«Il turismo legato all’olio può essere molto remunerativo perché funziona 360 giorni all’anno e non solo per quei pochi mesi in cui si raccoglie e poi si produce l’olio», spiega l’autrice del libro “Oleoturismo, opportunità per imprese e territori”, scritto con Dario Stefàno
L’olio extravergine di oliva e i territori dove viene prodotto sono un forte richiamo per i turisti. Così come il turismo legato all’olio è un’importante occasione per valorizzare un prodotto che ben si inserisce in un quadro molto più ampio che attrae sempre più i viaggiatori nel nostro Paese: l’extravergine simboleggia valori fortemente legati a storia, cultura, ambiente e paesaggio, senza considerare le sue qualità salutistiche e la provenienza da un patrimonio unico al mondo con oltre 550 varietà di olive.
Lo confermano i risultati del primo rapporto 2024 sul turismo dell’olio redatto da Roberta Garibaldi, presidente dell’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico. Ecco qualche dato.
I dati del primo rapporto 2024 sul turismo dell’olio
Tra gli intervistati il 72% vorrebbe acquistare l’olio a prezzi interessanti in un frantoio o in un’azienda olivicola. Al 70% piacerebbe degustarlo in occasione di visite guidate e abbinare le diverse tipologie offerte dall’azienda a prodotti e piatti tipici di quella zona. Il 66% vorrebbe assistere al processo produttivo e partecipare alla raccolta delle olive.
Dati che mostrano ampi spiragli di crescita per il “cugino povero” dell’enoturismo, già da tempo molto organizzato sia per strutture che per capacità di catturare l’interesse delle persone.
Intervista all’autrice del libro “Oleoturismo, opportunità per imprese e territori”
Abbiamo cercato di capire, dopo l’approvazione della legge sull’oleoturismo del 27/12/2019 (i decreti attuativi sono del 2022), se le tendenze citate trovino riscontro con la realtà odierna. Lo abbiamo fatto in una chiacchierata con Fabiola Pulieri, giornalista, ideatrice ed autrice del libro “Oleoturismo, opportunità per imprese e territori” (Agra Editrice).
Da qualche anno si parla di aperitivi, cene, iniziative culturali e camminate tra gli ulivi. Di visite a frantoi con degustazioni e altre iniziative per valorizzare l’olivicoltura italiana. Cosa è cambiato con questa legge?
L’oleoturismo c’era già, ma non era mai stato normato fiscalmente. La legge – equiparata a quella sull’enoturismo (entrambe si rifanno al regime fiscale dell’agriturismo) – è quindi molto utile alle aziende che hanno ora la possibilità di “staccare un biglietto” per i turisti offrendo loro un’esperienza legata all’olio che può essere di vario genere.
Ok, ma ci sono altri vantaggi?
Se parliamo solo di legge si può dire che è sostanzialmente utile ai fini fiscali. Poi è chiaro che da questa base, essenziale, i vantaggi si moltiplicano. Ad esempio, prima la maggior parte delle aziende proponeva una degustazione (che alcuni facevano precedere da una camminata nell’oliveto e/o da una visita al frantoio) dopodiché se al turista piaceva l’olio lo poteva acquistare. Ma anche no. E, in tal caso, non c’era nessun guadagno. Ora invece, con una normativa certa, il produttore può proporre l’acquisto di un pacchetto con le esperienze che si andranno a fare, indipendentemente dall’acquisto dell’extravergine.
Con questa opportunità si è già riscontrato un incremento del turismo dell’olio?
Consideriamo che ci devono essere anche regolamenti regionali attuativi della legge. Come al solito la burocrazia italiana e le complicazioni che essa comporta non hanno ancora aiutato l’oleoturismo a decollare. Nel momento in cui parliamo, 13 Regioni hanno recepito i decreti attuativi. Altre lo hanno fatto attraverso delibere per altri ambiti inserendo anche oleoturismo ed enoturismo, non è facile da verificare. Si stanno facendo grandi passi, ma siamo ancora lontani dal poter dire di essere a pieno regime.
Nel libro si parla di opportunità per aziende e territori. Molti produttori però sono piccoli, non hanno strutture idonee all’accoglienza. La legge prevede aiuti in questi casi?
Per prima cosa l’azienda deve decidere se vuol fare oleoturismo, il secondo passaggio è fare rete. Gli aiuti possono essere regionali con progetti mirati, ma bisogna andarseli a cercare: io infatti spingo molto sulla rete territoriale, perché i piccoli da soli possono incontrare difficoltà. Invece entrare in un circuito territoriale con il sostegno di qualche azienda vicina più grande o di qualche ente (Comune, Regione, Gal, ecc…) si possono trovare opportunità.
Qualche esempio?
Col Comune si potrebbe proporre un itinerario turistico cittadino con visita a un frantoio ipogeo laddove ce ne sono, a un museo non necessariamente di olio e terminare con una degustazione presso una sala precedentemente individuata. Se poi saranno diverse le aziende coinvolte, meglio ancora. Non solo olio, ma anche formaggi, farine, artigianato locale, insomma le tipicità di quel luogo, entreranno in un circolo virtuoso che serve a creare una rete a vantaggio del territorio.
Di queste reti territoriali in senso ampio ce ne sono? Fanno fatica a decollare?
Entrambi i casi. Ci sono in regioni più capaci, più avanti: Umbria, Puglia e in parte Toscana sono proprio predisposti a far conoscere il loro territorio in modo più spedito, spontaneo, sentito. Riescono dove tanti altri vedono solo difficoltà e quindi non ci pensano.
Qualche dritta a chi vede solo difficoltà?
Se io non ho una sala degustazione, la può avere uno vicino a me. Faccio sempre un esempio: due vicini che producono olio e sono concorrenti con l’oleoturismo possono collaborare. Perché magari uno ha un parcheggio e l’altro no, ma ha uno spazio per una degustazione. Fanno due oli apparentemente uguali, ma tutti gli oli sono diversi. È proprio così che l’unione fa la forza. Si fa insieme una degustazione mettendo a disposizione quello che ognuno ha, poi saranno i visitatori a decidere quale olio comprare. Se lo porti solo da te e l’olio non gli piace non lo compra lo stesso. È uno scambio equo alla pari, ci si aiuta e si ottengono i maggiori risultati.
C’è chi sostiene che l’oleoturismo offra molte possibilità, ma ancora non se ne comprende la portata…
Verissimo. L’oleoturismo può essere molto remunerativo perché funziona 360 giorni all’anno e non solo per quei pochi mesi in cui si raccoglie e poi si produce l’olio. Dopo bisogna impegnarsi a venderlo. E poi? Basta, ci si ferma sperando che tutto ciò che si è fatto in poco tempo serva per vivere tutto l’anno? No. Si possono proporre pacchetti che, ad esempio, facciano assistere i turisti ad alcuni processi, come la raccolta e la molitura. Poi viene la degustazione, poi la potatura e sono tantissimi i turisti che vi vogliono assistere. Da marzo e per tutta l’estate si possono organizzare eventi in uliveto e sfruttare l’aspetto naturalistico, magari ascoltando musica o proporre i cocktail con l’olio (stanno andando tanto di moda), oppure organizzare corsi di pittura tra gli ulivi, di yoga, ecc…ci sono miliardi di possibilità. Bisogna solo superare l’incertezza iniziale, avere coraggio, lanciarsi e provare.
Oleoturismo – Opportunità per imprese e territori
Di Fabiola Pulieri, Dario Stefàno
Agra Editrice
Pagine: 182
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