Amedeo Minghi: «Vattene Amore? La canzona più incompresa d’Italia, “Trottolino” era un pericolo. Nel mio ultimo singolo cito Berlinguer, una figura emblematica»

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di
Andrea Tinti

L’artista porta dal vivo il suo nuovo album, «Anima sbiadita»: «Da molti anni non scrivo più per altri cantanti. Gli incontri con Lucio Dalla negli studi della Fonoprint»

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Il tour di Amedeo Minghi farà tappa a Bologna al Teatro Celebrazioni il 17 gennaio (ore 21, da 35 a 55 euro). L’artista porta dal vivo il suo nuovo album, «Anima sbiadita» insieme a tante hit di una vita.

Nell’ultimo singolo, «I colori dell’Est», cita Enrico Berlinguer. Per lei chi è stato Berlinguer?
«Negli anni Settanta era un punto di riferimento importante. L’ho menzionato per definire il periodo temporale nel quale si svolge la canzone. In quegli anni era una delle figure più emblematiche».




















































Oggi chi sono le anime sbiadite?
«Lo siamo un po’ tutti. L’umanità intera è sbiadita, piena di contraddizioni, ingiustizie e risentimenti. Mai come adesso abbiamo conosciuto incertezza, insicurezza e problematiche enormi, che stiamo affrontando in questa transizione tra passato e futuro. Un passaggio troppo veloce, non siamo attrezzati».

Il suo approccio con la musica è cambiato nel tempo?
«È cambiato perché noi cambiamo ed è normale che sia così. Adesso manca lo slancio dei vent’anni. Però, è subentrata una consapevolezza maggiore per quanto riguarda il modo di espressione. La voce giovanile non è la stessa che si ha a settant’anni. C’è più professionalità anche sull’aspetto compositivo».

Se pensa al brano «Vattene amore», entrato nella storia della musica italiana, cosa prova?
«Provo un po’ di rammarico. Credo che sia una delle canzoni più incomprese del panorama nazionale. Ha un testo straordinario scritto con Pasquale Panella ed era una sorta di trattato filosofico. Come tutti i testi complessi è stato anche travisato. Il “Trottolino” è stato scambiato per un complimento, invece nella canzone è quasi un pericolo da cui scappare».

C’è differenza tra scrivere per sé stessi e per altri interpreti?
«Sì, c’è differenza. Sono molti anni che non scrivo per altri. Quello che scrivo come cantautore non lo darei a nessuno perché appartiene alla mia sfera privata, mentre quando ho scritto per altri ho mediato la mia esigenza con quella dei miei colleghi. Se scrivo per Bocelli o per Morandi devo tener conto anche dei loro dati tecnici».

C’è un brano che si è pentito di aver «regalato» a qualcuno?
«No, diciamo che due o tre pezzi potevano essere realizzati meglio e quindi, forse, si sono perse delle occasioni, ma può succedere. In alcuni casi mi sono state chieste delle canzoni che non ho dato perché troppo personali».

Le è capitato nella sua lunga carriera di aver vissuto la scomparsa di un collega come qualcosa di estremamente triste?
«La mancanza più grande è stata la scomparsa del mio carissimo e amatissimo Gaio Chiocchio con cui ho scritto canzoni mirabili tra cui “1950”. È stato un grandissimo poeta e la sua mancanza l’ho avvertita molto a livello umano e artistico».

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Con Bologna ha avuto un rapporto particolare o una città come tante altre?
«Bologna è una città molto cara, ho avuto tanti amici bolognesi, uno su tutti Lucio Dalla. Ci frequentavamo quando veniva a Roma, ci siamo visti in diverse occasioni alla Fonoprint, sono stato nei suoi uffici per il sindacato dei cantanti di cui ero presidente. La mia lunga carriera mi ha permesso di avere rapporti bellissimi con tanti luoghi. Nei prossimi giorni sarò a Torino, Bologna, Bari, quindi viva l’Italia».

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16 gennaio 2025 ( modifica il 16 gennaio 2025 | 10:29)

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