La bibbia nel curriculo? Ma non c’è già l’ora di RC? E le finalità artistiche non è meglio affidarle ai prof di arte?

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Seppure ancora manchi il testo  ufficiale delle nuove “Indicazioni nazionali” con le modifiche da apportare nel curriculo, in base a quanto ha dichiarato il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, verrebbe introdotto, insieme ad altre materie, nella scuola Primaria la studio della Bibbia come strumento educativo trasversale, capace cioè di arricchire l’insegnamento di più discipline, tra cui: Storia dell’arte, considerato che moltissime opere, sculture, affreschi, quadri sono ispirate a quegli eventi o a quei personaggi; Letteratura, per capire meglio testi che si rifanno a quelle storie, come gli scritti di Alfieri o di Dante;  Educazione civica e morale perché buona parte della legislazione occidentale si basa proprio su molti principi riportati sul vecchio e nuovo Testamento. 

Discorso similare, seppure con stimoli culturali più complessi, annuncia il ministro anche nella Secondaria di Primo grado, in attesa delle più complesse “Indicazioni” relative alla Secondaria di Secondo grado.

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E come era prevedibile, oltre alle polemiche sorte attorno alle altre “Indicazioni”, questa scelta del gruppo di lavoro del ministro ha aperto ben più numerosi  vespai, a cominciare dall’Unione degli studenti, “è una chiara scelta politica in linea con le idee reazionarie e conservatrici del governo”,  e finire con alcuni intellettuali che giudicano un azzardo introdurre un testo, obsoleto, con una lingua martirizzata e frammentaria, contraddittorio e con chiare intromissioni culturali saccheggiate ai popoli più colti, più antichi, di raffinatissima arte con cui gli ebrei vennero a contato per le loro migrazioni nel deserto appresso alle greggi, grazie a cui si sostentavano. 

Ma la riflessione non è solo questa, seppure fondatissima e da tenere in conto, dal momento che può essere superata a condizione che storie come Sodoma e Gomorra, per citare le più semplici, o le uccisioni di massa (dente per dente e occhio per occhio) o i sacrifici per calmare Yahweh non vengano ridotte a storielle di costume, buone per intrattenere i piccoli davanti al focolare.

La riflessione più sostanziosa riguarda invece il fatto che già alla Primaria si impiegano ben due ore di insegnamento di religione cattolica a settimana e un’ora settimana nella secondaria di Primo e di Secondo grado. E dunque, quale sbocco didattico e quale finalità formativa potranno aggiungere altre ore dedicate allo studio della Bibbia, seppure con le finalità “artistiche” e culturali cari al ministro? Se si hanno così a cuore le vicende bibliche, rappresentate nell’arte e nella letteratura, perché non inserirle nei piani di studio relativi all’insegnamento della RC? Si risponderà che tale insegnamento è facoltativo. Giusto. Ma allora perché imporre l’ora o le ore (ancora non sappiamo come verrà strutturato l’orario) di studio della Bibbia a un alunno cinese? Non c’è forse nella nostra Costituzione libertà di culto, quella stessa che induce uno studente a non avvalersi dell’ora di cattolicesimo? Si potrebbe dire che il ragazzo cinese che sceglie di vivere in Italia deve sapere la Bibbia. E non è questa stessa proposizione, se fosse sottolineata dal ministero, un atto di autoritarismo che non ha nulla a che vedere con gli obiettivi formativi prima descritti?  

La storia dell’arte, dai mosaici di Monreale a Giotto fino Marc Chagall, compresi i continui riferimenti negli scritti di Dante, e di altri autori, alla Bibbia, non si possono affidare ai docenti della materia, come lo studio serio del diritto agli insegnanti che sanno bene come la giustizia nasca dal sostrato culturale di un popolo? 

Sicuramente, come accennavamo prima, non sappiamo nel dettaglio chi (prof di italiano, religione, arte, diritto ecc.) tratterà l’insegnamento biblico e per quante ore a settimana, sta di fatto la grande perplessità che essa suscita per la delicatezza della disciplina medesima e per i risvolti religiosi e didattici che porta con sé. E ciò è anche dovuto al fatto che agli stranieri non si vuole concedere la cittadinanza con lo Jus Scholae: non potrebbe essere allora questo un dribbling per imporre, giocoforza, insegnamenti confessionali anche a chi pratica altre fedi? Così come del resto la Rete degli studenti sta sibilando? 

Nello stesso tempo si scorda il fatto che, quando il 18 febbraio 1984 venne siglato il nuovo concordato col Vaticano,  contenente il “riconoscimento del valore della cultura religiosa e dei principi del cattolicesimo come parti integranti del patrimonio storico del popolo italiano e assicura l’insegnamento della religione cattolica come materia ordinaria nelle scuole pubbliche”, non solo si verificò un’autentica bagarre in Parlamento ma oltre duemila intellettuali resero pubblico un appello che invita a respingere l’Intesa. A loro si aggiunsero ebrei, protestanti e atei.

All’epoca il governo, Franca Falcucci ministra dell’istruzione, vacillò e pose la questione di fiducia. Oggi il problema neanche si pone, ma il dibattito sembra aperto, compreso il nostro sondaggio che aiuta certamente meglio a capire l’orientamento e non solo dei nostri lettori. 

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