Rigopiano, la rivelazione: «La Carta valanghe non era un obiettivo della politica»

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PESCARA. Alle 16.47 del 18 gennaio 2017, la valanga si stacca dal monte Siella, a quota 1.760-1.890 metri di altitudine. Una massa di neve su un’area grande come cinque campi di calcio, 40mila metri quadrati, scende a valle a una velocità impressionante. In due minuti, alle 16.49, un carico da 200mila metri cubi di neve, rocce e alberi si abbatte sull’hotel Rigopiano fino a sbriciolarlo: resta in piedi soltanto il centro benessere, costruito nel 2007. Nel suo percorso di distruzione, la valanga disegna quasi una “s”, poi prosegue dritta nel canalone che conduce fino all’hotel. Lambiti e risparmiati un campeggio e il rifugio Tito Acerbo. Allo stesso modo, l’inchiesta sul disastro, con un bilancio di 29 morti e 11 sopravvissuti, sfiora i politici.

IL GRANDE ASSENTE

Non ci sono politici sul banco degli imputati: la politica è il grande assente nell’odissea giudiziaria di Rigopiano. A partire dalla mancata redazione della carta valanghe, l’illustre sconosciuta degli amministratori. Quella sfuggita all’inchiesta è una politica che non sa prevedere un rischio già noto fin dagli anni Novanta. Quel documento, che poteva cambiare il destino dell’hotel Rigopiano, da apertura a chiusura, «non era un obiettivo» della politica.

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RITORNO AL PASSATO

Il 1992 è l’anno travagliato di una legge regionale, la numero 47, approvata per «l’accertamento dei pericoli e dei rischi da valanga e la salvaguardia della pubblica e privata incolumità»: una legge di 23 articoli, finanziata con 300 milioni di vecchie lire, approvata per alzata di mano e poi subito dimenticata. Invece, se l’iter di quella legge fosse andato avanti, sarebbe stata approvata la Carta valanghe con divieti alle costruzioni nelle zone a rischio e probabilmente l’hotel Rigopiano sarebbe rimasto un albergo di montagna aperto solo d’estate e non un resort di lusso, tutto esaurito anche d’inverno. Rigopiano è a rischio da sempre: a Farindola, lo sapevano i pastori.

TRE DOMANDE

E allora perché, nell’Abruzzo delle vette più alte dell’appennino, la politica ignora la necessità di una Carta valanghe? Ed è una coincidenza che l’iter sia partito soltanto dopo il caso di Rigopiano? Una dimenticanza o il rischio valanga è stato tenuto nascosto? Di certo, per la mancata redazione della Carta valanghe nessuno è colpevole. A partire dai politici: gli ex presidenti della Regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco, Gianni Chiodi e Luciano D’Alfonso, sono fuori dall’inchiesta fin dall’inizio, dal primo giro di boa delle indagini preliminari.

GERARDIS TESTIMONE

Ma c’è un filo che lega la politica al rischio valanga ignorato. Nel 2018, ascoltata come testimone dai magistrati di Pescara, l’allora direttore generale della Regione, Cristina Gerardis pronuncia queste parole: «È previsto che annualmente sia redatto un piano delle prestazioni, a cura dei dirigenti e direttori di dipartimenti. La Carta valanghe non era presente nel programma di governo e nemmeno negli obiettivi del dipartimento delle Opere pubbliche di cui fa parte la Protezione civile». Gerardis, in un interrogatorio considerato «significativo», dice anche che, tra i progetti del Masterplan fino al 2015, non c’è la Carta valanghe e nessuno degli amministratori della Regione chiede di finanziarne la redazione: «Non vennero richiesti fondi per la realizzazione della carta valanghe». I carabinieri forestali passano al setaccio le delibere regionali sul Masterplan del 2015 e 2016 e annotano: «Nell’elenco non compare la redazione della Carta valanghe».

«CI SERVONO FONDI»

Ma, dagli atti dell’inchiesta dei carabinieri forestali, emerge che, nel 2014, qualcuno si ricorda della legge 47/’92: «Occorrerà, in virtù della legge regionale 47 del ’92, estendere tale studio sull’intero territorio regionale ove è presente il rischio valanghe in relazione al grado di antropizzazione e al grado di frequentazione dei bacini sciistici presenti. Per tale attività, occorrerà stanziare risorse specifiche». Questa la richiesta dell’allora dirigente del servizio di Previsione e prevenzione di Protezione civile Carlo Giovani. Ma i fondi non ci sono: la politica punta su altro. Un’altra testimonianza, ai tempi dell’amministrazione D’Alfonso, è quella del dirigente regionale Sabatino Belmaggio: «Chiedo al dirigente se c’è disponibilità di impegnare per la Clpv, mi risponde che, per l’anno 2015, all’attualità non si riscontrano esigenze finanziarie. Nell’anno 2015, abbiamo avuto due grosse emergenze, una a marzo e un’altra a ottobre con la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale».

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MAPPA A PEZZETTI?

Ma se, nel 2014, Giovani si ricorda della necessità della Carta valanghe, quali zone bisogna mappare? Secondo le carte dell’inchiesta, l’allora presidente D’Alfonso del Pd «sostiene la scelta del dipartimento Lavori pubblici di procedere per lotti nella redazione della carta valanghe» ma, dice l’accusa, queste zone erano state già individuate da un ente specializzato chiamato Coreneva più di vent’anni fa. Il rapporto dice che il Coreneva «non aveva mai indicato che si dovesse procedere alla redazione della Clpv attendendo che fosse completata la redazione di un lotto per poi iniziare la redazione di quello successivo». E poi, nel 2007 era stata depositata una versione aggiornata della Carta storica delle valanghe «da cui i coordinatori del Coreneva, Vincenzo Antenucci e Carlo Giovani, avevano appreso dell’esistenza di un rischio valanghe da approfondire sull’intero territorio della regione Abruzzo, come è evidente dalle mail sequestrate». E in un altro passaggio, i carabinieri forestali scrivono: «Dopo la valanga di Rigopiano, lo stesso presidente della Regione (D’Alfonso, ndr) chiese informazioni al dirigente Belmaggio sul costo di redazione di una Clpv sull’intero territorio regionale». La conclusione degli investigatori è: «Verosimilmente la richiesta di fondi di Emidio Primavera (dirigente regionale, ndr) va a inserirsi nel periodo immediatamente successivo la tragedia di Rigopiano, quando i media avevano intrapreso un attacco mediatico nei confronti della Regione Abruzzo per la mancata realizzazione della Clpv».



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