Chi ha paura della verità dietro lo scandalo Mascheropoli? I lettori del Giornale sanno delle mascherine farlocche e quindi dannose dalla Cina, sdoganate nonostante i marchi contraffatti e finite nelle farmacie e negli ospedali dopo aver ingrassato con parcelle milionarie diversi intermediatori. È stata l’Inail qualche giorno fa a certificare, nella commissione Covid presieduta da Marco Lisei, l’enorme incidenza nella mortalità Covid del personale medico-infermieristico che con quelle mascherine ha combattuto (e perso) una guerra di trincea in corsia, nonostante lockdown e obblighi vaccinali.
Chi ieri in audizione si aspettava il mea culpa dell’ex commissario Domenico Arcuri è rimasto deluso. Chi pensa sia sua la responsabilità dei 200 milioni di euro che Palazzo Chigi deve restituire al fornitore di mascherine Jc Electonics, che ha avuto ragione in Tribunale sul contratto con la Protezione civile diventato carta straccia, non poteva immaginare una difesa peggiore per il manager scelto da Giuseppe Conte. Che l’ha buttata in caciara, ridicolizzando la vicenda a una «sorta di spy story infarcita da non documentate illazioni», tanto da minacciare querela su una vicenda di cui non si sarebbe mai occupato e «del tutto marginale rispetto all’imponente e a tratti drammatico lavoro svolto in quella difficile fase». Qualche ora prima la stessa Jc aveva ricostruito la vicenda della fornitura ostacolata da una serie infinita di controlli e di dispetti. «Ci sono state sequestrate mascherine approvate dall’Inail rispetto alle centinaia di milioni portate in Italia da Arcuri che sapeva fin dal principio che non erano conformi, certificate da un laboratorio Ecm di Reggio Emilia che la stessa Dogana dice non fossero buone», lamenta a San Macuto il numero uno di Jc Dario Bianchi. «Mentre italiani innocenti morivano, qualcuno si è arricchito alle loro spalle frodando lo Stato», è la sintesi di Alice Buonguerrieri (Fdi).
Ecco perché ancora oggi grida vendetta quel miliardo e rotti a società cinesi come Wenzhou e Luokai attraverso un soggetto nato appena qualche giorno prima della commessa, con un nome diverso dalle fatture e cambiato al volo alla Camera di commercio di Pechino, per mascherine con marchio Ce contraffatto e con certificazioni false, a un prezzo almeno quattro volte superiore. «Sorprende il silenzio da troppo tempo su decisioni, omissioni, mancati controlli e falsità protese a realizzare una commessa miliardaria in favore di soggetti scelti da Arcuri pur in assenza di certificazioni dovute», tuona il capogruppo Fdi alla Camera Galeazzo Bignami. «I produttori cinesi hanno fornito 800 milioni di dispositivi, il 7,6% del totale acquistato dal commissario – è la replica di Arcuri – con 40 aziende, 34 italiane, per 9 miliardi di mascherine». Si, ma quasi tutte arrivavano dalla Cina e non dai fornitori attendibili indicati alla Protezione civile sia da Pechino sia – già nel febbraio del 2020 – dal funzionario delle Dogane Miguel Martina (a cui Arcuri ha riservato una frase ai più apparsa sibillina), whistleblower scaricato dai suoi a partire dall’ex numero uno Marcello Minenna (più volte evocato), con l’Anac inerme alla finestra ancora oggi, che per aver denunciato lo scandalo è stato da allora vittima di mobbing con false accuse oggi smentite in tribunale.
Chi aveva pronte diverse domande era la senatrice renziana Raffaella Paita, più che perplessa: «Non si è potuto approfondire, troppi i dubbi che vorremmo chiarire prima possibile», mentre il Pd con Ylenia Zambito definisce le accuse ad Arcuri «un inutile teatrino» e una «ricostruzione che cede al complottismo». «Chiarezza su Mascheropoli» è quella che invoca il capogruppo Fdi al Senato Lucio Malan. A fare scudo ad Arcuri (e Conte) ci ha pensato il vicepresidente di M5s Michele Gubitosa: «Arcuri ha riportato la scienza al centro dell’inchiesta dopo teorie cospirazioniste e un circo complottista e diffamatorio». «L’ex commissario non ha fatto altro che minimizzare, denigrare altri auditi, sindacare sull’operato di società private anziché rendere conto di ciò che ha fatto o omesso di fare», è la contro replica della maggioranza.
«Lo stoccaggio delle mascherine previsto dal Piano pandemico avrebbe prevenuto ogni speculazione», osserva l’ex consulente dei familiari delle vittime nella Bergamasca Robert Lingard, invece il piano pandemico fu accantonato da Roberto Speranza e riscritto in mezzo all’emergenza. Prima o dopo la divulgazione del rapporto Oms di Francesco Zambon del 10 settembre 2020 che ha inchiodato l’esecutivo alla gestione «caotica e creativa» della pandemia per la mancata applicazione del Piano?
C’è tempo per capire cosa è davvero successo in quei concitati giorni tra i primi di marzo e l’estate del 2020.
L’audizione di Arcuri e Jc Electonics non si esaurisce qui, poi toccherà ai vertici delle Dogane e infine proprio a Martina. Un’audizione, la sua, che a quanto risulta al Giornale in molti starebbero cercando di impedire.
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