggere né le persone detenute, né le persone in divisa, né quindi, in ultima analisi, la società. È a questa pena che affidiamo la nostra sicurezza?

Davanti a una situazione straordinaria diventata però tristemente ordinaria, costellata da rivolte, suicidi, insofferenze, stati patologici non curati, non appare possibile cercare di risolvere gli annosi problemi che gravano sulla realtà penitenziaria italiana in modo agile, semplicistico. Occorre una riforma organica, completa, che sappia toccare ogni ingranaggio difettoso, ogni polmone in apnea dell’intero circuito penitenziario. Non si può più aspettare.

Dobbiamo crederlo, chiederlo, pretenderlo noi, cittadini e voi politici. E non è un discorso di clemenza, umanità o buonismo, ma di coraggio per la nostra sicurezza, per la nostra comunità perché possa essere capace di seminare segni di speranza per tutti, oltre il pessimismo, la rassegnazione, la stanchezza che spesso incontriamo anche in noi stessi.

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Il volontariato ha sempre sostenuto l’idea del carcere come “extrema ratio” per chi non può essere fermato in altro modo, e siè espresso a favore di una giustizia di Comunità con pene conciliative o riconciliative che possano coinvolgere anche la vittima del reato nell’incontro e non solo attraverso risarcimenti in denaro. Pene che facciano leva sulla capacità delle persone di fare scelte diverse da quelle che le hanno portate a delinquere. Ora noi volontari siamo costretti solo a medicare le ferite di una Istituzione che non è capace neppure di dare ai suoi ospiti un bagno schiuma o un dentifricio. Ci sono tra i firmatari, tra le adesioni a questa marcia molte associazioni di volontariato. Non è un caso. C’è nella mano tesa verso l’altro, nel sorriso che illumina gli occhi di chi coglie uno sguardo, nell’accompagnamento e nel sostegno di chi rischia di cadere, un grande, importante gesto di Pace. È l’incontro che può far cambiare il percorso di un cammino verso l‘illegalità. I volontari appaiono come compagni di strada che aiutano la persona sola quando è al fine pena, che aiutano a vincere la paura del prima e del dopo. Così come il volontariato che opera nei Paesi lontani dove la sofferenza e la miseria portano a sperare, sognare un “meglio” lontano. L’azione del volontario è un seme che può far germogliare una terra arida dove tutto si tenta di risolvere con azioni di forza, con conflitti che durano nel tempo, con inimicizie e rancori, dove tutto è appiattito sulla dimensione economica. È azione di prevenzione, è azione di pace. È allora dal nostro essere cittadini/volontari che mentre tendono la mano guardano oltre, all’origine del bisogno incontrato e ne cercano le cause e si fanno sentire con una voce autonoma, responsabile perché si possa andare nella direzione di una comunità pacificata, che ripudia ogni guerra, che cerca una giustizia che ha il compito di ricomporre le fratture che il reato ha prodotto, non solo di punire. 

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

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